giovedì 7 luglio 2016

Infibulazione: la testimonianza di Waris Dirie

"Ripercorrendo la triste piaga dell'‎infibulazione‬ attraverso la piccola grande storia di ‎Waris Dirie‬, vittima di questa pratica barbarica, divenuta poi portavoce dell'Onu contro le mutilazioni femminili"

(Silvia Ricciardi, giornalista)


Tagliata e cucita all'età di 3 anni: Waris Dirie è protagonista di una favola a lieto fine, pur partendo da tragici presupposti ancorati ad una pratica tanto barbara quanto fortemente radicata nelle popolazioni africane, l'infibulazione.


Roma - Waris Dirie è una di dodici figli di una famiglia nomade della Somalia in cui si crede fermamente che le giovani donne che si affacciano alla vita debbano essere marchiate per poter procedere verso l’età adulta purificate e pure da ogni tentazione. L’unico modo per poter godere a pieno dell’esistenza che è stata donata alla donna è essere tagliate e cucite, veder applicata sul proprio corpo la piaga dell’infibulazione, senza possibilità di scelta. Sono costrette a subire questo triste e doloroso destino molte donne africane, fu costretta a subire anche Waris Dirie, preda di dolori lancinanti alla tenera età di 3 anni, come raccontato dalla stessa nella sua autobiografia dal titolo “Fiore del deserto”.

Ed è proprio partendo dai ricordi e dalle scelte che Waris operò nel corso della sua vita che si dispiega l’omonimo film, diretto dalla regista tedesco americana Sherry Hormann. Appassionatasi alla storia vera di Waris Dirie, Sherry Hormann ha voluto incentrare la sua opera sulla sua protagonista, sul suo passato, di cui non potrà mai dimenticare il giorno in cui “divenne donna” secondo la tradizione, giorno ricostruito e mostrato in modo viscerale e ricco di pathos dal film, ma anche e soprattutto sul suo presente e futuro, in cui la presa di coscienza del carattere barbarico dell’infibulazione e la volontà di cambiare le usanze che fanno da padrone nella sua terra ha spinto Waris a combattere per i diritti delle donne somale e di tutte le donne di poter essere esse stesse padrone del proprio corpo.

Passato: Waris riuscì a trovare la forza, pur essendo ancora una bambina, per poter superare la ferita inflitta tanto al suo corpo quanto al suo animo. A differenza delle sue sorelle, una morta dissanguata e l’altra a causa di una grave infezione, Waris riuscì ad andare avanti nonostante fosse stata tradita da sua madre, dalla sua stessa famiglia che predicava ciecamente tradizioni di generazione in generazione.

L’infibulazione è una mutilazione genitale femminile, diffusa in gran parte del territorio africano, che prevede l’asportazione della clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra vaginali, a cui segue un’operazione di cucitura della vulva, lasciando solo un piccolo foro per le urine ed il sangue mestruale. Credenze associano ad un discorso religioso la pratica dell’infibulazione, ma in realtà è di origine preislamica, già utilizzata nell’antico Egitto e poi importata a Roma (e questo spiegherebbe il termine infibulazione che deriva proprio dal latino fibula, ossia spilla) per poter controllare le schiave.

Dopo aver sofferto per essere stata tagliata e cucita come fosse un oggetto da plasmare in base ad una volontà altra e aver raggiunto l’età di 13 anni, Waris fu venduta dal padre ad un uomo vedovo di 60 anni, ma questa volta non accettò passivamente il destino che altri avevano in serbo per lei e scappò.

Prima a Mogadisco, poi mandata a Londra presso la residenza di uno zio ambasciatore a lavorare come cameriera, Waris riscrisse quel destino che sembrava essere immutabile e a poco a poco scoprì di poter scegliere.

Presente e Futuro:
dopo che lo zio fu richiamato in Somalia, Waris poté contare unicamente sulle sue forze per andare avanti in un mondo con paesaggi, odori e colori così diversi dalle lande deserte e desolate della Somalia. Decise, quindi, di prendere lezioni serali per eliminare un’altra condizione che la rendeva schiava del suo passato, l’analfabetismo.

Come mostra il film, stava lavorando facendo le pulizie in un McDonald’s quando incontrò la persona che le avrebbe cambiato quella vita così piena di sofferenze.

Terry Donaldson, un fotografo di fama mondiale, notò la sua bellezza fuori dal comune e la convinse a posare, spianandole la scalata verso il successo e verso un roseo futuro da fotomodella.

Nonostante il radicale cambiamento che subì la sua vita, questa volta in positivo, nulla potrà riconsegnare al corpo trafitto di Waris ciò che le è stato sottratto. Divenuta una giovane donna, Waris ha preso coscienza, sa cosa ha dovuto subire e si schiera contro tali soprusi trovando la forza per raccontare la sua storia al mondo intero ed invitando in prima persona le famiglie africane a non perpetrare brutalità simili sulla propria progenie di sesso femminile: Waris è divenuta portavoce ufficiale della campagna dell’ONU contro le mutilazioni femminili.

Il tono drammatico che si adotta nel corso del film, cede spesso il passo a sano humor (ad esempio utilizzato per dipingere il mondo altezzoso delle top model), ma senza dimenticare il perno intorno a cui il lungometraggio così come l’intera storia della vita di Waris Dirie ruota, la tragica ma ancora esistente pratica dell’infibulazione, ripresa nel discorso di Waris a fine film per scandire a piena voce la necessità di porre fine alle insensate mutilazioni ai danni della donna.

FIO


About the Author Silvia Ricciardi


Laureata con il massimo dei voti in “Arti e Scienze dello Spettacolo: Cinema” presso La Sapienza di Roma con una tesi su “Partner” di Bernardo Bertolucci, collabora con diverse testate cartacee e online, tra le quali il mensile Marie Claire ed il bimestrale Just Cinema. Desiderando approfondire le sue conoscenze in settore cinematografico, ha seguito corsi incentrati su critica, ma anche su sceneggiatura e scrittura creativa, realizzando diversi cortometraggi. Ha collaborato con un ufficio stampa di cinema e libri e ha lavorato anche come segretaria di edizione per diversi film.


FONTE: http://ilkim.it/fiore-del-deserto/