domenica 31 agosto 2014

La brigata di donne curde "Pronte a morire per la libertà"

BIRITANE, il profilo armonioso e la voce d’usignolo, a poco più di vent’anni manovra un monumentale fucile automatico sopra le montagne rocciose del Kurdistan siriano attorno a Ras Al-Ayn, il valico di frontiera con l’Iraq. Arruolata nei ranghi dell’Ypg, la Forza di difesa del popolo, è a capo di una delle brigate decentrate della milizia curda. Assieme ad altri 40 mila soldati, si batte in prima linea contro i jihadisti dell’Is, in Siria e in Iraq. Come lei, qualcosa come 16 mila altre donne compongono il 40 per cento della forza curda siriana.
 
Biritane intona un canto in un prezioso momento di pausa nelle sanguinose battaglie di questi giorni per bloccare l’avanzata dell’Is. Si direbbe una canzone d’amore, tanto è dolce la melodia, registrata da Hamid Mesud, un collaboratore di France24. E invece lei sta celebrando, dice, la memoria delle sue compagne cadute sul campo, e lo fa per sollevare il morale delle altre accucciate lì intorno. «Abbiamo scelto di morire in nome della libertà delle donne», racconta. «No, noi non ci sposiamo: non possiamo mettere su famiglia, perché potremmo morire ad ogni istante».

Bisognerebbe parlare della soave Biritane al passato, infatti lei è morta proprio pochi giorni fa. Quella volta aveva aggiunto: «Il campo di battaglia per me è qualcosa di divino, mi ricorda le amiche uccise. Loro erano al mio fianco nella stessa trincea. Siamo state costrette a prendere le armi perché gli islamisti vogliono riportarci indietro al Medio Evo, ridurre le donne in schiavitù».

Le peshmerga non sono una novità nella storia dei curdi, fieri guerrieri delle montagne. Dall’altra parte del confine siriano, in Iraq, queste sono organizzate in un reggimento femminile, che conta quattro battaglioni con un comandante per ogni brigata. È dal 1996 che il reggimento si addestra assieme, e come, i maschi nel governatorato di Sulaymaniyah, nel Nord Est del Paese. All’inizio si era trattato di combattere contro le Guardie repubblicane di Saddam Hussein nella guerra civile che insanguinava il Kurdistan tra le fazioni rivali di Barzani (attuale presidente del Kurdistan iracheno) e Talabani (presidente dell’Iraq fino al 24 luglio scorso). Poi, riferisce alla stampa Lamiah Mohammed Qadir col suo grado di colonnello, «le peshmerga hanno continuato ad accumulare esperienza sul campo di battaglia».

Lei ricorda la grande «battaglia di liberazione dell’Iraq nel 2003», quando le forze americane martellavano Bagdad, e «i combattimenti contro gli islamisti di Ansar al-Sunna a Halabja». Oggi la minaccia che richiama le donne al fronte è la stessa su entrambi i versanti del vasto altipiano del Kurdistan a cavallo fra Tigri e Eufrate. È la violenza estrema dell’armata fondamentalista riversatasi in Iraq dai deserti orientali della Siria come dal Medio Evo sotto la bandiera nera dell’Is: predoni barbuti islamisti intenti a massacrare sommariamente gli "infedeli" e a saccheggiare lungo la loro marcia. Ovunque controllino il territorio, «hanno imposto alle donne il niqab, le hanno costrette a sposarsi contro la propria volontà, le hanno vendute come schiave», dice un’altra leader di brigata, Chelan Shakhwan nelle retrovie di Jalawla, 150 chilometri da Baquba in Iraq. La cronaca di ieri aggiunge nuove conferme: almeno 100 vedove e orfane della minoranza yazidita di Kocho sono state portate all’asta a un mercato jihadista. Questo dopo che i terroristi hanno separato le femmine, chiuse in una scuola, e ucciso tutti i maschi al di sopra dei 12 anni.

Jiane, giovane comandante di un’unità curda sul versante siriano, tutto questo lo sa bene per averlo già visto negli anni passati in Siria. Perciò dice a proposito della sua determinazione: «Impediremo all’Is di stabilirsi in queste terre a ogni costo. Noi la chiamiamo "la battaglia di Ras Al-Ayn" (il varco di frontiera vicino alla Turchia). Centinaia di islamisti sono passati da quell’accesso per combatterci. A tratti ci siamo dovute ritirare. Però, abbiamo tenuto». Poco lontana da lei, Biritane, prima d’essere uccisa in combattimento, annuiva: «Noi confidiamo in noi stesse. Vogliamo soltanto difenderci. Siamo obbligate a uccidere per salvare la vita dei nostri cari e dei nostri bambini».


FONTE: http://www.parieuguali.it/peu.asp?p=943

Le Yazide rapite dimenticate

Iraq. “Il grido delle Yazide[1] rapite: ora vogliamo solo morire”
Intervista alla parlamentare Vian Dakhil: "Seicento le giovani prigioniere dei jihadisti[2]. Stuprate tutti i giorni, preferirebbero morire sotto le bombe". "Sui monti Sinjar ancora centinaia di persone dimenticate da tutti".
 
 
Vian Dakhil, ancora convalescente dopo l’incidente di un paio di settimane fa ERBIL (Iraq): "Sulle montagne di Sinjar ci sono ancora cinquecento persone, per lo più anziani, disabili o donne incinte, e sono tutte troppo stanche per affrontare l’impervio sentiero che li porterebbe a valle e da lì verso i campi profughi nel nord del Kurdistan".

 E’ ancora la quarantenne Vian Dakhil a richiamare l’attenzione sulle sofferenze del suo popolo, la deputata yazida che il 5 agosto scorso, in un accorato intervento al Parlamento di Bagdad, denunciò al mondo lo sterminio dei suoi per mano dei fondamentalisti islamici. La settimana successiva, la Dakhil salì su uno dei primi elicotteri che portavano soccorsi ai 40mila yazidi fuggiti in montagna per scampare ai massacri. Ma l’elicottero, forse troppo carico, cadde e lei si ruppe due costole e si spappolò la gamba destra. La deputata fu immediatamente trasportata a Istanbul, dove ha subito due lunghe operazioni. Da pochi giorni è tornata a Erbil, nella casa dei genitori, dove l’incontriamo ancora allettata. Dice, ignorando la nostra domanda sul suo stato di salute: "Quelle persone stanno male, perché dimenticate da tutti. Ormai gli sforzi sono tutti destinati ai campi profughi. Ma lassù c’è ancora bisogno di aiuto".

Signora Dakhil, che cosa sa delle donne e delle ragazze yazide rapite le scorse settimane dai soldati dello Stato islamico?
"Siamo in contatto con molte di loro. Ci chiamano appena possono di nascosto dagli islamisti e ci raccontano l’orrore di cui sono vittime. Saranno sei o settecento, e ogni volta ci chiedono di far bombardare il luogo dove sono rinchiuse. Preferiscono morire che essere stuprate tutte le sere dalle bande del califfato".

Ha un’idea di quanti yazidi siano stati trucidati finora?
"E’ difficile stabilirlo, perché di molti yazidi non abbiamo più notizie, ma non sappiamo se sono stati uccisi o solamente fatti prigionieri. Ma dopo l’eccidio di Dokho, i morti ammazzati dovrebbero essere circa duemila".

Come spiega tanto odio da parte degli islamisti nei confronti degli yazidi?
"Fa parte del loro credo odiarci, perché ci vedono come "apostati". E perché sono i loro imam a incitarli all’odio nei nostri confronti. Lo fanno con le loro fatwa, che diffondono in rete. Sono loro che li autorizzano a ucciderci, a depredarci, a stuprare le nostre donne e a rapire i nostri bambini per farne dei "musulmani". Giustificano i loro orrori con il loro Dio".

Ma vi aspettavate di essere aggrediti con tale violenza, quando le truppe islamiste hanno cominciato a occupare le vostre terre?
"No, perché pensavamo che il loro solo obiettivo fosse rovesciare il governo di Al Maliki e conquistare Bagdad. Eravamo certi che avessero solo mire politiche. Non credevamo che se la sarebbero presa anche con noi o con i cristiani nelle regioni che andavano via via conquistando. Soprattutto, non immaginavamo che avrebbero fatto la guerra anche ai curdi".

Ci sono yadizi che accusano i peshmerga[3] di non averli protetti contro gli islamisti. Lei è tra questi?
"I peshmerga hanno combattuto a Sinjar contro gli islamisti che ci attaccavano, ma allora non erano ancora stati riforniti di armi statunitensi. E con i loro vecchi kalashnikov poco hanno potuto di fronte alle armi moderne dei jihadisti. Non mi sento di criticare i combattenti curdi, perché per noi hanno fatto molto".

Che cosa si aspetta ora dalla comunità internazionale?
"Deve fare di più. Molto di più. La mia gente è scampata a un genocidio e ha perso tutto. Anzitutto ci serve protezione".

Adesso è la città di Amerli, a maggioranza turcomanna, sotto assedio degli islamisti. Può accadere anche lì quanto è successo a Sinjar?
"Sì, se non intervengono gli americani o chi per loro, anche lì ci saranno molto presto degli orrendi massacri. E’ questione di giorni, forse di ore". 

Il 5 agosto scorso, quando lei si è rivolta con passione al Parlamento di Bagdad, come hanno reagito i suoi colleghi deputati?
"Di solito, quando intervengo al Parlamento iracheno scateno reazioni violente da parte degli altri deputati. Ma quel giorno, per la prima volta si sono alzati tutti in piedi, e mi hanno ascoltato, in religioso silenzio. Forse hanno capito che la stessa sorte che è capitata agli yazidi potrà presto abbattersi anche sulle loro comunità". 

Crede che il premier iracheno incaricato di formare un nuovo governo, Haider al Abadi, sarà in grado di cambiare le carte in tavola, e di riappacificare sciiti e sunniti?
"All’inizio si darà da fare, per dimostrare che gli americani e gli iraniani hanno fatto bene a nominarlo. Poi, però, la situazione tornerà tale a quale a prima. La sola soluzione credo che sia creare tre Stati in Iraq: uno sciita, uno sunnita e uno curdo. Ci vorrà ancora qualche anno, ma non vedo alternative. E’ illusorio credere che un giorno riusciremo a convivere in pace nello stesso Iraq".

 

[1] Lo Yazidismo (in curdo ئێزیدی, Ēzidī, Īzidī, in arabo: ﻳﺰﻳﺪﻱ, Yazīdī, in turco Cyrāǵ Sândëren, prop. "spegnitori di lampade", in persiano Shaiôān peresht, "adoratori del diavolo) è una religione monoteista sincretica praticata da popolazioni curde. Erroneo, malgrado un corrivo suo uso giornalistico, è trattare il termine "yazidi" come un etnonimo, mentre esso va riferito a una specifica fede religiosa.
La religione yazidi è una combinazione sincretistica di zoroastrismo, manicheismo, ebraismo e cristianesimo nestoriano sui quali sono stati successivamente aggiunti elementi islamici sciiti e sufi. Fanno parte della religione yazidi il battesimo, il divieto di mangiare certi cibi, la circoncisione, il digiuno, il pellegrinaggio devozionale, l’interpretazione dei sogni, e la trasmigrazione delle anime. Gli yazidi sono monogami, anche se, in alcuni rari casi, ai loro capi è concesso avere più di una moglie. I bambini vengono "battezzati" alla nascita; la circoncisione è una pratica diffusa ma non obbligatoria, come nell’Islam del resto. Subito dopo la morte i defunti sono deposti con le mani giunte in tombe di forma conica.

[2] Jihād, parola araba, (ğihād in arabo: جهاد) che deriva dalla radice <"ğ-h-d> che significa "esercitare il massimo sforzo". La parola connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa. Il termine fa riferimento ad una delle istituzioni fondamentali dell’Islam.
Oggi il termine è usato in numerosi circoli come se avesse una dimensione esclusivamente militare. Per quanto questa sia l’interpretazione più comune di jihād, è degno di nota che la parola non è usata strettamente in questo senso nel Corano, il testo sacro dell’Islam. È anche vero, tuttavia, che la parola è usata in numerosi hadīth sia in contesti militari che non militari.

[3] La parola Peshmerga in curdo indica letteralmente un combattente guerrigliero che intende battersi fino alla morte.
 
 
 

2014: anno storico per l'Afghanistan

Raccomandazioni delle donne afghane al Summit della NATO 2014

 Afghan Women Recommendations to NATO Summit 2014

August 2014

Introduction:

Year 2014 is historic for Afghanistan and it is people. The Afghan citizens through practice of democracy will once again have a new elected government. This in decades will be transfer of political power from one president to the other in a peaceful and democratic way. At the same time, withdrawal of North Atlantic Treaty Organization (NATO) troops will be completed by end of the year. It is crucial time not only for Afghans but to the world and the region to ensure sustainable peace, democracy and justice beyond 2014 where people can enjoy practice of democracy, employment, security and inclusive participation. 

After the 2012 Chicago NATO Summit, the 2014 NATO Summit will be hosted by the United Kingdom on September 2014. One of the focuses of NATO Summit will be Afghanistan beyond 2014 after withdrawal of international troops is completed.

Afghan Women’s Network (AWN) is an umbrella organization of 120 women led civil society NGOs and over 3000 individual women members. AWN have played a critical role in discussing women’s rights agenda at the policy level with the Afghan government and international community since registered as network in 2001.  Prior to the NATO Summit UK, AWN conducted a desk review to identify key challenges and recommendations that have been presented to the Afghan government and international community regarding Afghan women security and protection   as 50% citizens of the country as well as women’s participation and decision making role within the Afghan National Security Forces (Army, Police and National Department of Security). AWN also consulted over Five hundred women through one day consultation conferences in Eight Zones on 17 August 2014 and a National conference in Kabul on 27 August 2014 to discuss women’s concerns and recommendations and concrete measures to ensure women’s political participation, increasing their decision making role, safe mobility, needed protection and security measures beyond the year 2014. 

Ongoing Challenges:

Women as a whole are unsure about the future of Afghanistan. Security and political Transition did not fully involve women as well as there needs seem to be in isolation. Women are frustrated by the lack of clarity on how the commitments to support Afghanistan beyond 2014 will be shaped post withdrawal of international forces. Women are not engaged at the leadership level fully and do not have full access to information and decisions that are made in Afghanistan at the national and local level. 

AWN has produced extensive position papers, declarations and statements to bring the first hand information on the challenges women face across the country. AWN and it is members have noted number of key challenges that are been repeatedly reflected but have unfortunately received fairly low attention by the Afghan government and international community. Some of the challenges that still remained unaddressed are as follows:

1. Vetting of recruits for Afghan National Security Forces (ANSF) including Afghan Local Police (ALP) does not include community based component where women’s groups and women from relevant communities can report on the background of the newly enrolled security forces. Up to date, at the national level, the recruits to ANSF including ALP have recruited number of human rights violators accused for crimes such as rape, murder, torture and misuse of power.

2. Actions in the past 13 years have focused to increase number of women into Afghan National Police (ANP) and Afghan National Army (ANA) however there is little information available on the actual efforts such as campaigns, coordination with relevant government and non-government organizations to support the process. After recruitment and appointment, women’s contribution within these sectors, measures for creating a secure and harassment free environment are not transparent, clear and sustainable.

3. Despite of the calls on Afghan National Security forces especially ANP and ANA for inclusion of human rights and women’s rights education within the Police and Army training curriculums, the newly recruits’ lack clear understanding of human rights and women’s rights due to very short and basic trainings provided to them. Thus in most part of the country they have remained less responsive to women victims of violence and incidents of discriminations against women. 

4. Even though Afghan National Development Strategy (ANDS) has made gender as a cross cutting issue and the 10 years National Action Plan for Women of Afghanistan (NAPWA) has created policy implementation and monitoring at all sectors including ANSF, these national tools are not fully adopted and implemented by concerned government ministries of Interior and Defense. 

5. While Afghan government has committed to international human rights laws and resolutions, the development process of national action plan on women, peace and security (NAP) {United Nations Security Council Resolution 1325} has been extremely slow. The lengthy process and lack of NAP is a huge gap to address important challenges of women such as their participation, protection, security and engagement in a systematic and accountable manner. 

6. Since the start of security transition, women in most part of the country are facing security restrictions. Women within Judiciary, Parliament, ANSF and Civil Society are being threatened and eventually attacked. In most cases, women have lost their lives due to lack of protection mechanism. 

7.While efforts such as allocation of huge amount of aid is being announced to support women in security sector by international community, there are lack of clear implementation plans, consultation with women’s groups and organizations such as AWN and monitoring on aid to ensure the effectiveness, 

8. Despite of commitments made in international platforms such as Chicago NATO Summit (2012) to support ANSF through trainings and technical support beyond 2014, there is very little information available on how women in ANSF will be supported and integrated to real policing and army jobs. 

Recommendations to Sustain Women’s Gains:

In spite of the mentioned uncertainty AWN would like to once again recall on Afghan government and international community (NATO Members) to consider the followings:

1. Vetting of recruits for Afghan National Security Forces, including Afghan Local Police (ALP) should include a community-based component in which women’s groups and women from relevant communities can report on the background of the newly enrolled security forces  to avoid recruitment of human rights violators within these structures.

2. Afghan Ministry of Interior and Ministry of Defense should be supported and encouraged to establish close collaboration and coordination to ensure smooth recruitment process for women through collaboration with relevant actors within the government (Ministry of Women’s Affairs, Ministry of Higher Education, Ministry of Education and Ministry of Religious Affairs) and Civil Society (Afghan Women’s Network for information sharing, transparency and accountability purposes. Introducing a special ministerial decree/ policy to confirm women’s appointment in the senior posts would be an encouragement to advance women’s recruitment in the security sector.

3. Support for the capacity development of the Afghan National Security Forces must pay special attention to how the ANSF can be more responsive to citizen’s needs, particularly those of women and children. These include greater focus on designing and delivering trainings such as civil policing, community policing, human rights, UNSCR 1325 and women rights. 

4. Family Response Units (FRUs) are also critical means for addressing women’s needs facing domestic and social violence; they should be fully resourced. A deputy minister level position and appointment of senior women should be prioritized within the organizational structure (tashkeel) of MoI to strengthen FRUs function to support women victims of violence. 

5. Support establishment of an Independent Civil Society Oversight Commission to thoroughly monitor the implementation of existing gender strategies such as those included in ANDS, NAPWA and the upcoming National Action Plan on Women, Peace and Security to increase accountability and transparency. 

6. The NAP on Women, Peace and Security requires serious attention to be finalized and launched. The NAP implementation is directly related to the active participation, engagement of women, and success of peace and security process in Afghanistan. The implementation of Afghanistan NAP must be a priority for the Afghan government beyond 2014. 

7. Women working in any sphere, judiciary, parliament, security sector, government and civil society must be protected through a protection mechanism to avoid their disappearance and contribution. We call on International Community to support establishment of a protection mechanism for Women Human Rights Defenders using the EU Guidelines and the commitments they have made under their National Action Plans on Women, Peace and Security. 

8. Funds committed by the International Community for security sector reform including women’s recruitment must be still conditioned on the consultations with women’s groups for planning and implementation phases as well as the inclusion of women in senior ranking posts within ANSF. 

9.  Afghan government in the NATO Summit should commit appointment of a woman security advisor and a civil society woman representative within the National Security Council to increase collaboration and get engaged in decision making processes, designing of governments programs and policies related to security sector and share women’s needs. 

10.   We call on NATO’s support for appointment of gender advisors. We encourage appointment of an Afghan woman to this appointment as well. 

11. Decisions and commitments that will be reaffirmed in NATO Summit 2014 in the UK must ensure clear plans and initiatives on how women will be supported.
Introduzione: l'anno 2014 è storico per le persone dell'Afghanistan. I cittadini afghani attraverso la pratica della democrazia avranno ancora una volta un nuovo governo eletto. Questo nei decenni sarà il trasferimento del potere politico da un presidente all'altro in maniera pacifica e democratica. Allo stesso tempo, il  ritiro delle truppe dell'organizzazione del Trattato Atlantico nord (NATO) sarà completato entro la fine dell'anno. È il momento cruciale non solo per gli afghani, ma per il mondo e la regione per garantire una pace sostenibile, la democrazia e la giustizia dopo il 2014, dove le persone possono godere la pratica di democrazia, l'occupazione, la sicurezza e la partecipazione inclusiva.

Dopo il vertice NATO Chicago 2012, il vertice NATO 2014 sarà ospitato dal Regno Unito a settembre 2014. Uno dei fuochi del vertice della NATO sarà l'Afghanistan dopo il 2014, dopo che il ritiro delle truppe internazionali sarà stato completato.
 
AWN (la rete di donne afghane) è un'organizzazione di circa 120 donne che ha portato oltre 3000 donne a essere singoli membri nella società civile ONG. AWN ha giocato un ruolo critico nel discutere l'agenda dei diritti delle donne a livello di politica con il governo afghano e la comunità internazionale, come registrato dalla rete nel 2001. Prima del vertice NATO nel Regno Unito, AWN ha effettuato una revisione a tavolino per identificare le principali sfide e le raccomandazioni, che poi sono state presentate al governo afghano e alla comunità internazionale, per quanto riguarda la sicurezza delle donne afghane e la protezione del 50% dei cittadini del paese così come della partecipazione femminile e del ruolo decisionale all'interno delle forze di sicurezza nazionale afghana (esercito, polizia e dipartimento di sicurezza nazionale). AWN ha consultato anche oltre cinquecento donne attraverso giornate di conferenze di consultazione con diverse zone, il 17 agosto 2014, e una conferenza nazionale a Kabul il 27 agosto 2014 per discutere di donne, preoccupazioni e raccomandazioni, e sulle misure concrete per garantire la partecipazione politica delle donne, aumentando il loro ruolo decisionale, mobilità sicura, necessarie misure di protezione e sicurezza dopo l'anno 2014.

Sfide continue:
Le donne nel loro complesso sono incerte circa il futuro dell'Afghanistan. Sicurezza e transizione politica non coinvolgono completamente le donne e così sembrano essere in isolamento. Le donne sono frustrate dalla mancanza di chiarezza su come gli impegni da sostenere in Afghanistan dopo il 2014 saranno modellati dopo il ritiro delle forze internazionali. Le donne non sono completamente impegnate a livello di leadership e non hanno pieno accesso alle informazioni e decisioni che sono fatte in Afghanistan a livello nazionale e locale.

AWN ha prodotto molti documenti sulla sua posizione, dichiarazioni e istruzioni per portare le informazioni di prima mano sulle sfide lanciate dalle donne in tutto il paese. I membri dell'AWN hanno notato diverse sfide chiave che sono state ripetutamente riflesse ma purtroppo non hanno ricevuto abbastanza attenzione sia dal governo afghano e sia dalla comunità internazionale. Alcune delle sfide che ancora sono rimaste non indirizzate sono le seguenti:


1. Vetting di reclute per Afghan National Sicurity Force (ANSF) compresa la polizia afghana locale (ALP) non include il componente della Comunità basata sulle donne dove gruppi di donne di rilevanti comunità possono segnalare sullo sfondo delle forze di sicurezza appena iscritti. Fino a data, a livello nazionale, le reclute a ANSF compreso ALP hanno reclutato un certo numero di diritti umani violati e di accusati di reati come lo stupro, omicidio, tortura e abuso di potere.

2. Le azioni negli ultimi 13 anni si sono concentrate per aumentare il numero delle donne nella polizia nazionale afgana (ANP) e nell'esercito nazionale afghano (ANA). Tuttavia ci sono poche informazioni disponibili sugli sforzi reali quali campagne, coordinamento con le pertinenti organizzazioni governative e non governative a sostegno del processo. Dopo il reclutamento e nomina, il contributo delle donne all'interno di questi settori, le misure per la creazione di un ambiente sicuro e libero da molestie non sono chiare, trasparenti e sostenibili.

3. Nonostante le chiamate sulla sicurezza nazionale delle forze afghane, soprattutto ANP e ANA, per l'inclusione dei diritti umani e diritti dell'educazione all'interno del curriculum di formazione di polizia ed esercito, la recente mancanza di reclute sia di chiara comprensione per i diritti umani e i diritti delle donne a causa di allenamenti molto breve e di base forniti loro. Così nella maggior parte del paese è rimasta poco sensibile sul problema delle vittime della violenza sulle donne ed incidenza delle discriminazioni contro le donne.

4. Anche se la strategia di sviluppo nazionale afghana (ANDS) ha fatto del sesso come una questione di taglio trasversale e in 10 anni di piano d'azione nazionale per le donne dell'Afghanistan (NAPWA) ha creato una politica di attuazione e monitoraggio in tutti i settori tra cui ANSF, questi strumenti nazionali non sono completamente adottati e implementati dai ministeri interessati dell'interno e della difesa.

5. Mentre il governo afgano ha commesso a risoluzioni e leggi internazionali sui diritti umani, il processo di sviluppo del piano di azione nazionale sulle donne, pace e sicurezza (NAP) {Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, risoluzione 1325} è stato estremamente lento. Il processo lungo e la mancanza di protezione per l'accesso alla rete è un enorme divario per affrontare le sfide importanti delle donne come la loro partecipazione, protezione, sicurezza e impegno in maniera sistematica e responsabile.

6. Fin dall'inizio della transizione della sicurezza, le donne nella maggior parte del paese si trovano ad affrontare le restrizioni di sicurezza. Le donne all'interno della magistratura, Parlamento, ANSF e società civile sono state minacciate e attaccate alla fine. Nella maggior parte dei casi, le donne hanno perso la vita dovuta alla mancanza di un meccanismo di protezione.

7. Mentre gli sforzi come allocazione di enormi quantità di aiuti è annunciata dalla comunità internazionale, per sostenere le donne nel settore sicurezza ci sono mancanza di piani di attuazione chiare, consultazione con gruppi di donne e organizzazioni come AWN e monitoraggio sugli aiuti a garantire l'efficacia.


8. Nonostante degli impegni assunti nelle piattaforme internazionali come il vertice NATO di Chicago (2012) per supportare l'ANSF attraverso corsi di formazione e supporto tecnico oltre il 2014, ci sono pochissime informazioni disponibili come le donne in ANSF saranno supportate e integrate dalla polizia reale e nell'occupazione dell'esercito.

Raccomandazioni per il guadagno a sostegno delle donne
: nonostante l'incertezza menzionato AWN vorrei ricordare ancora una volta al governo afghano e la comunità internazionale (membri della NATO), di considerare quanto segue:


 1. Vetting di reclute per le forze afghane di sicurezza nazionali, tra cui la polizia locale afgana (ALP) che dovrebbe includere una componente basata sulla comunità in cui gruppi di donne e donne da rilevanti comunità possono segnalare sullo sfondo delle forze di sicurezza appena iscritti per evitare l'assunzione di violazioni dei diritti umani all'interno di queste strutture.

2. Il Ministero afghano dell'interno e il Ministero della difesa dovrebbero essere sostenuti e incoraggiati a stabilire la stretta collaborazione e coordinamento per garantire il processo di reclutamento per le donne attraverso la collaborazione con gli attori all'interno del governo (Ministero degli affari per le donne, Ministero dell'istruzione superiore, Ministero della pubblica istruzione e Ministero degli affari religiosi) e la società civile (rete di donne afghane per la condivisione delle informazioni, ai fini di trasparenza e responsabilità. L'introduzione di un apposito decreto ministeriale/politico per confermare l'incontro delle donne nei posti alti sarebbe un incoraggiamento a far avanzare il reclutamento delle donne nel settore della sicurezza.

3. Il supporto per lo sviluppo di capacità delle forze di sicurezza nazionali afghane deve prestare particolare attenzione a come l'ANSF può essere più sensibile alle esigenze dei cittadini, in particolare a quelle delle donne e dei bambini. Questi includono una maggiore concentrazione sulla progettazione, e offrendo corsi di formazione come per la polizia civile, la comunità di polizia, i diritti umani, UNSCR 1325 e i diritti delle donne.

4. Le unità di risposta alla famiglia (FRU) sono anche mezzi critici per affrontare le esigenze delle donne, affrontare la violenza domestica e sociale; essi dovrebbero essere pienamente poche risorse. Un vice ministro di livello per la posizione e nomina di senior donne dovrebbe essere in ordine di priorità all'interno della struttura organizzativa (tashkeel) Moi per rafforzare la funzione FRU per sostenere le donne vittime di violenza.

5. Sostenere la creazione di una Commissione di vigilanza di società indipendente civile e  accuratamente monitorare l'attuazione delle strategie di genere esistenti come quelle incluse nel ANDS, NAPWA e il prossimo piano d'azione nazionale sulle donne, pace e sicurezza per aumentare la responsabilità e trasparenza.

6. La questione sulle donne, sulla pace e sulla sicurezza richiede attenzione seria per essere finalizzata e lanciata. L'implementazione di NAP è direttamente correlata alla partecipazione attiva, all'impegno delle donne e al successo del processo di pace e sicurezza in Afghanistan. L'implementazione di NAP Afghanistan deve essere una priorità per il governo afghano dopo il 2014.

7. Le donne che lavorano in qualsiasi sfera, Magistratura, Parlamento, settore sicurezza, Governo e società civile devono essere protette attraverso un meccanismo di sicurezza per evitare la loro scomparsa e non rendere vano il loro contributo. Esortiamo la comunità internazionale a sostenere la creazione di un meccanismo di protezione per i difensori dei diritti umani delle donne con gli orientamenti comunitari e degli impegni che hanno fatto sotto i loro piani d'azione nazionali sulle donne,sulla pace e sulla sicurezza.

8. I fondi stanziati dalla comunità internazionale per la riforma del settore sicurezza compreso il reclutamento delle donne devono essere ancora condizionati su consultazioni con gruppi di donne per la pianificazione e fasi di realizzazione, nonché l'inclusione delle donne nella classifica senior posti all'interno di ANSF.

9. Il governo afghano al vertice della NATO dovrebbe impegnarsi alla nomina di un consulente di protezione della donna e un rappresentante donna della società civile all'interno del Consiglio di sicurezza nazionale per aumentare la collaborazione e unirsi nella decisione facendo processi, progettazione di programmi di governi e politiche relative al settore della sicurezza e condividere le esigenze delle donne.

10. Chiediamo sostegno della NATO per la nomina dei consiglieri di genere. Incoraggiamo la nomina di una donna afghana a questo appuntamento.

11. Le decisioni e gli impegni che saranno riaffermati nel 2014 dal vertice NATO nel Regno Unito devono garantire piani precisi e iniziative su come le donne saranno supportate.

lunedì 25 agosto 2014

Appello per la giustizia

Grazie all'Alleanza Nazionale Lavoratori Domestici per la creazione di questa dichiarazione:

"I nostri cuori sono dolenti per le mamme di tutto il paese che hanno perso i loro figli e le madri che vivono nella paura che i loro figli saranno feriti o uccisi per mano della polizia o della violenza vigilante. Quello che sta accadendo in Ferguson ricorda a tutti che la giustizia razziale è una questione fondamentale per tutti coloro che hanno a cuore l'uguaglianza delle donne e credono nella giustizia. Siamo con Ferguson e tutte le famiglie americane che sognano di vivere in una Nazione dove non si muore a causa del colore della loro pelle. E ci troviamo con le famiglie in Ferguson che cercano giustizia per Michael Brown."

One Billion Rising e V-Day hanno già firmato. Per firmare e aggiungere il vostro nome, fare clic sul collegamento!

Cina: No agli omaggi sessuali con il lavoro

La foto dice tutto donne: No agli omaggi sessuali con il lavoro - quattro donne, vestite in t-shirt e mutandine, allineate in fila davanti alla cinepresa. Uno di loro, la signora Zheng, appoggiata su un ginocchio, rivela un messaggio arditamente scritto in rosso su una lavagna dietro di loro: «la mia vagina non vieni gratis con il mio lavoro». Altre parole sono state scritte sulle cosce delle donne, ribadendo: "Non omaggi." E poi, un fattorino che portava cibo è stato brevemente arrestato per aver servito come cameraman e scattato la foto.

La fotografia risultante è il fulcro di una campagna online di un gruppo di femministe in risposta a un recente caso di stupro mortale. Nel mese di giugno, una donna di 20 anni presso una società di proprietà statale in Chongqing fu chiesta dal suo capo a una cena. E' stata sessualmente aggredita da un amico del suo capo ed è morta per traumi subiti, la notizia è stata segnalata dai media cinesi questa settimana.

Il gruppo femminista, che ha sede a Guangzhou e dice che ha più di 100 volontari in tutta la Cina, ha chiesto di non essere nominato, e la signora Zheng ha rifiutato di fornire il suo nome completo per evitare di attirare controllo del governo. Il governo cinese ha sospettato a lungo su questi gruppi di pressione, diffida del loro potenziale di organizzazione politica.

continua a leggere qui: http://sinosphere.blogs.nytimes.com/2014/08/22/womens-photo-says-it-all-no-sexual-freebies-with-work/?_php=true&_type=blogs&_r=0 
 

Women’s Photo Says It All: No Sexual Freebies With Work
Four women, dressed in T-shirts and panties, lined up in a row before the camera. One of them, Ms. Zheng, dropped down on one knee, revealing a message boldly written in red on a whiteboard behind them: “My vagina does not come free with my labor.” More words were written on the women’s thighs, reiterating: “Not freebies.” And then, a food deliveryman who was briefly detained to serve as cameraman released the shutter.

The resulting photograph is the centerpiece of an online campaign by a group of feminists in response to a recent fatal rape case. In June, a 20-year-old woman at a state-owned company in Chongqing was asked by her boss to a dinner. She was sexually assaulted by her boss’s friend and died as a result of her injuries, the Chinese news media reported this week. 
 
The feminist group, which is based in Guangzhou and says it has more than 100 volunteers across China, asked not to be named, and Ms. Zheng declined to provide her full name to avoid drawing government scrutiny. The Chinese government has long been suspicious of advocacy groups, wary of their potential for political organization.

venerdì 22 agosto 2014

Le donne che si ribellano all'acido

In India nel 2014 ci sono stati 30 casi di violenza con l'acido. L'associazione Stopacidattacks si batte in difesa delle donne.
 
di Elsa Pasqual su ThePostInternazionale
 
Le donne che si ribellano all'acido
(Reuters/Andrew Biraj)
 
Non appena l’acido tocca la pelle, la sensazione è di freddo. Poi solo tanto dolore. La pelle inizia a squamarsi e nei peggiori dei casi l’acido penetra nelle ossa e inizia a corroderle.
Laxmi Saa lo sa bene. Aveva solo 15 anni quando le è stato sfregiato per sempre il volto. In una mattina di maggio del 2005, mentre attendeva l’autobus per andare a lavoro presso una libreria di Nuova Delhi, un uomo di 32 anni le ha versato in faccia un secchio di acido.
Il motivo? Laxmi non voleva sposarlo, non lo amava.

“È come se il mio volto avesse preso fuoco, la pelle si scioglieva e si staccava dalla faccia. Urlavo dal dolore, piangevo, chiedevo aiuto ai passanti, ma nessuno è venuto in mio soccorso”.

Per Laxmi, i nove anni successivi all’attacco sono stati segnati da lunghi ricoveri in ospedale, ha dovuto sottoporsi a sette interventi chirurgici per cercare di ridare forma al suo volto.

“Dopo un po' s'impara a convivere con il dolore fisico, ma è quello psicologico che non passa", racconta Laxmi. "Non ti senti più a tuo agio con il tuo corpo, lo specchio diventa il tuo peggior nemico, eviti di uscire e se lo fai ti copri con un velo. La società ti emargina, il senso di solitudine ti opprime. Ogni mattina mi alzo chiedendomi qual è stata la mia colpa per meritarmi tutto questo”.

Nonostante tutto, Laxmi ha trovato la forza di ricominciare a vivere, aiutando le donne che, come lei, hanno subito un attacco simile. Ha iniziato a far parte di Stopacidattacks, un’associazione fondata da Alox Dixit, giornalista che si batte per creare un ponte tra le vittime dell’acido, la società e il governo indiano, in modo da finanziare le loro spese mediche e garantire pene più certe.

“Il mio aggressore è stato condannato a soli dieci anni di carcere dopo avermi rovinato per sempre la vita", racconta Laxmi. "Quando sarà di nuovo libero, quale garanzia ho che non mi farà più del male?”.

Prima di gennaio 2013 non c’era nessuna legge specifica che prevedesse sanzioni per gli “attacchi con l’acido”. Solo grazie a una relazione fatta da un comitato ad hoc le cose sono iniziate a cambiare. Nel codice penale dell’India è stato inserito il reato di violenza con l’acido, punibile con il pagamento di una multa e la reclusione minima di dieci anni estendibile al carcere a vita. Ma anche questo aggiornamento della legge non basta.

In India l’acido solforico, comunemente usato come detergente, è molto facile da reperire. Per aggirare questo problema, nel luglio dell’anno scorso la Corte suprema indiana ha emanato una sentenza che stabilisce una serie di regole per controllare la vendita di acido, imponendo una licenza per distribuirlo e proibendone l’acquisto ai minorenni.
Ma l’associazione Stopacidattacks fa notare che questa sentenza trascura alcuni elementi importanti come l’assistenza medica gratuita e il controllo effettivo dalle autorità di polizia sull’applicazione delle regole.

Fare una stima di quante vittime sono state colpite dall’acido in India nell'ultimo anno non è cosa semplice: mancano dati ufficiali. Molte donne dopo aver subìto questo tipo di violenza non denunciano i loro aggressori, sia perché provano vergogna, sia perché nutrono poca fiducia nei tribunali indiani.

“Se io sono riuscita a ricominciare a vivere, anche le altre donne colpite dall’acido possono farcela”, sostiene Laxmi. “Mai farsi rubare la speranza. Bisogna lottare per i nostri diritti”.

L’Acid Survivors Foundation, un ente di beneficenza con sede a Londra che promuove lo stop alla violenza con l’acido, ha stimato che dal 1999 al 2013 in Bangladesh, Cambogia, Uganda, Pakistan, Nepal e India sono accaduti 3.184 episodi di violenza con l’acido.
Da gennaio a giugno di quest’anno, sono stati registrati 30 atti di violenza di questo tipo. I motivi che spingono a compiere questi gesti sono molteplici: il mancato pagamento della dote, controversie famigliari, dispute sulla terra, rifiuti di avances o di matrimonio.
 

mercoledì 20 agosto 2014

Stupri durante i conflitti: in Iraq come fu in Bosnia


La ragazza rapita dai jihadisti: "Siamo le loro schiave sessuali, salvateci o aiutateci a morire".


E' l'appello disperato di una giovane yazida nelle mani dei miliziani dello Stato Islamico in Iraq:

 "Ogni giorno arrivano i combattenti e cercano tra di noi. Prendono due o tre ragazze carine. Quando le ragazze tornano sono in lacrime, sfinite e umiliate. I combattenti le portano ai loro emiri, che ne abusano sessualmente. Le donne li supplicano di sparare loro alla testa per mettere fine alla loro miseria".
"Diverse ragazze si sono suicidate. Oggi una ragazza si è impiccata con il velo ed è morta. Salvateci, salvateci. Chiunque possa sentire la nostra voce - Stati Uniti, Europa, chiunque - per favore aiutateci, salvateci": questo l'accorato appello lanciato attraverso l'agenzia di stampa curda Rudaw da una 24enne yazida detenuta dai jihadisti dello Stato islamico nel nord dell'Iraq.

Secondo la donna, sarebbero circa 200 le donne yazide rinchiuse con lei nella prigione situata nei pressi della contea di Baaji, nella provincia di Mosul: "Dalle tre alle quattro volte al giorno vengono nel cortile della prigione. Le ragazze li supplicano di sparare loro alla testa per mettere fine alla loro miseria".

In lacrime la ragazza ripete più volte la località dove si trova la prigione in cui è rinchiusa, supplicando anche di lanciare raid aerei per seppellirle e farle riposare in paese: "Ogni giorno arrivano i combattenti e cercano tra di noi. Prendono due o tre ragazze carine. Quando le ragazze tornano sono in lacrime, sfinite e umiliate. I combattenti portano le ragazze ai loro emiri, che ne abusano sessualmente".

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sabato 16 agosto 2014

GB, Imam: “Donne bianche prostitute da stuprare”

Questo articolo è del maggio 2013 ma lo propongo oggi perchè mi sembra il caso che non venga sottovalutato questo dato di fatto. Inoltre qui si parla di UNA gang ma... chissà quante altre ce ne sono! Purtroppo in questi giorni ne abbiamo viste di tutti i colori combinate dagli estremisti...
 
 “Il loro codice di abbigliamento, dalle minigonne ai top senza maniche, è ritenuto dagli Imam e dai loro seguaci, corrispondere alla loro impurità e immoralità. Secondo questa mentalità, queste donne bianche meritano di essere punite e quindi, per il loro comportamento,   essere sfruttate e degradate con lo stupro”.

E’ emerso che la banda di stupratori islamici di Oxford è stata promossa dagli imam che predicano ai seguaci a pensare che le donne bianche meritano di essere “punite”. Lo ha ammesso lo stesso esponente islamico  Taj Hargey.
Secondo lui razza e religione sono indissolubilmente legate alla recente ondata di stupri della “gang di Oxford”, in cui uomini musulmani hanno preso di mira ragazze bianche minorenni. Tutti gli aguzzini erano islamici di differenti paesi, e tutte le vittime ragazzine inglesi bianche.

All’inizio di questa settimana sette membri del gruppo di Oxford sono stati giudicati colpevoli di rapimento, stupro e atti di “estrema depravazione” nei confronti di giovanissime inglesi.
I sette musulmani  ”deliberatamente presero di mira vulnerabili ragazzine bianche, che consideravano come ‘carne facile’, per usare uno dei loro termini rivelatori “.
Questo atteggiamento è stato promosso dai leader religiosi.

“A un certo livello, la maggior parte degli imam nel Regno Unito semplicemente utilizza i sermoni per promuovere l’uso del hijab e anche del burka tra i loro aderenti di sesso femminile. Ma il risultato è la misoginia brutale che vediamo in quello che è accaduto a Oxford. Perché per loro chi non ha burka o velo è una puttana e come tale deve essere trattata”. 

Agli islamici nelle moschee viene insegnato che le donne sono “cittadini di seconda classe, poco più di beni mobili o beni sui quali hanno autorità assoluta”, afferma.
“Il punto di vista dei predicatori islamici nei confronti delle donne bianche può essere spaventoso. Essi incoraggiano i loro seguaci a credere che queste donne sono abitualmente promiscue e prostitute da stuprare.
“Il loro codice di abbigliamento, dalle minigonne ai top senza maniche, è ritenuto dagli Imam e dai loro seguaci, corrispondere alla loro impurità e immoralità. Secondo questa mentalità, queste donne bianche meritano di essere punite e quindi, per il loro comportamento,   essere sfruttate e degradate con lo stupro “.

FONTE