sabato 22 marzo 2014

Lettera aperta alla Mussolini

Dietro la vicenda delle due minorenni (mi chiedo se siano soltanto due...) che vendevano se stesse alle "persone dabbene" ce ne sarebbe da dire (compreso il fatto che finirà tutto a "tarallucci e vino" come al solito, quando sono implicate le "persone dabbene")! ma avendo appena letto questa lettera aperta mi limito a condividerla qui perché esprime quanto non avrei saputo scrivere meglio io:
 
Cara Alessandra Mussolini,
mi fa impressione scriverle Cara, ma anche Gentile mi avrebbe impressionato, allora lascio così.
Io non riesco a provare per lei, per quello che le è accaduto, nessuna pena. Mi hanno detto: “prova a metterti nei suoi panni e capirai”. E no, non capirò. Perché nemmeno con tanta fantasia, e le assicuro che ne ho, potrei stare nei suoi panni. Nemmeno se fossi nata col suo cognome, nemmeno se avessi avuto la sua educazione, se di educazione si può parlare. 

Me la immagino, mentre riceve la notizia che suo marito pagava delle minorenni per portarsele a letto. Me la immagino col suo dito puntato contro tutti, ricevere la notizia che il mostro da castrare lei se lo teneva nel letto. Poverina. Già, il suo dito puntato. La sua voce assordante, le sue parole dure, senza pietà per nessuno, senza nessuna comprensione. Me la immagino, mentre grida “meglio fascista che frocio”. Mentre alza il braccio in quel saluto sconcio, schifoso. Mentre grida, senza grazia, senza vergogna. Me la immagino mentre difende Berlusconi. Uno con gusti molto simili al maritino. Mentre vota che la Ruby è la nipote di Mubarak.
Me la immagino con le sue magliette ridicole. E ora, Cara Alessandra? Come la mettiamo? Cosa è successo alla sua vita di irreprensibile donna di destra? Alla sua vita perfetta, nella sua famiglia perfetta?

Perché, Cara Alessandra, una come me, dovrebbe provare pena per lei? Perché una come me, che scrive battute su tutto ciò che riesce, dovrebbe esimersi dal farlo su quello che le accade?
Perché sono una donna, come lei? No, io non sono come lei. Nemmeno il genere, quello di cui si parla tanto in questo periodo, è lo stesso. Lei ed io, Cara Mussolini, non siamo dello stesso genere. Quelle del mio genere non alzano il dito contro nessuno. Quelle del mio genere non giudicano gli altri per le abitudini, le scelte, i gusti sessuali. Quelle del mio genere, se portassero il suo cognome, se lo farebbero cambiare. Quello del mio genere si vergognerebbero di quello che il suo cognome ha rappresentato per l’Italia. Quelle del mio genere provano pena profonda per una moglie tradita in questo modo dal marito. E non tradita nel letto, ma tradita perché quelle poverette avrebbero potuto essere figlie sue. Perché quella moglie deve spiegare ai figli che il padre è un vecchio maniaco. Perché il marito si è giustificato nel modo più bieco e volgare: “credevo avessero 19 anni”.

Oh si, Cara Alessandra, quelle del mio genere piangono pure per quella donna, per quei figli. Ma non se quella moglie è lei, Cara Alessandra. Perché lei non ha mostrato mai pietà e rispetto per nessuno. Perché lei ha giudicato, accusato e urlato, senza pena e senza vergogna. Perché lei si è permessa di dire che la sua famiglia è “quella giusta”. Le altre sono un errore. Due uomini o due donne che si amano e che vivono insieme sono uno sbaglio, un orrore.

E allora no, Cara Alessandra, non riesco a provare pena, se non forse per gli innocenti che avete in casa e che già devono vivere col peso di avere una madre fascista e un padre pedofilo.
Per lei no. Nessuna pietà, nessun perdono. Il perdono si deve meritare, per il perdono si deve chinare la testa ed ammettere di aver sbagliato. Per il perdono, per la pena, per la delicatezza e la comprensione ci vuole il pentimento, ci vuole la coscienza.
Le battute, la satira, l’ironia, ben vengano contro di lei. Perché il mio disprezzo nei suoi confronti richiederebbe ben altro, ma quelli, Cara Alessandra, sono metodi della gente del suo genere.

[Nicoletta Lucheroni]

lunedì 10 marzo 2014

L'8 Marzo non è una "festa" ma una ricorrenza, per non dimenticare!

Duole doverlo ricordare a distanza di tanti anni, perché questo significa che ancora non si è giunti ad un equilibrio nelle società (l'equilibrio di genere, di diritti umani, di rispetto per se stessi e per l'altro, di comprensione... sì, di comprensione e non tanto di evoluzione!), e così eccoci a sottolineare ancora una volta che l'8 marzo non è una festa ma una ricorrenza:

L'origine della "Festa dell'8 Marzo" risale al 1908, quando, un gruppo di operaie di una industria tessile di New York, scioperò per protestare contro le terribili condizioni in cui si ritrovavano a lavorare.
Lo sciopero proseguì per diverse giornate, ma fu proprio l'8 Marzo che, la proprietà dell'azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire dalla stessa.
Un'incendio, divampò improvvisamente all'interno della fabbrica uccidendo così 129 operaie, tra cui anche delle italiane (emigrate in America per vivere meglio di come vivevano nel loro paese natìo). Comunque, erano tutte donne che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità di vita e di parità economica (gli uomini erano pagati di più per le stesse ore e la stessa qualità e quantità di lavoro).

E fu così che questo giorno assunse col tempo un'importanza mondiale, diventando il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subìre nel corso dei secoli, e il punto di partenza per il riscatto della propria dignità.

L'8 Marzo è quindi il ricordo di quella triste giornata.
Non è una "festa" ma piuttosto una ricorrenza da riproporre ogni anno come segno indelebile di quanto accaduto il secolo scorso.

Ricordiamolo a tutte quelle donne, che si sentono tali solo oggi, credendo che la libertà di essere donne significhi passare la serata disinibite e sedute ad un tavolo ai piedi un palco...

La storia di Elena, la prima donna laureata al mondo


Era italiana e si laureò nel 1646, a Venezia.

 
La quinta di sette figli, Elena Lucrezia Corner Piscopia, veniva al mondo. Nessuno si sarebbe aspettato che, quel giorno, sarebbe nata la prima donna laureata della storia.

La storia di Elena è una di quelle che ti lasciano l’amaro in bocca. Dimostra fin da bambina di essere un piccolo genio, con capacità di apprendimento strabilianti.
Nel 1665, a 21 anni, Elena sovverte già la tradizione: diventa oblata benedettina, rispetta i voti delle monache pur continuando a vivere in famiglia. Il suo punto di forza sono gli studi filosofici, ma la cultura è immensa: conosce come le sue tasche il latino, il greco, il francese, l’inglese e lo spagnolo, e studia l’ebraico.
Quando, dopo essersi iscritta all’università (a quei tempi definita Studio di Padova) presenta regolare domanda di ammissione alla laurea ecco la spiacevole sorpresa. A una donna, infatti, non era concesso ricevere il titolo di dottore in teologia.
Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova (fatto santo ndr), blocca tutto: la donna è inferiore rispetto all’uomo e non è capace di ragionamenti difficili, niente da fare, nessuna laurea. Inizia, così, una lunga polemica tra lo Studio di Padova, che aveva acconsentito alla laurea, e il cardinale Barbarigo.

A 32 anni Elena ottiene, finalmente, la sua laurea: gliela concedono, però, in filosofia, non in teologia. La cerimonia di proclamazione resta negli annali: aula stracolma, si decide addirittura di spostare la discussione in uno spazio più grande. Qualcuno dice ci fossero, quel giorno, 30mila persone.

Elena Lucrezia Corner Piscopia si prende la sua rivincita: ora è una celebrità, tutti la cercano, tutti vogliono parlare con lei. Anche Luigi XVI manda i suoi informatori a verificare le doti eccezionali della donna.

La vita passata sui libri, però, presenta ben presto il suo conto: è il 1684 quando Elena muore, a soli 38 anni. Tra debiti e volontà dei monaci benedettini, non rimarrà nemmeno la statua di Elena, eretta su spinta del padre. Oggi, la riproduzione della statua di Elena si trova ai piedi dello scalone del Bo’, nella sede dell’Università di Padova. È ricoperta da pannelli di plexiglas, piena di escrementi di piccioni. Solo nel 1969, nell’occasione del tricentenario, si muove finalmente l’Università di Padova, che avvia delle ricerche su Elena. Lo studio conferma la verità.

Bistrattata, dimenticata, osteggiata. L’Italia vanta la prima donna laureata al mondo e neanche lo sa. Non un’aula universitaria intitolata, non un istituto scolastico superiore, nemmeno un misero francobollo. Elena ha un debito con il nostro Paese, ed è ora di saldarlo.

Raffaele Nappi corriereuniv.it

sabato 1 marzo 2014

Corso di autodifesa a Milano

di AUTODIFESA FEMMINILE
 
aperitivo di presentazione del 
CORSO BASE DI AUTODIFESA FEMMINISTA 2014
MARTEDI 11 MARZO 2014
ore 19.00
Piano Terra
via Confalonieri 3 – Milano (zona isola)

La paura nasce nella testa… e il coraggio anche!

Perché dovremmo avere paura di uscire la sera?
Perché dovremmo lasciarci insultare?
Perché dovremmo stare zitte e lasciarci toccare senza volerlo?
E perché dovremmo essere intimidite e costrette alla passività?

In quanto donna, gli uomini danno per scontato di poterti interrompere mentre parli, di invadere il tuo spazio, di toccarti tutte le volte che vogliono, di insultarti, di violarti.
La risposta a tutto questo è rompere ogni complicità e proteggere te stessa con l’autodifesa.

Il Corso di “Autodifesa Femminista” vuole essere un’introduzione alla difesa personale tenuto da donne e rivolto esclusivamente ad esse. 

Il corso intende sviluppare le tematiche della violenza sulle donne, con particolare riferimento alla paura e al rischio di vittimizzazione di donne e ragazze, si propone la finalità di promuovere conoscenze e competenze indirizzate all’acquisizione di strategie di prevenzione, autoaffermazione e tecniche efficaci di autodifesa contro lo stupro e altre tipologie di aggressione.
Tramite alcuni semplici esercizi ci troveremo a capire qual è il limite oltre il quale il nostro spazio è invaso, sperimenteremo le nostre emozioni, interazioni e reazioni che difficilmente potremmo provare in un semplice allenamento fisico in palestra, o anche con un gruppo misto.

L'autodifesa ci rende più sicure di noi stesse: allenandoci scopriamo le potenzialità del nostro corpo e impariamo a prendere il controllo delle situazioni.
Inoltre, la consapevolezza delle nostre capacità fisiche ci sostiene quando ci difendiamo verbalmente o quando non vogliamo essere intimidite.

Praticare l'autodifesa tra donne ci aiuterà a sviluppare una percezione "diversa" delle situazioni di pericolo che coinvolgono, o potrebbero coinvolgere, noi e le altre donne che ci circondano.

Durante il Corso impareremo:


COME RICONOSCERE E AFFRONTARE LA “VIOLENZA CONTRO LE DONNE”
• riconoscere i tipi di violenza sessista e omofoba (psicologica, economica, fisica, sessuale, stalking)
• affrontare la violenza domestica, nelle relazioni/coppia
• decostruire la percezione di sè come vittima potenziale
• parlare di ruoli e stereotipi oggi
• come è cambiato oggi il rapporto uomo/donna
• capire l'importanza di autodeterminazione e valorizzazione di sé
• costruire rapporti di solidarietà tra donne
• costruire un nuovo immaginario femminile
• interazioni sessuali/consenso

COME PREPARARTI AD AFFRONTARE UN CASO DI AGGRESSIONE
• Come riconoscere le situazioni di rischio e valutarne l'effettiva pericolosità.
• Acquisire strategie di prevenzione
• riconoscere e dominare la paura
• rafforzare la volontà di imporsi (uso della voce, linguaggio del corpo)
• percepire e valutare la propria forza fisica
• Imparare ad orientarsi, reagire e mantenere l'equilibrio
• superare paure e insicurezze attraverso il gioco e la teatralizzazione di situazioni “tipo” 

COME REAGIRE IN CASO DI AGGRESSIONE
• Colpi di mano, di gomito, calci e ginocchia
• Come neutralizzare l'aggressore senza ricorrere alla forza fisica: leve articolari e punti dolorosi, colpi “scorretti”
• come difendersi utilizzando “oggetti comuni”
• come liberarsi da prese al corpo.
• come difenderti da prese ai capelli
• come difenderti da un tentativo di violenza a terra

per tutte le donne dai 14 anni ai 60 anni
INFO: autodifesadonna@gmail.com

DOVE:
PALESTRA POPOLARE - PIANO TERRA
via Confalonieri 3 – Milano
zona Isola, MM2 Garibaldi

COSTO:
20 euro annuali, come quota associativa alla Palestra Popolare