sabato 31 ottobre 2015

“Perchè non sono femminista”: una replica argomentata

Di recente, è diventato virale questo video di Lauren Southern, opinionista web, in cui spiega perchè lei non è femminista. Le istanze elencate nel video sono molto simili a quelle che ho letto in questi giorni su questo blog in risposta agli articoli sul “privilegio maschile”.
Oggi mi è capitata sotto gli occhi questa risposta, e ho pensato di tradurla perchè mi sembra un ottimo contributo al dibattito.
Buona lettura :)

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“Perchè non sono femminista”: una replica argomentata
Di Jenna Christian

Negli ultimi giorni ho visto il tuo video spuntare un po' ovunque. Video in cui ci spieghi perché non sei femminista. Al centro del tuo intervento c’è questa premessa: “Non sono femminista perché penso che entrambi i generi dovrebbero essere trattati in maniera egualitaria”.

Lasciamo perdere per un attimo il fatto che non si dovrebbero ridurre i generi ad un sistema binario (qui trovi un ottimo spunto in proposito); vorrei intervenire a proposito della disinformazione che diffondi col tuo video: disinformazione sull’attivismo femminista e i relativi studi accademici, disinformazione sulla violenza domestica e lo stupro. […]
Quindi, analizzerò una per una le tue affermazioni. Proverò a metterti a disposizione alcuni riferimenti specifici alla letteratura femminista, così potrai farti un’idea della provenienza delle mie argomentazioni. Spero che questo possa anche aiutarti a rivedere alcune delle tue affermazioni, dato che sembra proprio tu non ti sia presa il tempo di scoprire cosa sia realmente il femminismo prima di attaccarlo in mondovisione. Procediamo.

1) tu chiedi: “Perchè le femministe non parlano in egual modo dei problemi legati ai generi?”

Laureen, se guardi alla storia del femminismo la risposta è lampante… Il femminismo è figlio dei movimenti per i diritti delle donne. Le radici della letteratura e dell’attivismo femminista sono quindi legate alla lotta contro la disuguaglianza delle donne.


Il femminismo odierno è la somma degli sforzi passati e presenti per risolvere le disuguaglianze che riguardano le donne, che includono:
- il mancato riconoscimento del loro status di cittadini completi;
- la negazione del diritto di disporre del proprio corpo;
- la mancanza di protezione dalla violenza domestica e per strada, nonchè la particolare violenza che viene loro riservata in guerra;
- le restrizioni imposte alle donne che cercano di avere le stesse opportunità degli uomini;
- le sovraimposizioni di genere che negano di fatto alle donne di esprimere liberamente la propria personalità, sessualità e identità di genere;
- la mancanza di rispetto e attenzione riservata alle voci delle donne e alle loro esperienze;
- la svalutazione del lavoro femminile;
- la mancanza di libertà quando si tratta di amore, e il dare per scontato che siano tutte eterosessuali;
- l’assenza delle donne nei luoghi di potere in cui si prendono decisioni che le riguardano personalmente;
- le onnipresenti disuguaglianze determinate da razza, etnia, colonialismo, cittadinanza, identità di genere, sessualità, disabilità e lingua che si sommano a quelle di genere.

Spero tu sappia che tutte queste problematiche sono e restano grande motivo di disuguaglianza nei confronti delle donne, e quindi la loro comprensione e risoluzione resta l’obiettivo primario del femminismo. Questo non significa che le femministe odino gli uomini o che non gli importi nulla quando viene fatto loro del male, nè significa che esse siano in qualche modo sessiste.
Ci sono delle serie e reali diseguaglianze nei confronti delle donne, e non è né irragionevole né sessista che un movimento sull’uguaglianza di genere si focalizzi principalmente su di essi.
Diresti a chi si occupa di discrimazione razziale che è razzista se non prende in considerazione anche tutti i problemi dei bianchi? Forse potresti, ma io spero proprio di no.
Detto questo, è bene notare che il femminismo si concentra molto anche sui problemi che riguardano gli uomini.
Come descriverò meglio al punto 2, gli stessi regimi di genere che condizionano negativamente le donne, condizionano altrettanto negativamente gli uomini. E il femminismo offre molti strumenti per combatterli in parallelo.
Non capirmi male però: questo non vuol dire che il femminismo è legittimo solo quando aiuta anche gli uomini. Ci sono delle problematiche serissime legate alla sicurezza, alla libertà e all’uguaglianza che riguardano solo ed esclusivamente le donne, e se tu vuoi che il femminismo si occupi di questi problemi solo quando questo porta un vantaggio anche agli uomini, non hai proprio capito il senso dell’operazione.

2) Tu dici: “le femministe non dicono nulla” a proposito dei suicidi maschili, dell’alto tasso di incidenti sul lavoro che li coinvolge, e dell’alto numero di morti in guerra o per omicidio di cui sono vittime.

A dire il vero, Lauren, c’è una lunga e ricca storia di analisi del gender fatta proprio dal femminismo a tale proposito, che si è occupato proprio di comprendere e sviscerare il problema delle morti maschili. In particolare: le femministe hanno dimostrato come i modelli di genere radicalizzino l’idea di quali siano i comportamenti adeguati per gli uomini e per le donne, e come questo sia determinante quando si parla di morti maschili.
Prendi ad esempio il problema degli uomini morti in guerra: le femministe hanno scritto moltissimo su quanto i modelli di mascolinità siano determinanti nel produrre una società in cui gli uomini devono incarnare uno spirito di sacrificio stoico, una fisicità forte e virile, mentre invece ci si aspetta che le donne siano deboli, passive e bisognose di protezione (da parte dell’uomo). Giusto per avere un assaggio della letteratura in proposito, puoi dare un’occhiata a:

 Cockburn, 2007;
 Cowen, 2008;
 Daniels, 2006;
 Dowler, 2001, 2011 e 2012;
 Eisenstein, 2008;
 Enloe, 1983, 1989, 2010 e 2014;
 Fluri, 2008 e 2011;
 Goldstein, 2001;
 Jacobs e altri, 2000;
 Mohanty e altri, 2008;
 Moser and Clark, 2005;
 Puar, 2007;
 Sjoberg, 2013;
 Tickner, 2001;
 Yuval-Davis, 1997.

Per darti un’idea, ecco cosa scrive la femminista Iris Marion Young (2003) a proposito della “logica del ruolo protettivo maschile”:
Nella logica patriarcale, il ruolo maschile del protettore pone i protetti, paradigmaticamente donne e bambini, in una posizione subordinata di dipendenza e obbedienza.

Le femministe hanno messo in discussione questa “logica del protettore” in molteplici contesti, ponendo l’attenzione sia su come essa deprivi le donne della loro libertà d’azione, sia su come caratterizzi la partecipazione maschile alla guerra, nonchè l’occorrenza di morti e feriti.

Nel suo libro Exposing Men (2006), Cynthia Daniel tratta ampiamente il modo in cui gli uomini riportano ferite di guerra, in particolare quelle che coinvolgono il sistema riproduttivo; più nello specifico, la Daniel approfondisce in che modo l’ideale di mascolinità influisca negativamente sulla richiesta di cure mediche (perchè “l’uomo deve essere virile, non debole”). Credimi, Lauren: le femministe si sono occupate eccome, di questi argomenti.

Aggiungerò solo un’altra piccola nota: una delle ragioni per cui c’è una sproporzione fra morti maschili e morti femminili in guerra è che le attitudini spiccatamente sessiste dell’esercito americano hanno storicamente sbarrato la strada alle donne soldato.
Se cerchi uguaglianza quando si parla di carriera militare, dovresti buttare un’occhio ai lavori di femministe come Cynthia Cohn o Megan MacKenzie, che hanno scritto materiale davvero convincente riguardo alla credenza che le donne non sanno combattere, mettendo in discussione la loro esclusione aprioristica dal campo di battaglia.
 

Per quanto riguarda gli altri argomenti a cui hai accennato (le morti sul lavoro, i suicidi, e gli omicidi): anche in questo caso trovi moltissime femministe che hanno spiegato in maniera brillante come la nozione di “mascolinità” determini la forza lavoro, nonchè l’uso degli equipaggiamenti di sicurezza da parte dei lavoratori. Vedi ad esempo il lavoro della mia collega Arielle Hesse, che prende in esame la relazione fra mascolinità e sicurezza sul lavoro nell’industria (a prevalenza maschile) del gas naturale in Pennsylvania. 

Oppure Miles Groth, che nel suo libro Boys to Men: The Science of Masculinity and Manhood, descrive come lo stereotipo del “sii uomo” sia determinante per l’alto numero di suicidi fra i ragazzi. Groth sostiene che l’impegno delle femministe nell’abolire i modelli restrittivi legati al genere sia a tutti gli effetti di vitale importanza per risolvere il problema. (Ci sono anche altri che si sono occupati del problema, cercali su google. Puoi anche cercare “masculinity and crime/gangs” per avere un’idea di come il femminismo dia un utile contributo per comprendere le statistiche di omicidi maschili. Ti suggerisco anche Melissa Wright (2011), che ha scritto a proposito di omicidio, sia maschile che femminile, nell’ottica del femminismo).

3) Tu dici: “Quasi metà delle vittime di violenza domestica in USA e Canada sono uomini.”
 

Non citi alcuna fonte, Lauren, e non ho idea di dove tu abbia trovato questa statistica. In ogni caso, a seconda di dove vai a cercare, puoi trovare statistiche estremamente diverse. Alcune ti mostreranno ciò che tu descrivi (una relativa simmetria fra i due generi), mentre altre riporteranno che sono in particolar modo le donne ad essere vittima di Violenza Privata da parte del Partner (VPP). Perchè ci sono dunque cifre così diverse?
Michael Johnson (2011) ha scritto un articolo molto interessante che risponde in maniera diretta alla tua affermazione, intitolato Gender and types of intimate partner violence: A response to an anti-feminist literature review, ma proverò a riassumere brevemente il concetto. Anzi, dato che altre persone l’hanno già fatto prima di me, citerò Kelly e Johnson (2008):

Sono gli uomini ad essere più violenti nelle relazioni intime, o la violenza è perpetrata ugualmente da entrambi i generi? Per più di vent’anni se n’è discusso. I sostenitori dell’una e dell’altra teoria citano molti studi empirici a supporto del proprio punto di vista … Possiamo però conciliarli se esaminiamo i criteri di misurazione e i campioni raccolti da questi dati contraddittori, e se riconosciamo che nella nostra società esistono diversi tipi di VPP; queste differenze influiscono sui campioni … In base a centinaia di ricerche risulta, sia uomini che donne sono violenti nelle relazioni, ed è evidente che c’è parità di genere quando si parla di determinati tipi di violenza …

Ecco, adesso possiamo analizzare i dati in dettaglio! Ne emerge che esistono alcune importanti tipologie di VPP, molto differenti fra loro (che sono state documentate differentemente nelle statistiche che tu citi):

Violenza Coercitiva e Dispotica: è la prima cosa che viene in mente alla maggior parte delle persone quando si parla di violenza domestica. Questo tipo di VPP è consueta, ed è usata per controllare il partner avvalendosi di molte forme di coercizione (il ricatto economico, il plagiare i figli, la colpevolizzazione, l’abuso sessuale e emotivo, l’intimidazione e l’uso di violenza fisica). Questo tipo di violenza ha maggiori probabilità di sfociare in lesioni fisiche e morte. Sebbene anche gli uomini possano esserne vittima, in generale la stragrande maggioranza di questo genere di violenza è perpetrato da uomini etero ai danni delle loro partner femminili. Esso affonda le proprie radici nel patriarcato e nella misoginia. Come riportato da Johnson e Kelly, è questo il tipo di violenza che i dati raccolti tramite le case d’accoglienza, i programmi di riabilitazione governativi, i rapporti di polizia e i pronto soccorso, tendono a mettere in evidenza.

Resistenza Violenta: questo tipo di violenza si presenta quando il partner resiste con la violenza alla violenza coercitiva (qualcosa di simile alla “legittima difesa”, che però ha connotati giuridici precisi). Questo genere di violenza è perpetrato, nella stragrande maggioranza dei casi, da donne ai danni di partner coercitivi e dispotici; ma le denunce sono talvolta registrate e questo influenza le statistiche. Al contrario della violenza coercitiva e dispotica, la resistenza violenta è una reazione e il suo fine ultimo non è il controllo del partner.

Violenza Situazionale di Coppia: questa è di gran lunga la tipologia più comune di VPP, ed è perpetrata tanto dagli uomini quanto dalle donne (anche se, pure in questo caso, le statistiche pendono leggermente verso gli uomini). Di solito è il risultato di un litigio fra partner in cui si alzano i toni, ma non rappresenta né violenza cronica, né intimidazione, né stalking. Nonostante sia un problema serio e possa risultare fatale, nel complesso tende a limitarsi a forme di violenza minori (strattonare, spingere o afferrare il partner), ed è molto meno probabile che comporti lesioni fisiche gravi. Inoltre la paura del partner non è caratteristica di questo genere di VPP, né per gli uomini né per le donne. Ricerche su larga scala, sia locali che nazionali, prendono in maggior considerazione questo genere di violenza, e finiscono quindi per riscontrare una certa parità di genere nella perpetuazione della violenza di coppia.
Quindi sì, Lauren, hai ragione quando dici che gli uomini sono altrettanto vittime della VPP. Sia gli uomini che le donne, etero e non, commettono violenza. È questo è assolutamente da non prendere sottogamba. Ma quando si parla di violenza sistematica, che si esprime esercitando paura e controllo, e che comporta lesioni gravi, la stragrande maggioranza degli aggressori sono uomini, e la stragrande maggioranza delle vittime sono donne.

Almeno un terzo delle donne uccise negli USA sono vittime dei loro compagni [il 66% circa in Italia, fonti in nota, N.d.T.], contro il 2.5% di omicidi maschili perpetrati da donne. In generale, i dati che tu citi tendono all’uguaglianza fra uomini e donne quando si parla di violenza a bassa intensità perchè non prendono in considerazione la gravità e la frequenza delle aggressioni, e nemmeno se sono una forma di autodifesa, o se facevano parte o meno di un quadro più ampio di coercizione e dominio basato sulla paura. A questo aggiungi anche che gli uomini, qualora vittime, sono più portati a chiamare la polizia e sporgere denuncia, e meno portati a ritirarla.
Tutto ciò non significa che alle femministe non importi degli uomini vittima di violenze, nè che non vogliano che anche loro siano protetti, anzi.
Tuttavia, dopo aver analizzato i dati, non dovrebbe sorprenderti che le femministe si concentrino maggiormente sulla violenza di tipo dispotico e coercitivo subita dalle donne. Oltretutto, tieni conto di come la VPP è determinata dal patriarcato legalizzato e capillare che ancora persiste nel nostro paese: fino a non molto tempo fa, gli uomini avevano il diritto legale di picchiare le proprie mogli [la potestà maritale, in Italia, è rimasta in vigore fino al 1975, N.d.T.]. Di fatto, ancora negli anni ’80 la polizia dava bassa priorità alle richieste di intervento in caso di violenza domestica. E spesso le mogli maltrattate non avevano gli strumenti legali per richiedere la protezione dello stato. Questa logica del dominio maschile sulle donne non è stata del tutto cancellata dalla storia, Lauren, e continua a influenzare il modo in cui le donne vengono trattate dai loro partner e dallo Stato che dovrebbe proteggerle.
Un’altra cosa: non è vero che gli uomini vittime di violenza non hanno accesso a servizi a loro dedicati, come tu sostieni. Il Violence Against Women Act (VAWA), ottenuto dalle femministe nel 1994, offre protezione legale a tutte le vittime di violenza domestica, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali, offrendo loro gli stessi identici servizi e tutele.
Ci sono moltissime femministe che combattono il problema della violenza domestica, e se vuoi approfondire ti consiglio in particolare il lavoro di Rachel Pain e Dana Cuomo.

4) Tu dici: Il problema degli stupri nelle prigioni riguarda più gli uomini che le donne, ma “le femministe non ne fanno parola”.
 

Questo è palesemente falso. Prima di tutto, hanno combattuto su più fronti per ottenere una redefinizione del concetto di stupro, così da poter includere anche le vittime maschili (e altre forme di stupro, come ad esempio la corruzione di minore) che prima non erano riconosciute. Sono stati la Feminist Majority Foundation e il giornale Ms.Magazine a lanciare la campagna Lo Stupro è Stupro, culminata nella radicale ridefinizione del vecchio termine che non includeva le vittime maschili. Secondo, le femministe hanno guidato la coalizione che reclamava a gran voce il Prison Rape Elimination Act of 2003, atto a proteggere tutti i prigionieri dalla violenza sessuale (per la maggior parte uomini).
(Allo stesso modo, potresti notare che le femministe sono schierate in prima linea per combattere la violenza sessuale nelle caserme, che coinvolge per lo più gli uomini).
Gli stupri nelle prigioni restano un serio problema che coinvolge migliaia di persone, e di certo merita più attenzione di quanto ne riceva al momento, anche da parte del femminismo. Tuttavia, fra tutti quelli che si stanno occupando del problema, il femminismo è in prima linea e fa sentire la sua voce. Fra i tanti, prova a dare un’occhiata ai lavori di

 Angela Davis (2003 e 2005),
 Dillon (2012),
 Gilmore e Loyd (2013),
 Jackson (2013),
 Lamble (2013),
 Puar (2007),
 Sabo e Kupers (2001),
 Sundbury (2005), etc.

5) Tu dici: “ Le femministe sostengono aprioristicamente che tutti gli uomini sono privilegiati, e tutte le donne oppresse.”
 

Questa è una visione distorta di ciò che le femministe sostengono. Sì, le femministe sostengono che essere uomo in una società dominata dall’uomo comporti dei privilegi particolari – come ad esempio essere pagati di più, avere una maggiore e più efficace rappresentanza tra le poltrone del potere, avere una corsia preferenziale per le proprie opinioni in molti contesti, e via discorrendo. Ma le femministe NON danno per scontato che tutti gli uomini beneficino allo stesso modo di questi privilegi, così come non danno per scontato che tutte le donne siano egualmente emarginate.

La complessità del privilegio e dell’oppressione è la prima ragione della nascita dell’intersezionalità (Ehi! Queste sono le basi del femminismo!). 

L’intersezionalità è nata principalmente in seguito alle critiche mosse alle femministe bianche dalle donne di colore e del terzo mondo, che chiedevano un femminismo maggiormente focalizzato su come razza, classe, colonialismo e altri sistemi di potere si sommino alla discriminazione di genere. 

Ripetiamolo: non tutte le donne sono emarginate allo stesso modo, e il privilegio che deriva dall’essere, per dire, bianca o in salute, può giocare un ruolo fondamentale su come e quanto ci si possa sentire oppressi a causa del genere.
Le femministe NON sostengono che esista un’oppressione universale sulle donne. Per dirla tutta, è stato proprio l’assunto che “tutte le donne sono oppresse” che ha galvanizzaro il dibattito sul femminismo postcoloniale e di colore in una forte critica al “Femminismo di Seconda Generazione” [con “Second Wave Feminism”, si intende il femminismo che si colloca fra il 1960 e il 1980, N.d.T.].
C’è stata in passato una tendenza delle donne bianche a definire le donne di colore e del terzo mondo come universalmente oppresse dalla loro cultura e dai loro uomini, e quindi bisognose di essere salvate (dalle femministe bianche) o di qualcuno che parlasse per loro (sempre le femministe bianche). Questa tendenza, seppur obsoleta e superata, non è ancora del tutto estinta.
Questo è ciò di cui parla Spivak quando dice che le donne di colore non hanno alcun bisogno di uomini (o donne) bianchi che li salvino dai loro uomini neri. 


Se vuoi saperne di più in proposito, ti consiglio l’articolo di Gayatri Spivak “Can the Subaltern Speak”, oppure “Under Western Eyes” di Chandra Mohanty. Le loro intuizioni sono alla base di ciò che viene comunemente definito “Femminismo di Terza Generazione”, che tu erroneamente ritieni essere fondato sul concetto “dell’oppressione universale”. [il “Third-Wave Feminism” nasce intorno ai primi anni ’90 ed è tutt’ora in corso, N.d.T.].
Quindi sì, le femministe si occupano eccome di come il patriarcato e il sessismo si sovrappongono ad altre strutture, come la classe, la razza, la sessualità, la nazionalità, per generare specifiche tipologie di violenza verso le donne.
Come puoi intuire, questo argomento è molto più variegato di come tu l’hai descritto. (A questo proposito, potrebbe interessarti come il femminismo si è opposto all’idea che gli uomini siano naturalmente degli aggressori e le donne naturalmente vittime. Qui trovi un esempio. Un’altra ottima fonte potrebbe essere Victims, Perpetrators or Actors, di Clark e Moser, 2001).

6) Tu dici: “in quanto donna, otterrei quasi sicuramente la custodia dei figli in caso di divorzio”.
 

Ancora una volta, dovresti dare un’occhiata alla vasta letteratura femminista in proposito per farti un’idea del perchè ciò accada. Il motivo per cui le donne ottengono più facilmente la custodia dei figli è, senza ombra di dubbio, legato ai modelli di genere per i quali la donna (e non l‘uomo) sarebbe una “badante e nutrice naturale”, il cui ruolo primo e ultimo è quello di essere madre. Al contrario dell’uomo, a cui storicamente la nostra società ha assegnato il ruolo di capofamiglia, lavoratore e cittadino produttivo. Questi preconcetti hanno ridotto drammaticamente le possibilità di realizzazione che le donne hanno a disposizione, e hanno contribuito a svalutare il lavoro femminile fuori e dentro casa: per questo le femministe li hanno combattuti per decenni (Mitchell e altri, 2003).
Ecco alcuni esempi di come questo pregiudizio di donna=madre sia dannoso per le donne:
– Lo stigma sociale che pende sulla testa di tutte coloro che non vogliono, o non possono, avere figli;
– La svalutazione del lavoro casalingo, come se non meritasse di essere pagato o riconosciuto come produttivo;
– Le paghe più basse per le donne che lavorano fuori casa (“il suo stipendio è solo un supplemento a quello del marito”)
– Le donne che non incarnano al cento per cento un ideale materno e accogliente sono viste come “troppo intraprendenti”, “troppo aggressive”, “isteriche” o “bisbetiche”;
– Il dare per scontato che le donne, essendo naturalmente portate ai lavori domestici, anche sul posto di lavoro siano tenute ad occuparsene più degli altri. Motivo per il quale viene loro richiesto anche in ufficio di cucinare, organizzare feste, decorare e pulire.
Potrei continuare ancora, ma mi fermo qui.
D’altro canto, gli uomini che stanno rianalizzando il loro ruolo paterno potrebbero restare sorpresi nello scoprire che la visione pregiudizievole dell’intrinseco senso materno delle donne (che le femministe criticano aspramente) si ripercuote anche su come la società percepisce gli uomini in quanto padri (basti pensare ad esempio a come vengono visti gli uomini che scelgono di essere padri casalinghi). Potrebbero accorgersi che, effettivamente, gli obiettivi che il femminismo si prefigge sono i loro stessi obiettivi: cambiare le aspettative di genere in materia di genitorialità. Inoltre, è proprio grazie alle lotte femministe che gli uomini oggi posso beneficiare di politiche familiari come il Family and Medical Leave Act [simile al nostro congedo familiare, N.d.T.] o il congedo di paternità.

7) Tu dici: “In quanto donna, se dico di essere stata violentata o assalita vengo presa seriamente”
 

Lauren, ti è capitato di leggere di stupri negli USA? Pensi davvero che sia corretto dire che le vittime vengono prese sul serio? Davvero? Ne sei proprio sicura? Le donne sono costantemente accusate per lo stupro subito (“lei lo ha provocato”, “era vestita in maniera troppo sexy”, “lei non doveva bere così tanto”, “lei avrebbe dovuto stargli lontano”, ecc. ecc.). C’è COSÌ TANTA documentazione di donne che non sono state credute che la tua affermazione è davvero inquietante. Questo vale in particolar modo per le donne di colore, che vengono prese ancora meno sul serio. Qui trovi solo alcuni articoli per capire di cosa sto parlando: 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Per quanto riguarda l’impegno del femminismo in materia di stupro negli USA, ti ricordo che la Title IX legislation – fortemente voluta nei campus dei college proprio dalle femministe – offre protezione dalle molestie sessuali a tutti gli studenti, inclusi gli uomini.

8) Tu dici: “In quanto donna, nessuno mi prenderà mai in giro perchè non sono abbastanza virile”
 

Hai ragione. Molto probabilmente nessuno riderà di te perchè non sei abbastanza virile. Ma siccome sei donna, potrebbero deriderti se sei troppo mascolina. Quando si superano i confini dei comportamenti di genere socialmente accettati (un uomo che esprime femminilità, o una donna che esprime mascolinità) è problematico sia per gli uomini che per le donne. E, ancora una volta, c’è MOLTISSIMO materiale femminista in proposito che può aiutare a trovare i linguaggi, le strategie e il sostegno che servono per affrontare questo doloroso problema causato dai modelli di genere, problema che affligge sia gli uomini che le donne.
Una postilla: per una donna in un contesto dominato dagli uomini, come ad esempio esercito, polizia, vigili del fuoco ecc., è probabile scontrarsi con lo stereotipo del “non essere abbastanza uomo”. Ancora una volta, il femminismo ci aiuta a comprendere il problema (ad esempio, per le donne vigili del fuoco, o soldato).

Lauren, spero che questo mio intervento possa servire a chiarirti meglio i problemi che hai detto di avere col femminismo. Spero anche che ti sia di spunto per documentarti e fare ricerca sul lavoro fatto dal femminismo, e rivedere le tue posizioni in merito. Se vuoi informarti un pò di più su quello che il femminismo ha fatto per gli uomini, qui e qua trovi ancora altro materiale. Potrebbe anche esserti utile parlare con uomini femministi, e chiedergli perchè lo sono.
Con i migliori auguri,
Una femminista.
***
L’autrice dell’articolo è Jenna Christian, membro della National Science Foundation e dottoranda in Geography and Women’s Studies presso la Penn State University. Si occupa di teorie femministe, “critical geography” e “critical race” negli studi sull’esercito americano, cittadinanza, scolarizzazione, movimenti sociali e pacifismo.
Per chi volesse approfondire, in coda all’articolo originale (in inglese) si trova una vasta bibliografia.
Per chi invece è interessato ai dati sul femminicidio in italia, rimando a questo articolo; per un analisi della violenza di genere in relazione al femminicidio, invece, si veda questo. Entrambi gli articoli sono pubblicato da ISTAT Italia.

Traduzione: Manu
Revisione: Eddie

venerdì 30 ottobre 2015

La lotta delle "intoccabili"

Come le donne "Intoccabili" dell'India stanno reagendo contro le violenze sessuali

Foto: per gentile concessione di Thenmozhi Soundararajan / dalit Women Fight.
Manisha Mashaal (seconda da destra) protesta con altre persone Dalit per porre fine alla violenza sessuale in India. Donne Dalit lottano per Manisha.

Mashaal aveva cinque anni quando il suo maestro di scuola per primo l'ha chiamata una "intoccabile" di fronte al resto della sua classe.

"Questo è quando ho scoperto il motivo per cui la casa della mia famiglia era così vicina alla discarica di rifiuti del paese, e perché era così separata dalle case delle caste dominanti", ha detto Mashaal.

L'India è la patria di più di 100 milioni di donne Dalit, secondo il censimento nazionale 2011. I Dalit, a volte indicati come "intoccabili", sono stati a lungo considerati il gradino più basso del sistema delle caste indiano, nonostante il fatto che la costituzione dell'India dal 1950 ha apparentemente abolita intoccabilità.

Mashaal, ora 27enne, ha detto che ha affrontato vessazioni da studenti e insegnanti nel suo villaggio di Badarpur a causa del suo background. Ha detto che gli insegnanti hanno gettato il suo zainetto fuori dalla classe e si sono rifiutati di controllare i compiti, mentre gli studenti cantavano filastrocche canzonatorie a lei e agli altri bambini dalit.

Ma come è cresciuta, le rime canzonatoriesi sono sempre più trasformate in minacce di violenza sessuale, ha detto Mashaal. Dall'età di 16 anni ha iniziato a partecipare nella Dalit-comunità ad incontri di solidarietà per esaminare come poter proteggere se stessa.
Per le vittime di violenza sessuale dalit, Marshaal ha detto, la risposta dagli agenti di polizia è spesso "Come puoi essere stata violentata Sei un Dalit? Toccandoti chiunque diventerebbe spiritualmente impuro".

E Mashaal era tutt'altro che sola. Uno studio della Campagna nazionale sui Dalit per i diritti umani ha rilevato che più della metà delle donne Dalit ha subito aggressioni fisiche. Più del 46% ha subito molestie sessuali. Il 23% hanno detto che era stata violentata.

Foto: per gentile concessione di Manisha Mashaal.
Manisha Mashaal in Assam, in India.

Questo atteggiamento in India e la posizione del paese verso lo stupro, in generale, erano entrambi i motivi per i quali Mashaal e altri hanno deciso di mobilitarsi e creare Dalit Women Fight. Questo mese, il gruppo ha viaggiato in tutto il Nord America per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni che devono affrontare le donne Dalit, trovando alleati nei movimenti Black Lives Matter e Say Her Name.
Mashaal ha detto che il gruppo sta parlando contro quello che considerano le carenze sistemiche del governo indiano per rompere il silenzio della casta dell'apartheid e dello stupro basato sulle caste. La lotta delle donne dalit è stata il frutto della All India Dalit Forum dei diritti delle donne, creato intorno al periodo del bus brutale stupro Delhi.

Il 16 dicembre 2012, sei uomini hanno brutalmente violentata e picchiata una studente di 23 anni, su un autobus in movimento a Delhi. La vittima, che è diventata nota come Nirbhaya, poi morta per le ferite riportate, e il caso orribile ha fatto notizia in tutto il mondo. Si richiama l'attenzione tanto necessaria alla questione dello stupro in India, ha detto Mashaal.

"Lo stupro di gruppo di Nirbhaya su un autobus in movimento a Nuova Delhi ha scosso il mondo Era volata all'estero per la chirurgia. I documentari sono stati fatti circa la sua storia per evidenziare la questione della violenza sessuale di genere in India", ha detto Mashaal. "Ma per quanto riguarda gli stupri delle donne dalit che si verificano a causa della intersezionalità di genere, casta, e classe? Questi stupri non sono nemmeno permessi di essere registrati nelle stazioni di polizia."

Mashaal ha detto a  Refinery29 come nel mese di agosto del 2013, Kaafee, una donna dalid 22enne che stava studiando per diventare insegnante, è stata rapita mentre si recava a dare un esame. Il giorno successivo, Kaafee è stata trovata morta. Era stata violentata, e aveva segni di bruciature di sigaretta su tutto il corpo.

"Ne avevamo avuto abbastanza. Ci siamo sedute fuori l'ospedale governativo dov'era il suo corpo, per quattro giorni. Il nostro impegno è stato che non ci saremmo mosse finché i registri di polizia [il fatto] non avessero riportato che era stata violentata, torturata, e uccisa", ha detto Mashaal.

Ma la polizia ha sostenuto che Kaafee si era suicidata, e ha rifiutato di consentire anche una autopsia medico-legale. "Non credo che Kaafee o migliaia di altre ragazze dalit come lei, potrà mai ottenere giustizia", ​​ha aggiunto.

E non è solo la molestia sessuale-based che la gente dalit deve affrontare. L'8 ottobre, un paio di dalit sarebbero state spogliate dalla polizia a Greater Noida e fatte sfilare nude intorno perché hanno insistito per la registrazione di un rapporto di polizia per presunta rapina, l'International Business Times.

I membri Dalit Women Fight hanno detto a Refinery29 che la discriminazione basata sulle caste non è solo relegata ai villaggi sperduti. Hanno detto che l'oppressione è altrettanto evidente nelle massicce metropoli dell'India.

Anjum Singh, una 36enne Dalit, è nata e cresciuta nella vivace città di New Delhi, la capitale dell'India. La sua famiglia ha vissuto li per sette generazioni.

"New Delhi potrebbe essere stata rinnovata attraverso la costruzione di centri commerciali giganteschi e cavalcavia, ma la mentalità delle persone non è modificata", ha detto Singh a Refinery29. "Ancora si riferiscono a noi come intoccabili. I nostri quartieri sono considerati impuri, non ci è consentito andare nei templi appartenenti a caste superiori, e non siamo autorizzati alla dignità fondamentale di mangiare o di bere con i non dalit".

Sushma Raj, una donna Dalit, ha detto che doveva combattere i suoi genitori per andare a scuola, piuttosto che sposarsi.

Singh è entrata nelle Dalit Donne per combattere e ha detto che una missione di accertamento dei fatti da parte del gruppo ha scoperto che durante un periodo di due mesi, più di 40 casi di violenza sessuale di casta andarono denunciati nello stato di Haryana. La maggior parte delle persone in Harayana appartengono alla casta Jat, una delle caste dominanti, secondo The Indian Express.

"Dice il proverbio che un uomo Jat non può sapere che cosa la sua terra sa di se fino a che non assaggia le donne Dalit che vivono lì", ha detto Mashaal a Refinery29. "Non è raro per le spose Dalit dormire con i loro proprietari, piuttosto con i loro mariti la prima notte dopo il matrimonio."

Mashaal e Singh, insieme ad altre donne membri del Dalit Lotta, domanda perché porre fine alla violenza sessuale contro le donne dalit non è una priorità per il governo indiano o i media indiani.

"Quando ci sediamo in segno di protesta, se questa è a Nuova Delhi e nel villaggio di Badarpur, nessuna donna non Dalit mostra solidarietà con noi", ha detto Mashaal. "Se si fanno vedere a un sit-in o ad una protesta, è per chiederci perché siamo così drammatiche o per cercare di farci raggiungere un compromesso con le autorità al fine di metterci a tacere."

Sushma Raj, un'altra donna dalit che è venuto negli Stati Uniti per sensibilizzare, è uno dei membri più giovani, 25 anni. Raj è una combattente; la sua prima grande battaglia era contro i suoi genitori, che non supportano la sua educazione.

"Hanno detto, 'Che cosa potrà fare l'educazione per te? E' meglio stare a casa e sposarsi", ha detto Raj a Refinery29.

Ma Raj ha detto che credeva che una vita dove non poteva pretendere il cambiamento non era una vita degna di essere vissuta, così lei ha fatto lo sciopero della fame.

"Ho detto loro che possono o lasciarmi morire o lasciarmi andare a scuola", ha detto Raj.

Per quattro anni, ha pedalato 22 miglia a scuola ogni giorno. Ha anche iniziato tutoraggio ad altri studenti dalit nella comunità, e alla fine è stata assunta come insegnante.

"Una volta che i miei genitori hanno capito come l'educazione può fare la differenzane nella vita, e le donne come me possono fare la differenza nella comunità Dalit, hanno completamente cominciato a sostenermi", ha detto Raj. "L'unica preoccupazione di mia madre era il mio matrimonio, ma questo è un problema mondiale, non è vero?"

Raj ora vive a Patna con il marito, ed entrambi lavorano per la comunità Dalit. Si occupa di missioni conoscitive per saperne di più su casi di stupro, per creare report, e affinché le autorità registrino correttamente e indaghino su questi incidenti.

Ma le donne Dalit spesso si scontrano con ostacoli significativi in ​​un sistema in cui credono che è progettato per funzionare contro di loro, gli attivisti hanno detto. Sanghapali Aruna, 34, è un attivista dalit che è anche parte della campagna della Lotta delle Donne dalit.
Foto: per gentile concessione di Sanghapali Aruna
Sanghapali Aruna ha detto che dopo aver appreso che lei era dalla casta dei Dalit, un intervistatore che lavora presso una delle grandi aziende di marketing in India ha nnullato la sua offerta. Da allora, ha lavorato come attivista.
Aruna ha detto che suo padre è anche un attivista dalit, e crescendo, gli è stato costantemente insegnato a essere orgoglioso della sua identità e della sua casta. Dopo un colloquio di lavoro in una delle principali società di marketing in India, ha detto che l'intervistatore le chiese a quale casta apparteneva dopo essersi congratulato con lei per aver ottenuto il lavoro. Aruna con orgoglio gli ha detto che era da parte della comunità Dalit.

"L'intervistatore non ha detto nulla, ma potrei dire che fu preso alla sprovvista. Ha ritirato di nuovo l'offerta di lavoro e mi ha detto di aspettare la sua telefonata mentre si prende una decisione definitiva", ha detto Aruna.

Lei non ha mai ricevuto quella chiamata, o quel lavoro. Ma lei divenne coinvolta nell'attivismo Dalit. Lei mette in discussione il governo indiano sul perché degli stupri delle donne Dalit non gli è nemmeno concessa la stessa attenzione degli stupri che ricevono le non dalit, che è appena sufficiente così com'è.

"Parlare di stupro in India senza parlare di violenza sessuale basata sulle caste è simile a parlare di schiavitù in America senza parlare di persone di colore", ha detto Aruna.

Le attiviste di Dalit Women Fight sono arrivate ​​a San Francisco il 29 settembre, appena due giorni dopo che il primo ministro indiano Narendra Modi aveva fatto un discorso nella vicina San Jose.

"L'India è passata dalle scritture ai satelliti", ha detto Modi nel suo discorso. "Il mondo ha iniziato a credere che il 21° secolo appartiene all'India."

Ma le donne Dalit dicono che fino a quando la discriminazione basata sulle caste e sulla violenza non viene eliminata, l'India non può andare avanti.

"Dimentica Modi. Attualmente, anche i funzionari di polizia locali non sono disposti a darci un pubblico. Quando prendiamo un caso di stupro di loro, dicono, 'Questa ragazza non è stata violentata, lei volentieri ha avuto rapporti sessuali e ora vuole corrompere il superiore di casta per i soldi, 'o' Perché un uomo delle caste superiori ha toccato una Dalit? ' o scrivono via come un suicidio ", ha detto Mashaal.

"Né Modi né la popolazione non dalit dell'India è disposto ad ammettere l'esistenza della violenza sessuale basata sulla casta, tanto meno affrontarlo", ha aggiunto.


FONTE: http://www.refinery29.com/2015/10/95759/dalit-untouchable-women-india-sexual-violence#.oool2z:aOgM

giovedì 29 ottobre 2015

Bidhya Bhandari, eletta Presidente in Nepal


Una grande svolta storica in Nepal: I media locali riferiscono che il Parlamento nepalese ha eletto oggi la leader comunista Bidya Devi Bhandari presidente della Repubblica federale.
Si tratta della prima donna che occupa la carica di capo dello Stato.
nepal presidente donna

Bhandari, 54 anni, ha ottenuto 327 voti su un totale di 549. Appartiene allo stesso partito del premier, il CPN-UML ed è nota per le sue battaglie per l'emancipazione femminile.

E' una benedizione per quanto riguarda i diritti delle donne: la condizione delle donne nepalesi è costellata da vincoli e proibizioni persino riguardo il ciclo mestruale. Infatti stando alle infinite regole patriarcali e non, queste non possono avvicinarsi alla cucina o toccare qualcuno o addirittura non possono dormire in casa quando hanno il menarca.
La donna dunque, nel 2015, ancora si trova costretta nello spazio delimitato dal padre, dal fratello ed infine dal marito.
Nonostante il Nepal abbia ratificato quasi tutti gli strumenti di tutela internazionali e la Costituzione del 1990 stabilisca l’uguaglianza tra i sessi e la non discriminazione, prevedendo che ogni legge in dissonanza con essa sia cambiata, ci sono oltre cento leggi, consuetudini e comportamenti discriminatori nei confronti delle donne sia a livello economico e sociale sia a livello familiare.

È ancora molto forte la struttura patriarcale e questo tipo di impostazione è anche legittimata dalla legge che rende la donna una cittadina di secondo ordine.

Ma da oggi questo (ed altro) cambierà!

Buon lavoro Bidya Devi Bhandari, con te in veste di Presidentessa della Repubblica, la condizione femminile è a metà dell'opera verso la via dell'autodeterminazione, dell'indipendenza, della libertà dal giogo del patriarcato.

Perù: fino a 15 anni di carcere per femminicidio

Perú sancionará maltrato a la mujer con hasta 15 años de cárcel

AFP



Publicado por Gerson Guzmán | La Información es de Agencia AFP
 

Il Perù potrà sanzionare fino a 15 anni di carcere coloro che abusano delle donne, minori e disabili, secondo un progetto approvato dal Congresso, ha detto giovedì il presidente della Commissione Giustizia, Juan Carlos Eguren.

La norma, che deve essere promulgata dal Presidente della Repubblica, segnala anche in uno dei suoi articoli che "la polizia e i pubblici ministeri devono affrontare e risolvere le accuse di violenza in un periodo non superiore alle 72 ore, potendo essere condannati al carcere per omissione di funzioni".
 

Il legislatore ha spiegato che questo articolo risponde a ciò che è stato comprovato, in alcuni casi che la donna abusata vada ad una stazione di polizia e l'autorità di polizia la serva con negligenza e disprezzo. Incluso se hanno anche il coraggio di chiedere all'abusata: 'che avete fatto?, sicuramente ti hanno pagata per altro'. Questo è finito", ha detto Eguren.
 

Secondo le statistiche del Ministero delle Donne e Popolazioni Vulnerabili, a giugno del 2015 si sono verificati 56 femminicidi e 88 tentativi femminicidio nel paese. Negli ultimi sei anni, ci sono stati 680 di donne assassinate.
In accordo con uno studio dell'Istituto Nazionale di Statistica e Informatica, 12 su 100 donne di età compresa 15-49 hanno subito violenza fisica o sessuale dal marito o del partner nel 2014.
Inoltre, nel periodo 2013-2014, il Perù risulta al secondo posto per casi di femminicidio in America Latina, dopo la Colombia, secondo i dati della Commissione economica delle Nazioni Unite per l'America Latina e dei Caraibi (CEPAL).


mercoledì 21 ottobre 2015

25 fotografie di donne che hanno cambiato il Mondo

grazie a blogger su VanillaMagazine
per questa favolosa mostra fotografica storica
 
Alcune fotografie vanno oltre la semplice documentazione storica, diventando simbolo di qualcosa di più ampio e destinato a durare nel tempo. Il ‘900 è stato il secolo in cui le donne hanno ottenuto la maggior parte dei diritti che, almeno nel mondo occidentale, oggi vengono riconosciuti come inalienabili. In passato non fu così, e anche partecipare ad una Maratona poteva voler dire mettersi contro il sistema costituito.
Tante delle conquiste femminili sono state ottenute da movimenti di donne organizzati, come le “Suffragette”, e molti sono stati conquistati da persone che, in modo autonomo, hanno distrutto i muri del maschilismo ancora imperante. Queste sono 25 fotografie che ci consentono di apprezzare, almeno in parte, alcuni dei momenti più significativi del secolo scorso. Una storia di donne, una storia di sfide…

Jeanne Manford marcia con il proprio figlio gay durante un Gay Pride del 1972. Jeanne fondò il gruppo “Genitori diritti, Famiglie e Amici di Lesbiche e Gay“.

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 02

Margaret Hamilton, l’ingegnere del software principale del Progetto Apollo 11 accanto al codice scritto a mano che fu utilizzato per portare l’uomo sulla Luna, nel 1969.

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 01

Kathrine Switzer fu la prima donna a correre la maratona di Boston nonostante i tentativi da parte degli organizzatori della maratona di fermarla, nel 1967.

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Maud Wagner, la prima tatuatrice donna negli Stati Uniti, nel 1907

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 03

All’età di 21 anni Sarla Thakral fu la la prima donna indiana a conseguire una licenza di volo, nel 1936

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 05

Simone Segouin a 18 anni fu una combattente della resistenza francese, fotografata durante la liberazione di Parigi il 19 Agosto del 1944

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 04

Annette Kellerman indossa un costume da bagno che le causò l’arresto per atti osceni nel 1907

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 07

Komako Kimura, una suffragetta giapponese durante una marcia a New York, il 23 Ottobre del 1917

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 08

Sabiha Gökçen nel 1937 divenne la prima donna a pilotare un caccia da guerra nel mondo e la prima aviatrice turca in assoluto

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 11

Una donna olandese si rifiuta di lasciare il marito, un soldato tedesco, dopo la sua cattura da parte degli alleati, nel 1944. Lo seguì in prigione.

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 09

Alcune madri proteggono i propri figli dal fuoco di un cecchino tedesco nel 1944

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 12

Gertrude Ederle, la prima donna ad attraversare a nuoto il Canale della Manica, nel 1926

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 13

Elspeth Beard durante il suo giro intorno al mondo con la moto, prima donna in assoluto e primo cittadino britannico a realizzare una simile impresa. Il viaggio durò ben 3 anni e si sviluppò attraverso oltre 77.000 chilometri – Scopri tutta la sua storia nell’articolo dedicato

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 10

Anna Fisher, astronauta americana e la “prima madre nello spazio”, nel 1984

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 14

L’aviatrice Amelia Earhart fotografata dopo aver sorvolato l’oceano Atlantico, nel 1928

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 15

Un sergente britannico durante la formazione de “l’esercito delle mamme”, durante la Battaglia d’Inghilterra, nel 1940

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 16

Alcune donne pilota si allontanano dal loro bombardiere B-17 “Pistol Packin’ Mama” nel 1940

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 18

Erika, una ragazza ungherese di 15 anni che combatté per l’indipendenza dall’Unione Sovietiva durante l’Ottobre del 1956

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 17

Due donne mostrano per la prima volta le gambe scoperte in pubblico a Toronto, nel 1937

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 19

Una donna svedese colpisce con la borsa un manifestante neonazista, nel 1985. La donna era una superstite dei campi di concentramento

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 20

Una donna musulmana copre con il suo velo la stella di David della sua vicina di casa ebrea per proteggerla dai processi razziali. Siamo a Sarajevo, in Ex-Jugoslavia, nel 1941

25 fotografie di donne che hanno cambiato la storia 22

Una suffragetta protesta dopo “la notte del terrore” del 14 Novembre 1917. 33 attiviste sostenitrici del diritto di voto avevano picchettato la Casa Bianca, ma furono torturate e picchiate a sangue dalle guardie statunitensi

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Una signora ebrea cerca di difendere la sua popolazione contro le truppe di sicurezza israeliane che stavano espellendo una serie di coloni illegali da un villaggio “abusivo” della Cisgiordania. La foto di Oded Bality si intitola “Volontà e potenza” e vinse il premio Pulitzer

Oded-Balilty

Scattata durante la Grande Depressione, quest’immagine riflette il triste stato delle persone in quel preciso momento storico. La donna nella foto è Florence Thompson, madre di sette figli. Era così a corto di denaro che dovette vendere le gomme della sua auto per sfamare se stessa e la sua prole

Le fotografie che hanno cambiato il mondo-0001

Marina Ginestà, ritratta a diciassette anni da Hans Gutmann nel 1936, divenne l’icona della resistenza antifascista spagnola

Marina-Ginesta