mercoledì 28 gennaio 2015

OneBillionRising2015


LA MIA RIVOLUZIONE E'....

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DANZO PER I DIRITTI DI TUTTI

Non voglio intraprendere una lotta contro il patriarcato (finirei per diventare estremista!) ma voglio ottenere RISPETTO e UGUAGLIANZA per tutte le persone a prescindere dal genere, dall’età, dal credo religioso, dalla razza (razza? ma chi se l'è inventata questa parola per distinguere una popolazione da un'altra??), insomma VOGLIO rispetto e uguaglianza per tutti e per tutto poiché tutto è uno.
E dunque voglio RISPETTO per la NATURA che tanto ci dona (come il supporto necessario alla vita stessa di ognuno di noi), e quindi NO al MALTRATTAMENTO della TERRA (che ci cura e ci sostenta), e NO ai PESTICIDI in agricoltura (più cibo per tutti non si ottiene con i veleni), e NO alla distruzione degli ecosistemi per il profitto di pochi sconsiderati (la Terra è di ognuno degli esseri viventi che ospita).
VOGLIO un MONDO migliore dove si possa vivere in armonia con tutti e con la natura, e per far si che si realizzi questo desiderio posso solo aiutare me stessa e gli altri a vivere con più consapevolezza, preservando l'antica conoscenza delle Donne, coltivando saggezza, cantando con cuore audace, danzando con spirito libero.

SI, LO VOGLIO!!!

http://www.onebillionrising.org/share/danzo-per-diritti-di-tutti/



sabato 24 gennaio 2015

Ravensbrück: la guerra nascosta di Hitler alle donne

Giornata della Memoria

di Ottavia Spaggiari

La storia dimenticata del campo di concentramento femminile, progettato da Hitler con l’obiettivo specifico di eliminare le donne “non conformi”. Dal maggio del 1939 al 30 aprile del ’45, sono passate da qui 130 mila donne, provenienti da 20 nazioni diverse, 50 mila delle quali qui sono morte.

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Fonte: AFP/Getty Images
Un campo di concentramento femminile. L’unico progettato da Hitler, con l’obiettivo specifico di eliminare le donne “non conformi”: prigioniere politiche, lesbiche, rom, prostitute, disabili e donne semplicemente giudicate “inutili” dal regime.
La terribile vicenda di Ravensbrück, è tra quelle che ricorrono meno tra le storie dei sopravvissuti, eppure da questo campo di concentramento, 90 chilometri a nord di Berlino, dal maggio del 1939 al 30 aprile del ’45, sono passate 130 mila donne, provenienti da 20 nazioni diverse, 50 mila delle quali qui sono morte. Di queste solo il 10% era ebreo.

Una storia nascosta, a cui oggi dà forte rilievo il quotidiano britannico Independent, con una prima pagina dedicata alla memoria del terribile lager, tutto femminile, scritta da Sarah Helm, giornalista e autrice del libro, dal titolo evocativo dell’opera di Primo Levi, “Ravensbrück: If this is a woman”, “Se questa è una donna”, appunto.

“Poco dopo aver scritto il mio primo libro, nel 2005, mi venne chiesto su cosa avrei voluto lavorare dopo. Pensai subito a Ravensbrück, perché era una storia di donne straordinarie, di estremo coraggio, ma anche di estrema sofferenza e brutalità e non era ancora stata raccontata, almeno non in modo che la gente ascoltasse.”

E secondo Helm, le ragioni per cui Ravensbrück è rimasto ai margini della storia, sono diverse.

“Il campo era relativamente piccolo, non rientrava nella narrativa dominante dell’olocausto, molti documenti poi sono stati distrutti, inotre il lager è stato per anni nascosto dietro la cortina di ferro.”

Per Sarah Helm, che nel suo libro è riuscita faticosamente a raccogliere le testimonianze di alcune sopravvissute, tra i motivi che hanno portato Ravensbrück a rimanere nascosto, vi è anche la riluttanza delle vittime a parlare.

“Chi è riuscita a tornare a casa, spesso si vergognava per quello che aveva subito, come se fosse stata colpa sua. Parlando con diverse donne francesi, mi è stato detto che l’unica domanda che veniva rivolta loro, era se fossero state stuprate. Altre mi hanno raccontato che, quando si decisero a parlare nessuno credette a quelle storie orribili.” 
Racconta Helm, ricordando che invece, in Unione Sovietica, le sopravvissute rimasero zitte per paura. Secondo Stalin i russi dovevano combattere fino alla morte, quelli che erano stati catturati, potevano essere accusati di tradimento, indagati e spediti in altri campi di detenzione, questa volta in Siberia.

“Eppure nulla spiega davvero l’anonimato di questo campo.” Continua Helm. “I nazisti hanno commesso atrocità nei confronti delle donne, in molti altri posti. Più della metà degli ebrei uccisi nei campi di concentramento, erano donne. Ma come Auschwitz era la capitale dei crimini contro gli ebrei, Ravensbrück era la capitale dei crimini contro le donne.”

Le violenze atroci perpetrate nel lager, infatti erano specifici, crimini di genere, tra i più comuni, sterilizzazioni, aborti forzati e stupri.

“Forse gli storici mainstream -quasi tutti uomini- semplicemente non si sono interessati nello specifico a cosa accadesse alle donne. Eppure ignorare Ravensbrück significa ignorare una fase cruciale nella storia del nazismo. I crimini commessi qui non erano solo crimini contro l’umanità, ma crimini contro le donne.”

Negli ultimi mesi della guerra, nell’autunno del 1944, dopo che Himmler aveva ordinato la sospensione delle camere a gas, Ravensbrück ricevette un ordine diverso. Qui, in una baracca vicino al forno crematorio, venne costruita una camera a gas provvisoria, utilizzando componenti provenienti anche da Auschwitz.
6 mila donne vennero uccise, asfissiate. “Fu l’ultimo sterminio di massa del regime nazista”, scrive Helm. “Eppure è stato ignorato dalla storia per un lunghissimo periodo”.

Per sapere di più su Ravensbrück:

Le donne di Ravensbrück di Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone

 Ravensbrück di Germaine Tillion 


fonte: http://www.vita.it/societa/media-cultura/ravensbr-ck-la-guerra-nascosta-di-hitler-alle-donne.html

martedì 20 gennaio 2015

La Rivoluzione comincia dal corpo!

"Il Corpo Giusto" di Eve Ensler
 
(la traduzione è di Samuela Pagani, l'adattamento di Giuseppe Bertolucci e Luisa Grosso)


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EVE: Quand'ero piccola la gente mi chiedeva: cosa vorresti essere da grande?
Buona, rispondevo.
Voglio essere buona.
Diventare buona era più difficile che diventare dottore, astronauta o bagnino. Per fare queste cose bisogna superare una serie di prove; devi imparare a sezionare cadaveri o vincere la gravità o nuotare come un pesce. Diventare buona era diverso. Era astratto. Sembrava del tutto irraggiungibile. Divenne la sola cosa di cui mi importava. Se fossi stata buona, tutto sarebbe andato bene. Sarei stata amata da tutti. Avrei schivato la morte e sarei andata dritta in cielo.
Se adesso mi chiedeste cosa vuol dire essere buona, non lo so esattamente ancora.
Non ci sono mai riuscita a essere buona.
C’è un sentimento di cattiveria che vive in ogni parte del mio essere. Chiamatela ansia o disperazione. Chiamatela colpa o vergogna. Mi tiene sotto completa occupazione.

Più vecchia, apparentemente lucida e saggia divento, più inafferrabile, globalizzata e terrorista diventa la cattiveria.

Penso che per molte di noi - almeno per la maggior parte di noi (ma no, forse per tutte noi) - ci sia una particolare parte del nostro corpo dove si annida tutta la cattiveria: le cosce, il culo, il petto, i capelli, il naso, il mignolo del piede… Sapete di cosa parlo.


Dovunque sia andata nel mondo, che fosse a Tehran - dove le donne si sfasciano il naso e se lo rifanno per sembrare meno iraniane, o a Pechino, dove si spaccano le gambe e aggiungono pezzi di osso per diventare più alte, o a Dallas, dove si fanno temperare i piedi dal chirurgo per infilarli in un paio di Manolo Blahniks o di Jimmy Choos.
Dovunque incontro donne che concentrano il loro odio su una particolare parte del loro corpo. Passano la vita ad aggiustarla, a restringerla. Per trasformarla hanno armadietti pieni di prodotti di ogni tipo. E interi armadi di vestiti per nasconderla o per metterla in risalto. Sono state rese sovrane di un piccolo paese chiamato il loro corpo, che si mettono a tiranneggiare, ripulire, o controllare, perdendo di vista tutto il resto del mondo.


Ancora mi sembra incredibile che una come me, dopo trent'anni di femminismo radicale, sprechi tempo pensando alla sua pancia. E' il mio tormento, la mia distrazione: il più serio rapporto di coppia della mia vita. Si è intromessa nei miei vestiti, nella mia intimità, nella mia capacità di lavorare. Ho cercato di placarla, di educarla, di abbracciarla e, soprattutto, di cancellarla. 

Ecco cosa mi sembra di avere imparato fin qui: per essere buona devo essere una psicopatica sorridente, coinvolta in una relazione morbosa con un allenatore nazista, fortunatamente resa insensibile dal botulino, con un ago d’acciaio che mi succhia il grasso bianco come la vaniglia, e con la figa ristretta. Dovrò succhiare, spendere, strofinare, radere, pompare, farmi bucare da piercing e siringhe, farmi la permanente, tagliare, coprire, schiarire, stringere, stirare, tirare, martellare, spianare, cerare, attenuare, morire di fame e alla fine svanire.
Devo fermarmi.
Devo respirare.
Ho bisogno di essere qui.
Voglio essere capace di fare il mio lavoro.
Non voglio svanire.