giovedì 24 luglio 2014

Per fermare il sessismo, iniziativa Bates...



Una sera Laura Bates si ritrovò ad essere seguita da un uomo di notte subito dopo essere scesa dall’autobus. Non ci pensò troppo su. Incidenti come questo, si disse, capitano tutti i giorni a Londra. Ma poi notò che la stessa situazione o una simile si ripresentò il giorno dopo e quello dopo ancora.
Dallo sconosciuto che ti fischia quando passeggi per strada, al ragazzo che ti urla oscenità dal finestrino della macchina a quello che cerca di rimorchiarti al bar quante sono le occasioni quotidiane in cui una donna si sente a disagio? E perché nessuna di noi fa nulla?
Laura, 27 anni, capelli biondi e lunghi, lo sguardo agguerrito, racconta in un’intervista come è cominciata, il 16 aprile del 2012, l’avventura dell’ Everyday Sexism project, un sito che si propone di raccontare le angherie quotidiane cui è sottoposta una donna ogni giorno in tutto il mondo.
“Cominciai a parlare con le altre donne e non potevo credere a quello che raccontavano. Molte di noi pensano solo di essere sfortunate finché non parlano con le altre”.
Due anni dopo il sito ha collezionato 70mila post da venti Paesi del mondo in vengono descritti tutti i comportamenti sgradevoli subiti nella vita di ogni giorno: in ufficio, sui mezzi pubblici, a scuola o per strada. Di più: quello che doveva essere un luogo d’incontro per sfogarsi ma anche confrontarsi è diventato una sorta di movimento che ha ottenuto l’appoggio dei politici e di migliaia di persone in Gran Bretagna e non solo. Bates ha parlato ad un convegno ospitato dalle Nazioni Unite, ha lavorato con alcuni politici e scuole britanniche. Alcuni attivisti hanno collaborato con la polizia per ridurre il numero dei crimini sessuali e delle molestie su autobus, metro e altri mezzi pubblici.
“Il problema maggiore – dice l’ispettore Ricky Twyford – è che spesso le donne non denunciano ma ultimamente c’è più fiducia e consapevolezza, le persone si fanno avanti e dicono quello che hanno visto”.
In Gran Bretagna si sono registrate un 36% di denunce in più e anche gli arresti sono aumentati del 22%.
Sul sito è l’ufficio il luogo dove avvengono più frequentemente gli episodi di sessismo: “Ci sono uomini che stampano le foto delle candidate a un lavoro e danno loro un voto. O colleghi che nella pausa pranzo vanno allo strip club con i clienti, tagliando ovviamente fuori le colleghe” racconta Bates. Ma ci sono anche testimonianze diverse come quella di una ragazzina di 12 anni cui i compagni di classe dicono “di tornare in cucina” quando alza la mano per parlare. O adolescenti che raccontano di essere molestate quotidianamente da uomini durante il tragitto verso la scuola.
La cosa positiva è che il web ha dato alle donne la forza di farsi avanti. Se prima un comportamento misogino non poteva essere denunciato, ora basta un tweet per esporre una persona al pubblico ludibrio.
“I social media ci hanno permesso di agire insieme in un’azione collettiva che ci ha reso coraggiose” spiega Bates.
Ma la strada è ancora lunga. Il progetto ora è di raggiungere Paesi lontani come l’India o il Messico, anche se tanto lavoro rimane da fare anche a casa, in Gran Bretagna. Basti pensare all’attenzione che si dedica a quello che le ministre indossano più che a quello che dicono.
“La gente dice che il sessismo non esiste più. Ma in verità quando cominci a notare questi comportamenti non smetti più di vederne intorno a te” dice ancora Laura Bates.

Afghanistan, il mullah la stupra nella moschea

Ora la bimba di 10 anni rischia di essere uccisa 
 
articolo del 23 luglio 2014 scritto da su LePersoneLaDignità

I fatti risalgono al maggio scorso ma solo una settimana fa l’episodio è stato denunciato al New York Times dalle attiviste per i diritti delle donne Women for Afghan Women, un’organizzazione che si batte per proteggere le cittadine del Paese e che viene spesso tacciata di americanismo, perché la bambina, che chiameremo Afia, il 15 luglio è stata riconsegnata dalle autorità alla sua famiglia nonostante in precedenza i genitori avessero minacciato di ucciderla per lavare l’onore perduto.
E la donna che più l’aveva protetta la dottoressa Hassina Sarwari (nella foto a sinistra), la direttrice del casa rifugio dove la bambina era stata accolta dopo la violenza, è ora costretta a nascondersi dopo ave ricevuto minacce di morte e medita di lasciare il Paese.

E’ una vicenda triste, quella di Afia, di quelle che è difficile scordare, perché perdono tutti “i buoni”: le autorità che hanno cercato di perseguire l’imam e che sono state costrette a dimettersi, le attiviste e naturalmente la vittima. Tuttora il mullah è ancora libero.

I fatti si svolgono ad Alti Gumbad in un villaggio alla periferia di Kunduz, nel nord dell’Afghanistan.
Dopo lo stupro Afia sanguina così tanto che rischia di perdere la vita perché non viene portata subito in ospedale, la violenza è stata così brutale da averle causato una fistola, cioè una rottura della parete che separa la vagina dal retto. Nonostante ciò il mullah, Mohammad Amin, interrogato dalla polizia, ammette di aver avuto un rapporto sessuale con la bambina dopo la lezione di Corano ma dice che era consensuale, che pensava che Afia fosse più grande e che aveva risposto alle sue avance. Per riparare al danno fatto si offre di sposare la sua vittima.
Ma la capo dell’ufficio che si occupa delle questioni femminili, Nederah Geyah, si batte per difendere la piccola. Va in tribunale e mostra le foto di Afia in ospedale, uno scricciolo di 18 chili che chiaramente non ha ancora raggiunto la pubertà.
In Afghanistan i certificati di nascita sono un lusso per pochi ma i medici attestano chiaramente che la bimba non ha ancora avuto le mestruazioni e la madre assicura che ha solo 10 anni.
Tutto questo non piace agli abitanti del villaggio. La rabbia degli uomini non si riversa contro il colpevole dello stupro ma contro la sua vittima e le sue protettrici.
Quando la dottoressa Sarwari, che è una pediatra, si presenta in ospedale per portare via la bambina i vecchi del villaggio cercano di sbarrarle il passo, tra loro ci sono i fratelli, il padre e lo zio della ragazzina. Sarwari riesce a parlare con la zia di Afia che le spiega quello che succedendo: suo marito le aveva ordinato di entrare in ospedale e prendere la bambina in modo che potessero ucciderla e buttarla nel fiume.
Il caso è emblematico di come in Afghanistan sia sempre più difficile difendere le vittime di una violenza. Con il ritiro delle truppe internazionali gli attivisti per i diritti umani vedono venire meno risorse e sostegno: “Nessuno finanzia più i programmi per la nascita di una nuova società civile. E penso che tutti i progressi che abbiamo fatto negli ultimi 13 anni piano piano scompariranno” ha detto Geyal in un’intervista prima delle dimissioni.
I delitti d’onore nei casi di stupro sono comuni in Afghanistan e spesso, per la famiglia della vittima sono più importanti della punizione nei confronti dello stupratore. Secondo alcune Ong ogni anno nel Paese 150 donne vengono uccise per questo motivo, probabilmente il dato è sottostimato.

mercoledì 23 luglio 2014

Al Baghdadi ordina l'infibulazione di tutte le donne

Mutilazioni genitali per tutte le donne del califfato. È l’ordine arrivato dal leader dei jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante


Sgomento, rabbia, incredulità. Sono le sensazioni che si provano appena le agenzie battono questa notizia proveniente dall'Iraq: "L'Isil ordina l'infibulazione per tutte le donne".


Abu Bakr Al Baghdadi, mentre recita la preghiera quotidiana in una moschea di Mosul
L'Isil (o Isis) è lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, autoproclamatosi il 29 giugno 2014, con a capo Abu Bakr al-Baghdadi.
Il folle ordine arriva direttamente dal leader dei jihadisti.
Baghdadi ha chiesto l’infibulazione per tutte le ragazze del califfato, a cavallo tra l’Iraq e la Siria. Nel breve comunicato i jihadisti affermano che la pratica è stata imposta dal profeta Maometto e riportano un elenco di suoi "hadith" (detti), che a loro dire contengono questo ordine.

Il comunicato risalirebbe ad alcuni giorni fa ed è l’ennesimo che riguarda le donne, dopo quello che impone il cosiddetto "jihad del sesso" (vale a dire di concedere le ragazze vergini della propria famiglia ai jihadisti) e quello che impone la segregazione dei sessi all'interno delle università. Mentre negli altri comunicati si faceva riferimento a Mosul, la città irachena controllata dall’Isil, in quello sulle mutilazioni genitali si fa un esplicito riferimento ad Aleppo, nel nord della Siria.

"Una notizia agghiacciante", commenta la giornalista e scrittrice italo-marocchina Souad Sbai, che citando fonti di stampa arabe dice che "almeno 28 ragazzine hanno già patito questa sorte nei giorni scorsi. Rivela ancora una volta quanto pericoloso sia, nella sua follia, questo personaggio a cui l’Occidente continua colpevolmente a lasciare mano libera. Dopo le lapidazioni di due donne, ora la orrenda e disumana volontà di infibulare tutte le donne irachene. In Europa nessuno ha notizia di questo, ma i media arabi e le associazioni di donne arabe ne parlano in maniera preoccupata: la comunità internazionale non può rimanere a guardare, nell’attesa che si compia questo crimine orrendo contro l’umanità".

martedì 15 luglio 2014

Decreto contro il femminicidio: il bluff

Sarà pure cambiato il presidente del consiglio (ora ne abbiamo uno giovane e aitante!) ma... il sistema a quanto pare resta lo stesso (invariato da troppi anni, ahime!)
Quello che segue è un articolo di Celeste Costantino - Deputata Sinistra Ecologia Libertà - pubblicato due giorni fa su
http://www.huffingtonpost.it/celeste-costantino/decreto-contro-femminicidio-centri-antiviolenza_b_5577104.html

Il bluff del decreto contro il femminicidio, che adesso rischia di far chiudere i centri antiviolenza

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi conserva ancora inutilmente la delega alle Pari opportunità, e ciò avviene mentre l'ex decreto falsamente definito "contro il femminicidio", diventato legge ad ottobre 2013, rischia di far chiudere i veri centri antiviolenza e cancellare un bagaglio di esperienza e competenze. È tutto qui il paradosso creato dalla legge 119 che ha stanziato 17 milioni di euro (10 milioni per il 2013 e 7 per 2014) ma che prevede, tra questi, solo due milioni per le strutture esistenti che accolgono e assistono le donne vittime di violenza. Briciole che saranno ripartite tra i 352 centri individuati dal Governo e quantificate in 3.000 € all'anno per ognuno. Soldi con cui non si potranno nemmeno pagare le bollette.

I 15 milioni rimanenti invece saranno dei "classici" finanziamenti a pioggia: dalla creazione di strutture generiche di accoglienza alla costituzione di nuovi centri regionali, senza profili di specificità di genere e che non considerano standard di qualità. Uno schema rischioso che porterà a dannose logiche clientelari e spartitorie.

Abbiamo denunciato questa situazione ieri a Montecitorio, insieme a tutte le parlamentari di Sel e dando voce alle operatrici della Di.Re (Donne in rete contro la violenza) provenienti da 67 centri in tutta Italia, alcuni dei quali storici nati da associazioni negli anni '90. Donne che ho avuto la possibilità di conoscere l'anno scorso durante il mio viaggio #RestiamoVive nei centri antiviolenza italiani.

Il Governo ha svolto una mappatura per niente trasparente, non rispettando né criteri qualitativi né le linee guida della Convenzione di Istanbul che dal 1° agosto sarà legge. Il tutto mentre ancora il Piano nazionale Antiviolenza non è stato formulato e la delega alle Pari opportunità continua a rimanere nelle mani del premier. In alcuni casi l'esecutivo ha addirittura escluso realtà storiche e autogestite dalle donne, come in Piemonte e Toscana. Creando situazioni pericolose come a Torino, dove nello stesso luogo convivono il centro per le donne maltrattate e un centro per l'aiuto agli uomini maltrattanti. Mentre in Sicilia sono state mappate 52 strutture, spuntate come funghi e pronte a incassare i fondi.

Chiediamo che i criteri di riparto dei finanziamenti vengano ridiscussi e condivisi con i centri della rete nazionale, nel rispetto della Convenzione di Istanbul e delle linee guida europee. È importante che - come ha sottolineato Titti Carrano, presidente Di.Re - siano inclusi solo i centri del privato attivi almeno da 5 anni e che in una prima fase rimangano esclusi quelli pubblici.

Il governo Renzi, insomma, ci dica come intende mettere in pratica la Convenzione di Istanbul, che entrerà in vigore tra venti giorni: gli interventi contro la violenza sulle donne non sono un business, come sta rischiando di essere. Non mi rivolgo soltanto all'esecutivo, ma anche al Pd - forte del 41% ottenuto alle europee - e al Parlamento più rosa della storia che possono e devono direzionare la politica. Si affronti finalmente la violenza di genere come fenomeno strutturale, non con ennesimi provvedimenti contraddistinti da approcci securitari ed emergenziali.

Non è possibile continuare ad andare avanti a colpi di retorica, mortificando ancora una volta il corpo delle donne. Siamo di fronte allo svilimento di una rete di presidi fondamentali: adesso servono strumenti ispirati alla Convenzione di Istanbul, dalla prevenzione agli studi di genere, dall'introduzione dell'educazione sentimentale nelle scuole alla cultura.

E chiediamo al presidente del Consiglio che indichi al più presto un ministro delle pari opportunità visto e considerato che lui non ha idea di che cosa siano risparmiandoci quest'ulteriore vergogna.

Segui Celeste Costantino su Twitter: www.twitter.com/CelesteCost
 

martedì 8 luglio 2014

Quante volte vittima?

‪#‎BeatriceBallerini‬: ve la ricordate? fu massacrata dal marito, oggi una petizione chiede che l'eredità della sua pensione sia assegnata ai figli, mentre attualmente per il 60% spetta ancora a lui. In realtà esiste una legge che lo vieta; vedi: http://www.altalex.com/index.php?idnot=53426 • ma, perché sia applicabile, la condanna deve essere definitiva - cosa corretta secondo la civiltà giuridica e la Costituzione. 

Riportiamo qui, comunque, quanto scrive il fratello di Beatrice, che ha promosso la petizione: 


"Massimo Parlanti, reo confesso, è stato condannato con rito abbreviato a 18 anni di carcere per aver assassinato mia sorella. Probabilmente ne farà meno di 10, ed ha fatto ricorso perchè vuole uscire ancora prima. Dopo la separazione, avvenuta per il tradimento di lui, Parlanti ha adottato un crescendo di ritorsioni psicologiche e materiali utilizzando anche i bambini, come strumento contro Beatrice. Le ritorsioni divennero sempre più pressanti nell'impedire a Beatrice di lasciare l'abitazione coniugale che lei non poteva mantenere da sola, dove però lui poteva continuare a sentirsi padrone ed a manifestare la sua opprimente presenza.


Dopo diverse azioni legali, a seguito della vittoria di Beatrice, Parlanti si acquietò e poco dopo, un pomeriggio nell'occasione di un appuntamento fissato per recuperare degli oggetti in casa, la aggredì, la massacrò di calci e pugni e la strangolò.
Poi simulò un furto ed andò a prendere i loro due figli a scuola, passando con loro tutta la serata a giocare.


Qualche giorno dopo, quando gli inquirenti avevano già trovato tracce del DNA dell'assasino, prima che uscissero i risultati della analisi, lui confessò strumentalmente per ottenere i vantaggi delle falle della legge, sostenendo che si fosse trattato di un incidente.
Dall’Inps ho poi appreso che mentre i bambini di mia sorella, che noi stiamo accudendo, prendono il 40 per cento della pensione che gli spetta, a lui - l’omicida - spetta l’altro 60 per cento, e ne avrà diritto a vita. Questo accade perché non c'è un meccanismo automatico che prevede la dichiarazione di “indegnità a succedere” per l'assassino del coniuge, e così oltre la pensione, agli assassini spetta anche le eredità di chi ammazzano.


È inevitabile la sensazione di vivere in un paradosso, in un luogo, in un tempo in cui l’assurdo diventa la regola, in cui il surreale diventa prepotentemente più tangibile del reale, in cui ti si confondono tutti i valori, in cui ti domandi se quello che ti hanno detto è veramente quello che le tue orecchie hanno sentito.

Mia sorella era una donna vera e forte, ammazzata da un individuo che non è mai riuscito ad essere uomo.


Femminicidio: parola strana ma eloquente, nasconde un mondo occulto e subdolo, di personaggi bestiali, doppi e perversi, vuoti dentro. Ma qui siamo di fronte al paese che con il suo approccio grottesco è indulgente con i delinquenti ed esigente con le vittime, e con coloro che rimangono, che oltre a cavarsela da soli devono dimostrare di poter reggere una pressione che viene dalle stesse istituzioni che, invece di aiutare esigono e non riescono a rendere operativa la giustizia.


La domanda a cui ancora oggi non riesco a dare risposta è:

abbiamo una legge assurda e demenziale, fatta per i delinquenti, oppure semplicemente la giustizia, si scorda qualcosa, si è distratta ulteriormente?

Vi prego rispondetemi e rispondete nel nome di tutte le donne ammazzate, il numero delle quali sta crescendo, e crescerà se non si arginano almeno le conseguenze nefaste di una giustizia paradossale.
È importante perchè il fenomeno cresce e, avuta soddisfazione con l'omicidio questi massacri non diventino "sostenibili" ed "appetibili" per chi con ragionamento contorto, è sull'orlo di una decisione."


https://www.change.org/it/petizioni/matteo-renzi-giustizia-per-mia-sorella-beatrice-vittima-di-femminicidio-e-per-i-suoi-figli


lunedì 7 luglio 2014

Comunicato

Dichiarazione della Presidentessa di Telefono Rosa Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, in accordo con i Telefono Rosa di tutta Italia.

Vi preghiamo di condividerla.

Grazie dalle Volontarie del Telefono Rosa Nazionale.

"Stiamo denunciando da mesi, inascoltate, che l’assegnazione di 15 milioni su 17 alle Regioni è uno sbaglio enorme.
La “Convenzione di Istanbul” viene completamente ignorata.
Abbiamo scritto tre volte a Renzi senza alcuna risposta, sottolineando le diversità esistenti sul territorio italiano da Nord a Sud e la necessità che ci sia una guida politica competente e capace che armonizzi i vari interventi sulle diverse regioni.
Ora chiediamo, con tutte le Associazioni che si uniranno al nostro appello, di essere ASCOLTATE. Serve una visione di insieme di chi opera TUTTI i giorni sul campo!"

giovedì 3 luglio 2014

Missioni di pace che nascondono guerre

di Alessandro Di Battista

GUARDATE QUESTA FOTO, E' SCONVOLGENTE!

GUARDATE QUESTA FOTO, E' SCONVOLGENTE!

Questa foto non è stata scattata in Francia o in Germania. E' l'Afghanistan negli anni '60. Prima dell'invasione da parte dell'Unione Sovietica, prima che gli USA, in chiave anti-URSS si infilassero nella guerra armando i mujaheddin. Prima che gli stessi mujaheddin, una volta cacciati i sovietici, non si trasformassero in taglieggiatori. Prima che un gruppo di studenti delle scuole coraniche, i talebani (taleb significa studente in afgano) non cacciasse, ovviamente con la violenza, i mujaheddin per riportare ordine in un paese caduto in una guerra civile. Prima che venisse imposta la sharia, la legge islamica. Prima che, con la scusa del burqa, gli americani, con l'aiuto di molti stati, tra cui il nostro, non invadessero il Paese per esportare democrazia. Prima che i raid aerei USA non causassero decine di migliaia di morti di civili (di cui 33.000 bambini e i bambini afgani non sono meno bambini dei nostri). 

La violenza genera sempre violenza. L'integralismo religioso, dovunque e in tutte le epoche storiche, nasce come reazione, violenta, scomposta, indecorosa (usate tutti gli aggettivi che volete) ad un tentativo, anch'esso violento, di colonizzazione sia essa mentale, economica o militare.

Oggi si assiste nel mondo islamico, dall'Egitto all'Iraq passando per la Nigeria ad una tragica persecuzione dei cristiani. Tragica e inaccettabile. A me interessa capirne il motivo per intervenire e far in modo che questo non accada più. Ebbene perché avviene? Perché oggi i cristiani vengono associati, purtroppo, a quell'occidente che, forte del suo “vizio oscuro” (cit. Massimo Fini), ovvero quello di pensare che il suo modo di vivere sia l'unico possibile, ha condotto innumerevoli “missioni di pace” intelligenti come le bombe utilizzate. 

Questo atteggiamento di presunta superiorità ontologica, soltanto in Afghanistan, a noi italiani è costato 5 miliardi di euro. Questo abbiamo pagato per far parte del conflitto armato più lungo dalla II guerra mondiale in poi. Questo ci è costato, oltre a decine di nostri soldati morti, il dover obbedire, in modo servile, agli USA. 5 miliardi di euro quando pochi mesi fa il governo non è riuscito a trovare 45 milioni per gli alluvionati della Sardegna. 5 miliardi e per cosa poi? Come sta l'Afghanistan oggi? I talebani sono stati sconfitti? E l'Iraq? Nessuno qui difende Saddam Hussein, i dittatori vanno sempre e dovunque buttati giù, tuttavia lo deve fare il popolo sovrano, non una forza straniera. Oggi in Iraq vige la sharia pensate sotto Saddam non avveniva (era un sanguinario che utilizzò le armi chimiche donategli da USA per gasare centinaia di curdi ma era un laico).

Se al governo ci fosse il M5S i militari italiani (ottimi militari tra l'altro) non parteciperebbero mai a missioni di pace che nascondono guerre di invasione.

Questo è il mio intervento di ieri in aula al riguardo https://www.youtube.com/watch?v=3N7uppCAQ60

Non è stata scattata in Francia o in Germania. E' l'Afghanistan negli anni '60.

- Prima dell'invasione da parte dell'Unione Sovietica.

- Prima che gli USA, in chiave anti-URSS si infilassero nella guerra armando i mujaheddin.

- Prima che gli stessi mujaheddin, una volta cacciati i sovietici, non si trasformassero in taglieggiatori.

- Prima che un gruppo di studenti delle scuole coraniche, i talebani (taleb significa studente in afgano) non cacciasse, ovviamente con la violenza, i mujaheddin per riportare ordine in un paese caduto in una guerra civile.

- Prima che venisse imposta la sharia, la legge islamica.

- Prima che, con la scusa del burqa, gli americani, con l'aiuto di molti stati, tra cui il nostro, non invadessero il Paese per esportare democrazia.

- Prima che i raid aerei USA non causassero decine di migliaia di morti di civili (di cui 33.000 bambini e i bambini afgani non sono meno bambini dei nostri).

La violenza genera sempre violenza. L'integralismo religioso, dovunque e in tutte le epoche storiche, nasce come reazione, violenta, scomposta, indecorosa (usate tutti gli aggettivi che volete) ad un tentativo, anch'esso violento, di colonizzazione sia essa mentale, economica o militare.

Oggi si assiste nel mondo islamico, dall'Egitto all'Iraq passando per la Nigeria ad una tragica persecuzione dei cristiani. Tragica e inaccettabile. A me interessa capirne il motivo per intervenire e far in modo che questo non accada più.

Ebbene perché avviene?
Perché oggi i cristiani vengono associati, purtroppo, a quell'occidente che, forte del suo “vizio oscuro” (cit. Massimo Fini), ovvero quello di pensare che il suo modo di vivere sia l'unico possibile, ha condotto innumerevoli “missioni di pace” intelligenti come le bombe utilizzate. 

Questo atteggiamento di presunta superiorità ontologica, soltanto in Afghanistan, a noi italiani è costato 5 miliardi di euro. Questo abbiamo pagato per far parte del conflitto armato più lungo dalla II guerra mondiale in poi. Questo ci è costato, oltre a decine di nostri soldati morti, il dover obbedire, in modo servile, agli USA.
5 miliardi di euro quando pochi mesi fa il governo non è riuscito a trovare 45 milioni per gli alluvionati della Sardegna.

5 miliardi e per cosa poi?
Come sta l'Afghanistan oggi?
I talebani sono stati sconfitti?
E l'Iraq?
Nessuno qui difende Saddam Hussein, i dittatori vanno sempre e dovunque buttati giù, tuttavia lo deve fare il popolo sovrano, non una forza straniera. Oggi in Iraq vige la sharia pensate sotto Saddam non avveniva (era un sanguinario che utilizzò le armi chimiche donategli da USA per gasare centinaia di curdi ma era un laico).

Se al governo ci fosse il M5S i militari italiani (ottimi militari tra l'altro) non parteciperebbero mai a missioni di pace che nascondono guerre di invasione.

Questo è il mio intervento di ieri in aula al riguardo https://www.youtube.com/watch?v=3N7uppCAQ60

mercoledì 2 luglio 2014

Saiwa Bugaighis vive!


"Magari moriremo. E allora? La storia non morirà. E la storia sta con noi. Noi siamo nel giusto"

Queste le parole di Saiwa Bugaighis, l'avvocata delle donne e attivista per i diritti umani, assassinata a Bengasi il 25 giugno dalle milizie islamiste.

Saiwa era vicepresidente della Commissione per il Dialogo nazionale in Libia e attivista in prima linea nella difesa dei prigionieri politici. Più volte si era espressa contro il pericolo posto da gruppi islamisti fondamentalisti per il processo di costruzione nazionale.
Il suo assassinio è la prova della vulnerabilità delle nostre lotte e dell'impotenza di fronte alla brutalità dell'intolleranza fanatica, ma noi vogliamo ricordare la forza del suo coraggio civile e dell'intelligenza critica.
E' necessario che la sua lotta e la sua morte non restino isolate dall'indifferenza, ma che al contrario siano la base di nuove prospettive coraggiose per costruire alternative alla guerra e ai regimi autoritari.
  •  "il suo assassinio è la prova della vulnerabilità delle nostre lotte"
     io avrei scritto:
    "il suo assassinio è la prova che le nostre lotte fanno paura, e se credono di fermarle con l'omicidio si sbagliano di grosso: non fanno altro che alimentare la nostra forza che invece sarà maggiore, sempre più grande, e scavalcherà qualsiasi confine geografico"

  •  "La storia non morirà", questo è certo! Purtroppo la storia ha i suoi martiri e questa lunga lotta per la difesa dei nostri diritti è costellata di martiri, ma... "Noi siamo nel giusto" e otterremo il rispetto che ci spetta! volente o nolente, se ne dovranno fare una ragione questi uomini terrorizzati che pensano di risolvere il nostro risveglio con un omicidio.
    Si dice che il serpente per ucciderlo bisogna staccargli la testa... (è quanto credo pensino questi intolleranti fanatici) ebbene, in questa lotta a cui si partecipa attivamente a livello mondiale non c'è una testa da staccare e dunque... il serpente non morirà!

  • "impotenza di fronte alla brutalità"... purtroppo questa è ancora quotidiana in ogni parte del mondo e specialmente perché in ogni carnefice che compie gesti che ledono la vita e la libertà delle donne c'è intolleranza fanatica. Impotenza, ma fino ad un certo punto: le nostre battaglie, la nostra evoluzione, il nostro risveglio non potrà più essere fermato.

  • venceremos!!!

  • La lotta che questa donna, insieme a tante donne, ha ingaggiato, non finirà. Il segnale che deve arrivare ovunque è che l'omicidio non è la soluzione, anzi, alimenta la voglia di cambiare le cose.
    Alimenta, alimenta eccome! non saremo vittime della paura che intendono incuterci.

  • lotta dura senza paura!