martedì 29 aprile 2014

III Conferenza Mondiale dei Centri Antiviolenza

 
The Global Network of Women’s Shelter, di cui D.i.Re è partner, organizza la terza Conferenza Mondiale dei Centri Antiviolenza, prevista per novembre 2015 in Olanda.
Il principale obiettivo della Conferenza è condividere le diverse esperienze vissute in tutto il mondo e trovare il modo di combattere la violenza contro le donne. Questa Conferenza è inoltre un’opportunità per sviluppare una rete di collaborazione internazionale e condividere informazioni, ricerche e metodologie per creare progetti e azioni concrete contro la violenza di genere.

+Informazioni:






Convenzione di Istanbul: si parte il primo agosto

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La Convenzione di Istanbul è il primo insieme di norme in Europa volte a combattere e prevenire la violenza contro le donne, e impegna gli Stati che hanno ratificato il trattato a coordinare misure contro la violenza maschile e proteggere le donne che hanno subito o subiscono violenza.

Il Segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, ha rivolto um  appello a tutti gli Stati membri che non hanno ancora ratificato la Convenzione e ha dichiarato che “offre agli Stati coinvolti un’occasione unica di rompere il silenzio e superare i tabù intorno a tutte le forme di violenza perpetrate sulle donne”. Questo trattato “diventerà un punto di riferimento in Europa e altrove, poiché la serie di misure che prevede è la più completa al mondo in questo ambito”, ha aggiunto Thorbjørn Jagland.

Dal maggio 2011, oltre la metà dei paesi membri del Consiglio d’Europa hanno firmato il trattato e undici paesi lo hanno ratificato: Albania, Austria, Bosnia, Italia, Montenegro, Portogallo, Spagna, Serbia, Turchia e, ora, Danimarca e Andorra.
 
FONTI:

giovedì 17 aprile 2014

La Stampa approva gli stupri di massa in Bosnia?

Pochi giorni fa tantissime donne sono scese in piazza contro gli attacchi alla 194 e contro la situazione nella quale le donne si trovano quando decidono di interrompere una gravidanza. La stampa italiana non solo ha fatto passare l’evento in sordina ma proprio il giorno dopo in cui tante donne si sono recate in piazza per rivendicare il diritto ad interrompere la gravidanza, su un giornale nazionale, La Stampa, è apparso questo titolo:  “Come in Bosnia per le donne violentate la gravidanza è un dovere”
Si tratta di un’intervista che Giacomo Galeazzi avrebbe fatto al Cardinal Sgreccia, il quale esprime il suo dissenso verso le donne violentate che intercorrono la strada dell’aborto, citando gli stupri etnici delle donne in Bosnia, che venivano violentate in massa secondo un “piano” volontario, una sorta di campagna per generale la razza perfetta serba. Quegli stupri di massa, infatti, non avvenivano per caso tanto da essere considerato un olocausto contro le donne.

La guerra di Bosnia non solo ha insegnato che le donne continuano ad essere considerate dalle truppe e dai loro genera alla stregua di un “premio di guerra” ma lo stupro veniva utilizzato come strategia per cancellare un popolo attraverso la fecondazione delle donne musulmane, costringendole a mettere al mondo figli appartenenti all’etnia serba.

Tantissime le testimonianze delle vittime dell’ ex Jugoslavia che hanno subito queste atroci violenze, donne che non potevano nemmeno abortire perché erano in guerra e non avevano un’assistenza medica e psicologica adeguata, per non parlare di un sussidio economico.  Ma soprattutto perché molte di loro venivano tenute prigioniere fino al parto. (Fonte Qui)

Non solo donne ma anche ragazzine che una volta incinte si suicidavano o venivano emarginate, ripudiate. Chi ha pianificato gli assalti sessuali conoscevano molto bene i valori morali e culturali delle vittime di stupro e del contesto in cui vivevano. Sapevano che tipo di reazione avrebbe provocato l’atto di stupro nella vittima ma anche nel suo ambiente più prossimo: presso i familiari, i parenti, i vicini di casa.
Molte volte venivano torturate fino ad essere uccise. Le violenze sessuali alle quali venivano sottoposte erano atroci e cruente o  stuprate con la canna dei fucili e poi ammazzate. Tra loro anche bambine. Alcune testimonianze.
I soldati serbi presero donne incinte e squarciarono loro il ventre, pugnalando i loro bambini […] Ragazze di sedici e diciotto anni furono stuprate di fronte ai loro padri e fratelli. Due di queste ragazze, tra loro sorelle, si suicidarono dopo aver subito lo stupro (RTE, 4 maggio 1999). 
“Un’altra vittima di Milan Lukić, la signora Bakira Hasečić, fu tenuta prigioniera nell’albergo “Vilina Vlas”, vicino alla città Višegrad, in Bosnia Orientale.
In un rapporto delle Nazioni Unite si precisa che al “Vilina Vlas” erano detenute e maltrattate circa 200 donne. La maggior parte di loro furono uccise o sono scomparse.
“Ci tenevano tutte chiuse nelle stanze. Ogni tanto ci buttavano un pezzo di pane che prendevamo con i denti perché le mani erano legate con le corde. Ci slegavano solo per stuprarci”, ha testimoniato la Hasečić”. 
[...] Non era difficile raccogliere le testimonianze. Gli stessi stupratori, infatti, si vantavano delle loro azioni. Norman Cigar, nel suo libro “Genocide in Bosnia: The Policy of Ethnic Cleansing”, scrive che “i paramilitari serbi della città di Gacko, in Erzegovina, si vantavano in pubblico di quello che facevano alle donne bosniache. Cantavano: Muslimanka sva u krvi, srbin joj je bio prvi, cioè la donna musulmana tutta insanguinata, il serbo è stato il primo per lei. Lo stesso gruppo si vantava di aver stuprato in gruppo una ragazza musulmana di tredici anni, di averla attaccata su di un carro armato e poi di aver circolato per la città finché della ragazza non era rimasto niente più che uno scheletro” (fonte Qui)
“Le famiglie di Sarajevo e delle zone vicine cercano le loro ragazze, che vengono restituite soltanto quando la maternita’ e’ avanzata.[...] Non sanno cosa le attende. Se parole di comprensione, oppure una porta chiusa. Non un lavoro, non una famiglia, non un marito, nessun altro figlio. Il problema non e’ il parto. Ma il dramma psichico. Alcune sono impazzite e vagano sulle montagne. Una ragazza, violentata da trenta uomini, e’ ricoverata in preda alla follia. Nei corridoi di questa Maternità, dove non compaiono alle porte fiocchi rosa o azzurri, il momento delle doglie e’ tragico. Perché nessuna di queste donne accetta un figlio frutto di una tragedia. E quando il piccolo nasce, i medici sono accolti con urla se tentano di far vedere alla madre la sua creatura. [...] Parla di tre, quattro ragazze partorienti che, durante le doglie, hanno rifiutato di seguire i suoi consigli nel momento delle contrazioni: “E ci sono altre che cedono sotto il dolore e ripetono, per dieci, venti volte: “questo figlio non lo voglio. Mi faccia morire”. [...]  Poche ore fa, una madre di 19 anni ha gridato, mentre la sua creatura vedeva la luce: “Portatemelo via. E’ il figlio di un assassino”. 
 QUI, Qui  e Qui  altre testimonianze.
Le vittime della violenza sessuale hanno sviluppato disturbi psicologici così gravi da sfiorare o addirittura sfociare in patologie psichiatriche,  vittime di una società che le ha dimenticate, lasciate senza medicine né sostegno dei medici. Tante sono disoccupate, senza mezzi economici per vivere. La maggior parte delle donne stuprate oggi vive ai margini della società. Molte non riescono a denunciare perché si sentono in colpa e perché raramente ottengono giustizia. (Fonte Qui
La salute mentale delle vittime di stupro è stata compromessa tantissimo dopo i ripetuti assalti sessuali. Alcune di loro hanno sviluppato gravi problemi ginecologici. Molte bambine, giovani ragazze e donne hanno l’utero devastato e non potranno diventare madri; altre vittime non desiderano mai più sposarsi e hanno disturbi nella sfera sessuale e affettiva; molte sono state abbandonate dai mariti a causa dello stupro subito e i mariti di alcune non sanno neppure oggi che sono state stuprate. Le malattie più frequenti di cui sono affette le donne vittime dello stupro vanno dalle malattie cardiovascolari, diabete, disturbi della tiroide, sindrome psico-organica, malattie del sistema osseo-muscolare, malattie del tratto genitale-urinario. (Fonte Qui)

In questo articolo lo stupro sembra diventare un diritto maschile, un’azione generatrice di vita. E la donna? sarebbe procacciatrice di morte se decidesse di interrompere la gravidanza imposta?
Non mi sorprende il fatto che un uomo di chiesa abbia pronunciato quelle parole. Non dimentichiamo quando Don Corsi, due anni fa, attribuì la violenza sulle donne al comportamento delle donne di oggi, le quali secondo la sua opinione provocherebbero gli atteggiamenti violenti degli uomini.  Un altro uomo di chiesa, Monsignor Bertoldo affermò che le donne inducono gli uomini a stuprarle e fanno più vittime dei preti pedofili. Sappiamo tutti qual è stata la posizione delle donne secondo la Chiesa Cattolica.

Come è possibile che un giornale nazionale abbia pubblicato un’intervista in cui viene citato un gravissimo crimine dell’umanità come gli stupri etnici in Bosnia per fare propaganda antiabortista contro la L. 194?
E’ molto grave che un giornale nazionale abbia dato spazio a questa intervista considerando la pratica dell’interruzione volontaria della gravidanza ad un qualcosa più grave del genocidio in Bosnia.
Il titolo è già di per se di una violenza inaudita. Sembra approvi gli stupri di massa in Bosnia attuati proprio con lo scopo di imporre gravidanze alle proprie vittime  le quali avevano, secondo la strategia serba, il dovere di dare alla luce neonati di etnia serba.
E’ già estremamente grave che si faccia passare la maternità come un dovere per una donna, come se fosse connaturato nel nostro ruolo, ma assai peggio se si tratta di donne che hanno subito una violenza. 
La gravidanza, dalle parole del cardinale, sembra sia una sorta di punizione. Anche se sei stata stuprata. Come uno stupratore, esso ti ricorda, che sei donna e che dunque il tuo dovere, oltre a quello di soddisfare sessualmente un uomo, è procreare.

Subire uno stupro è la cosa più terribile che una donna possa subire da un uomo. E’ un’azione veramente ripugnante verso il corpo femminile, espressione di un disprezzo che porta a conseguenze gravissime nell’anima della donna che lo subisce.

Come si può accettare che un giornale nazionale dia spazio alle parole di un cardinale che utilizza la parola “omicidio” per definire le azioni di una vittima di violenza che sceglie di non portare dietro di sé quel ricordo?

Il contenuto è anche peggio perché si parla di omicidio. Sentirsi definire assassine è una doppia violenza verso una donna che ha subito uno sfregio così grave. Prima violentata e poi considerata non solo colpevole di quella gravidanza ma anche per il fatto di non voler portarla a termine. Una gravidanza non pianificata, anche se avviene attraverso un atto di amore, è un evento che ti sconvolge la vita in tutti i sensi. Se quella gravidanza è frutto di uno stupro subentra anche il dolore di vedersi crescere dentro di sé il figlio di un uomo che ha usato il tuo corpo con disprezzo. Sentirsi dentro il seme di quella bestia, vedersi crescere la pancia e ricordarti ogni giorno nel vederla crescere che sei stata violentata.

Non ho parole per descrivere il male che mi ha fatto leggere un’intervista simile. Come reagirebbe una vittima di violenza di fronte a ciò?
La propaganda cattolica e l’ingerenza nella stampa italiana è davvero preoccupante. Nelle campagne antiabortiste si nasconde un sentimento di odio profondo verso le donne e dalla volontà di volerle sottomettere agli uomini. Tutto questo è quasi naturale che si verifichi in un Paese dove la parità di genere è un miraggio e dove la violenza sulle donne è altissima. Ma queste cose non avvengono soltanto qui ma anche nella “culla” della civiltà occidentale, dove le donne, secondo i luoghi comuni, godrebbero nella carta degli stessi diritti degli uomini.

Negli Usa perfino il Governo si mobilita per proposte aberranti come quella fatta da una deputata repubblicana del New Mexico che ha proposto il carcere per le vittime di stupro che abortiscono. La pena? Inquinamento di prove.


Un altro repubblicano Todd Akin affermò che Gli stupri legittimi portano raramente alla gravidanza”.

Dunque ci sarebbero anche stupri legittimi. 
commenti di Akin arrivano a meno di due settimane dopo il suo suggerimento di bandire la pillola del giorno dopo: La pillola del giorno dopo è una specie di aborto e credo che non dovremmo avere l’aborto in questo paese.
Negli Usa ci sarebbero circa 32 mila gravidanze ogni anno a seguito di uno stupro. Immaginiamoci se non ci fosse la pillola del giorno dopo! 
Secondo gli antiabortisti le donne valgono meno di embrioni. La nostra vita vale meno, di decisioni nemmeno ne abbiamo. Ho sempre accomunato l’obiezione di coscienza e il sentimento antiabortista alla cultura dello stupro. Come un uomo impone un rapporto sessuale non desiderato alla donna, l’obiettore si insinua nell’intimità e nella sfera privata e sessuale della donna senza il proprio consenso. Come uno stupro.  E inoltre, se la donna viene privata della propria volontà di disporre del proprio corpo quanto può essere legittimo stuprarla?
Quell’articolo è cultura dello stupro, è apologia di reato, di stupro, di genocidio.

domenica 6 aprile 2014

Io mi difendo

Questo progetto è dedicato a tutte le donne
A tutte le mamme
A tutti gli uomini, che amano le donne
 
IO MI DIFENDO è un format televisivo che nasce da un'idea di Tara Films.

IO MI DIFENDO affronta in maniera continuativa e diretta, un fenomeno gravissimo e complesso: la violenza sulle donne.
Il progetto è stato presentato in diversi paesi ed è al vaglio di numerosi canali televisivi che hanno mostrato un ampio interesse in merito.
Inoltre un anno fà, è stata attivata una lunga e complessa pratica con il Ministero dei Diritti e delle Pari Opportunità per ottenere il patrocinio riservato ai progetti di pubblico interesse.

IO MI DIFENDO vuole parlare di questa vergogna dell'umanità che è in rapida crescita anche nel nostro paese, dove da più di un anno vengono riportati sulle pagine dei giornali innumerevoli casi di stupri e aggressioni di ogni genere, la maggior parte dei quali rimane un fenomeno impunito.
I dati ufficiali Istat e di Amnesty International sono allarmanti se ci si rende conto che la maggior parte di questi tremendi abusi non viene messa in risalto dai mezzi di comunicazione, perché si consuma fra le mura domestiche. Tra il silenzio e l'omertà di chi ne è a conoscenza e tace.
Il 90% delle donne che subiscono una violenza, non denuncia!

IO MI DIFENDO tratta un tema molto violento, e tutti noi vorremmo parlare di ben altro, ma la violenza sulle donne è una fra le maggiori vergogne dell'umanità e come tale non deve rimanere un discorso da non affrontare e quindi un tabù della nostra società.

IO MI DIFENDO vi insegnerà a difendervi, vi aiuterà ad avere la forza di denunciare.
La vita è una ed indipendentemente da quello in cui credete, è un'opportunità.
Non lasciate che nessuno ve la porti via con violenza, non lasciatevi umiliare, non fatevi del male, denunciate!


IO MI DIFENDO il SITO
 

Il coraggio di Alina, “ho visto la morte in faccia, ma sono rimasta lucida”

Il coraggio di Alina, “ho visto la morte in faccia, ma sono rimasta lucida”

Posted   domenica 16 febbraio 2014 su DonneVittoriose

Alina Elisabeta Racu
Alina Elisabeta Racu

Il racconto della donna che giovedì sera ha ucciso un rapinatore armato nel bar dove lavora

Sembrava un giovedì sera come un altro a Fiumicino, sul litorale romano, quando poco prima delle 20, nel bar Coffee Break di via Hermada, due giovani malviventi Cristian Ferreri, 30 anni, e Manuel Musso, 29, entrano per una rapina che frutterà loro appena 350 euro. In quei momenti di agitazione, Manuel Musso, uno dei due rapinatori si avventa su una dipendente dal bar, Alina Elisabeta Racu, 40 anni, romena di nascita ma residente in Italia da più di dieci anni. L’uomo la fa cadere a terra all’indietro, si mette a cavalcioni su di lei e le punta una pistola al volto. Ma Alina non si lascia prendere dal terrore, con una mano riesce a scostare la pistola dal suo volto e con l’altra afferra un grosso coltello da porchetta con il quale trafigge al petto il malvivente, che si accascia su di lei. L’uomo viene poi portato via dal complice. Verrà trovato morto in un campo incolto poco distante dal luogo della rapina.

Malgrado lo choc la donna ha trovato il coraggio di raccontare quei terribili momenti. “In quegli attimi concitatissimi – ha detto Alina -, ho pensato a mio figlio e a mio marito, ho visto la morte in faccia, ma sono rimasta lucida, quel balordo mi spingeva e io sono caduta all’indietro nel retrobottega dove prepariamo i tramezzini. La mano dell’uomo che mi voleva uccidere tremava, una sciarpa gli copriva il viso, riuscivo però a vedere i suoi occhi iniettati di sangue. È stato in quel momento che gli ho afferrato il braccio con una mano spingendoglielo verso l’altro. Ho sentito degli spari, ho afferrato un coltello e istintivamente mi sono difesa. Quel ragazzo mi si è accasciato addosso, poi è arrivato il suo complice e l’ha portato via”.

Eppure, nonostante questo dramma e nonostante il fatto di essere indagata per omicidio volontario (un atto dovuto per la legge italiana, ma sempre qualcosa di pesante da sopportare per chi vive queste situazioni), Alina è tornata sabato nel bar dove lavorava.
Ha avuto la forza di tornare in quel luogo dove poco più di ventiquattro ore prima aveva vissuto sulla sua pelle momenti di grande terrore. E’ andata lì anche per ripulire le tracce visibili di quella maledetta serata. Di sicuro altre tracce non visibili ma certamente più dolorose rimarranno in lei, che non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione che ha distrutto più di una famiglia. Ma nell’asprezza del dramma non si può non notare nelle sue parole una lucidità, una dignità e una compostezza che fanno di Alina una donna forte e determinata anche in un momento estremo come quello che ha passato.
Allora non ci resta che dire una sola cosa: brava Alina, ti sei difesa con coraggio. E noi saremo con te.

Stende il suo aggressore con una mossa di judo

Inghilterra, ragazza 19enne disarma e mette in fuga il suo aggressore


Adrian Berry, l'aggressore


La storia e l’esperienza sembrano insegnarcelo più di una volta: le dimensioni non contano. O almeno contano molto relativamente se la vittima, piccola e apparentemente senza difese, è capace di tirare fuori tutta la sua determinazione.
È proprio quello che è successo ad una ragazza di 19 anni di Nottingham, in Inghilterra. La giovane, che chiameremo Sarah, era solita percorrere ogni giorno lo stesso tratto di strada. Tutto normale fino a quando, un giorno, non viene adocchiata da un maniaco, il 45enne Adrian Berry.

In un pomeriggio di fine agosto l’uomo, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, ha provato a far scattare la trappola nei confronti della ragazza.
Il maniaco ha urlato alle spalle della giovane, che si è quindi avvicinata all’uomo. A questo punto Berry, 1 metro e 87 di statura per 110 kg, ha trascinato per un braccio Sarah, appena 1.56 per 45 kg.
Berry ha trascinato la vittima in una zona di campagna portandola fin nei pressi di un granaio. Qui il maniaco l’ha spinta per terra, si è appoggiato con le ginocchia sopra di lei e ha tentato di sfilarle i pantaloncini. La ragazza, che vista la posizione accusava difficoltà a respirare, non si è però persa d’animo e allungando un braccio è riuscita ad afferrare un’asta di metallo abbandonata per terra. Con questo oggetto è così riuscita a picchiare Berry sulla testa e ad aprirsi una via di fuga approfittando dell’attimo di stordimento dell’aggressore.
Sarah si è quindi messa a correre per il campo tentando di raggiungere la strada e chiedere aiuto. Ma Berry, che nel frattempo si era ripreso dalla botta, era già dietro di lei.

La giovane, finita a terra con la schiena contro una balla di fieno, si è trovata l’uomo di fronte a sé. Ancora una volta però, Sarah ha trovato il coraggio di reagire. Ha alzato le gambe e le ha usate per stringere in una morsa la testa di Berry, che brandiva un coltello a lama lunga.
L’uomo, evidentemente messo alle strette dalla determinazione della ragazza, prima ha implorato la vittima di lasciarlo andare e poi, una volta libero, si è allontanato lasciando cadere per terra il coltello.
La fuga dell’uomo è durata poco. Berry, salito sulla sua moto, è stato intercettato e bloccato da una pattuglia della polizia dopo un breve inseguimento. “Ero attratto da quella ragazza – dirà -. Assomigliava così tanto a Jodie Foster”.

Messo a processo, è stato condannato a 5 anni e 4 mesi per violenza sessuale e detenzione illegale di armi. Tra le pene accessorie che gli sono state comminate figura anche il divieto a vita di lavorare a contatto con minorenni.
Sarah, in un’intervista rilasciata ad una tv locale, ha detto di essersi trovata in mezzo alla “battaglia della sua vita”.
Una battaglia dalla quale è indubbiamente uscita vittoriosa.

Fonti: bbc.co.uk, thisisnottingham.co.uk