venerdì 5 luglio 2013

Frase non-senso durante la mozione sul femminicidio

Una frase shock riferita alle donne ha sconvolto il Consiglio regionale del Lazio proprio nel giorno in cui alla Pisana era in discussione una mozione, poi approvata, sul femminicidio.
“Le donne non vanno uccise, vanno scopate”.
Queste le parole che la consigliera regionale Daniela Bianchi (Per il Lazio) ha sentito nei corridoi della Pisana e poi denunciato a margine della discussione in aula.
Il riferimento 'sessista' è chiaramente riferito al contenuto della mozione avanzata dalla consigliera Marta Bonafoni e firmata anche da Cristiana Avenali, Daniela Bianchi, Rosa Giancola, Teresa Petrangolini, Baldassarre Favara e dei consiglieri del Pd Rodolfo Lena e Eugenio Patané contenente “misure urgenti per il contrasto della violenza di genere-femminicidio”.

Chi abbia pronunciato queste parole rimane sconosciuto. E la stessa Daniela Bianchi non ha voluto aggiungere particolari:
“Assolutamente non rispondo in tal senso. Non è tanto la qualifica del ruolo di chi abbia detto questo, quanto averla ascoltata in un corridoio come il nostro, dal momento che c'era un dibattito in aula, su una mozione che parlava di femminicidio”.

Marta Bonafoni ha stigmatizzato:
“E' una denuncia ulteriore di quale sia lo stato dell'arte e culturale anche nei luoghi delle Istituzioni che sono lo specchio del Paese e viceversa. Io la metterei in calce come quattordicesima firma della mozione che ci dice che il tema è anche qui dentro e quindi a maggior ragione dobbiamo affrontarlo”.

La denuncia contro quanto pronunciato è stata bollata come “assolutamente inattesa e inqualificabile” anche dal presidente del Consiglio regionale Daniele Leodori.
“Non vorrei neanche entrare nel merito, né ripeterla, né commentarla per quanto è squalificante per chi l'ha pronunciata. Invece credo che la mozione di oggi sia una importante, perché impegna anche la giunta a fare degli stanziamenti importanti per contrastare questo fenomeno che ormai da tutti i sociologi è chiamato con il nome che ha: femminicidio”.

Intanto con la mozione la giunta “si è presa un impegno” sul tema, spiega Bonafoni. E' stata firmata dai tre presidenti delle commissioni competenti politiche sociali, sanità, cultura e da ultimo la sicurezza “perché la repressione noi dobbiamo combatterla e la prevenzione è l'unico elemento su cui possiamo schierarci da subito”. Continua Bonafoni: “Chiediamo, e l'assessore alle Pari Opportunità Ciminiello ci ha rassicurato, questo: il rifinanziamento dei centri antiviolenza che nella Regione ci sono ma sono ancora troppo pochi; che si valuti la creazione di un osservatorio regionale sulla sicurezza contro la violenza di genere; la convocazione di un tavolo immediato che metta insieme tutte le associazioni e i movimenti delle donne”.

FONTE

mercoledì 3 luglio 2013

Poesia di Eve Ensler

La mia gonna corta non è un invito,
una provocazione,
un’indicazione che lo voglio
o che la do
o che batto.

La mia gonna corta non è una supplica,
non vi chiede di essere strappata
o tirata su o giù.

La mia gonna corta
non è un motivo legittimo per violentarmi,
anche se prima lo era,
è una tesi che non regge più in tribunale.

La mia gonna corta,

che voi ci crediate o no,
non ha niente a che fare con voi.

La mia gonna corta
è riscoprire il potere dei miei polpacci,
è l’aria fredda autunnale che accarezza
l’interno delle mie cosce,
è lasciare che viva dentro di me
tutto ciò che vedo o incrocio o sento.

La mia gonna corta 

non è la prova che sono una stupida
o un’indecisa
o una ragazzina manipolabile.

La mia gonna corta è la mia sfida.
Non vi permetterò di farmi paura.
La mia gonna corta non è un’esibizione,
è ciò che sono
prima che mi obbligaste a nasconderlo
o a soffocarlo.
Fateci l’abitudine.

La mia gonna corta è felicità.
Mi sento in contatto con la terra.
Sono qui. Sono bella.
La mia gonna corta è una bandiera
di liberazione nell’esercito delle donne .
Dichiaro queste strade, tutte le strade,
patria della mia vagina.

La mia gonna corta
è acqua turchese con pesci colorati che nuotano
un festival d’estate nella notte stellata,
un uccello che cinguetta,
un treno che arriva in una città straniera.

 
La mia gonna corta è una scorribanda,
un respiro profondo,
il casqué di un tango.

 
La mia gonna corta è
iniziazione, 

apprezzamento, 
eccitazione.

Ma soprattutto

la mia gonna corta
con tutto quel che c’è sotto
è mia, mia, mia.

Eve Ensler

Infibulazione: B. Gebre e "le donne di Kembatta si ergono insieme"

Bogaletch Gebre è cresciuta nella regione etiope detta Kembatta-Tembarro dove, dice, “le donne non hanno più valore delle mucche che mungono”, le bambine sono analfabete e i “rapimenti di spose” sono comuni.
Non sa esattamente quanti anni ha, solo che è nata nei ’50.
Sua sorella maggiore è morta a causa delle mutilazioni genitali femminili, un’altra pratica comune in Etiopia:
“Era in gravidanza avanzata, aspettava due gemelli. Ha cominciato a perdere sangue e non hanno potuto farle partorire i bambini, perché a causa delle cicatrici l’apertura era troppo stretta. Chiamano la pratica rimozione della sporcizia.Ti dicono che manterrà la donna pulita. Ma il suo significato reale è rendere una giovane donna docile e obbediente, e controllare la sua sessualità. Quando è toccato a me, sono quasi morta a causa dell’emorragia.”
Bogaletch Gebre (sin.) e Almaz Someno
Quando Bogaletch era piccola il suo sogno era imparare a leggere. Non c’era speranza di frequentare le elementari, così imparò intrufolandosi in una piccola scuola parrocchiale fra un viaggio e l’altro per raccogliere acqua. Dopo di ciò, insistette tanto sulla propria istruzione che riuscì a farsi mandare a studiare nella capitale, Addis Abeba, dove vinse una borsa di studio per specializzarsi in microbiologia e fisiologia in Israele. Una volta là, ne vinse un’altra per la specializzazione in parassitologia all’Università del Massachusetts e fatto questo si spostò all’Ucla, in California, dove si laureò in epidemiologia.

Mentre viveva negli Usa, mise in piedi un’organizzazione chiamata “Sviluppo tramite l’istruzione” e cominciò a correre nelle maratone per raccogliere denaro che sarebbe servito a mandare libri in Etiopia: ne ha spediti a casa 300.000. Tenete presente che in precedenza, a causa di un’incidente stradale in cui aveva sofferto serie ferite alla schiena, i medici le avevano detto che non sarebbe neppure più riuscita a camminare normalmente. Ma Bogaletch Gebre è fatta così. Se il destino si mette di traverso lo scavalca. 

Nel 1997 è tornata in Etiopia con un’idea in mente: far sì che nessuna ragazza attraversasse l’orrore e rischiasse la morte per le mutilazioni. 
Con un’altra sorella, Fikrte, ha fondato l’ong “Kembatti Mentti Gezzimma”, ovvero “Le donne di Kembatta si ergono insieme”. 
La visione in grande sono i diritti umani delle donne, ma la prima cosa che Bogaletch ha affrontato sono state le mutilazioni genitali femminili.
Sapeva che era un tabù persino parlarne, sapeva che non sarebbe bastato dire “smettiamo” per cancellare una pratica così radicata, perciò:
“Ho cominciato raccontando la mia storia e la storia di mia sorella, e le donne hanno cominciato a capire e piangevano, perché anche loro conoscevano qualcuna che era morta, perché le loro bambine erano morte, ma non si erano mai permesse, prima, di entrare direttamente in relazione con le cause.”

Il modo in cui l’associazione opera per il cambiamento sociale è la “conversazione comunitaria”, che porta a discutere insieme giovani, anziani, leader comunitari e religiosi, cristiani e musulmani. Bogaletch Gebre usa il Corano e la Bibbia per dimostrare che le mutilazioni non sono un obbligo religioso: nessuno dei due libri le menziona.

“Mi appello alla loro stessa fede: Come cristiani e musulmani noi stiamo dicendo: Dio, tu sei perfetto, ma quando hai creato la donna hai fatto un errore. Ci riteniamo in grado di correggere Dio?

Il punto di svolta arrivò nel 2002, con la prima celebrazione pubblica di un matrimonio in cui la sposa non aveva subito mutilazioni.
I due giovani portavano entrambi dei cartelli: quello di lei attestava che non era stata “tagliata”, quello di lui dichiarava che era felice di sposare una donna intera. Le celebrazioni tradizionali per le ragazze mutilate sono state trasformate in “festeggiamenti dell’intero corpo femminile”.

Quando l’Unicef condusse una ricerca nella regione Kembatta-Tembarro, nel 2008, scoprì che il 97% della sua popolazione era contraria alle mutilazioni genitali femminili: nella regione erano praticamente “universali” solo un decennio prima. L’Unicef sta raccomandando il modello usato da Gebre e le sue amiche in altre regioni africane. Lei è una donna pratica e non si fa illusioni, sa quanto sono ancora diffuse le mutilazioni genitali femminili nella stessa Etiopia:
“Dovremmo essere in grado di mettere fine alla faccenda in 10/15 anni. Ma il cambiamento richiede impegno. Non accade per miracolo.”

Il mese scorso, Bogaletch Gebre ha vinto un premio (http://www.kbprize.org/) per la sua “guida ispirata” nel far avanzare i diritti delle donne e nell’affrontare istanze sociali come le mutilazioni, i matrimoni forzati e l’Hiv/Aids. Con i 150.000 euro del premio spera di aprire un liceo scientifico. Come ex docente universitaria di biologia ci tiene a smantellare il mito che le ragazze non possono occuparsi di scienza.
Maria G. Di Rienzo

6 Luglio: mobilitazione nazionale contro i femminicidi e gli stupri

»Non si può continuare a far finta di niente, non si può continuare a non fare niente…

Contro i femminicidi e stupri il 6 luglio a Roma tre presidi dalle 10 in poi, al:
 Ministero delle pari opportunità largo Chigi, 19 (concentramento)
 Ministero di Grazia e Giustizia, via Arenula, 70
 Ministero degli Interni, piazza del Viminale, per cercare di invertire la rotta vertiginosa dei femminicidi, degli stupri e della loro impunità con una mobilitazione nazionale.
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124 le donne uccise in Italia nel 2012, già 34 dall’inizio dell’anno, 6 in soli pochi giorni ai primi di maggio, un femminicidio continuo!
Molto spesso le vittime conoscono i loro carnefici, questi sono gli uomini che odiano le donne.
Per gelosia o per possesso, sempre in disprezzo del nostro essere donna, chi ci uccide non tollera la nostra autodeterminazione, non ci considera degne di rispetto, libertà, autonomia, indipendenza. Diritti che ci siamo conquistati con le lotte e che non piovono dall’alto dei governi.
Diritti che però non sono per sempre e vengono negati, prima di fatto, poi di diritto, con l’arretramento delle lotte. E allora sempre più donne stuprate, sfigurate con l’acido, molestate, oppresse, uccise, violentate e umiliate come donne, in quanto donne e sempre più sentenze ultra morbide verso stupratori e assassini di donne.

Nessun governo, tantomeno questo, può “difendere le donne con la sua task force” come afferma Alfano, il delfino di Berlusconi, calpestatore della dignità delle donne.
Nessun appello al governo, come pure quello di “ferite a morte”, per la convocazione degli Stati generali contro la violenza sulle donne, può fare arretrare la guerra alle donne, senza la guerra delle donne.

Ci vuole una mobilitazione nazionale delle donne, una risposta doverosa, urgente e ineludibile. Una risposta autonoma del movimento delle donne, fuori e contro l’azione che il nuovo governo dice di voler fare.
Le donne non vogliono e non possono fidarsi e delegare al governo e allo Stato!
Uno Stato, che sempre più fa una giustizia pro-stupratori (vedi i recenti processi per gli stupri di “Marinella” a Montalto di Castro e di “Rosa” a L’Aquila, nonché la rimessa in libertà, dopo un anno, dell’assassino reo-confesso di Tiziana Olivieri, per scadenza dei termini di custodia cautelare, ecc.) e ha forze dell’ordine strutturalmente impregnate di maschilismo, fascismo e sessismo, non può difendere le donne! Un governo che continuerà ad attaccare le condizioni di vita e di lavoro della maggioranza delle donne, non può difendere dai femminicidi e dagli stupri!

Siamo noi, parte offesa e ferita a morte da questa società, che dobbiamo riprenderci la vita, con rabbia e determinazione. Siamo noi donne, unite, che dobbiamo lottare per i nostri diritti e il nostro esistere, per difenderci dagli uomini che odiano le donne!

Chiediamo a tutte le donne, alle compagne, alle democratiche, alle associazioni contro la violenza sulle donne, di aderire a questo appello per cercare di invertire la rotta vertiginosa dei femminicidi, degli stupri e della loro impunità con una mobilitazione nazionale.

Proponiamo il 6 luglio a Roma, il sabato precedente l’11 luglio, quando le istituzioni (tribunale dei minori e servizi sociali) decideranno il “percorso riabilitativo” degli stupratori sociali del branco di Montalto di Castro, che hanno violentato il corpo di Marinella e ne hanno ucciso l’anima e la speranza, simbolizzando così la “sicurezza” che questo Stato riserva alle donne.

Luigia (L’Aquila) e Concetta (Taranto) - Per contatti: sommosprol@gmail.com

Adesioni all’appello (fino ad oggi):
 
 - Comitato diritti civili delle prostitute
 - lavoratrici Coordinamento “3ottobre” Milano
 - Anna Bardelli università di Milano
 - Giuseppa Amato di Milano del Si.Cobas dei poliambulatori Niguarda
 - lavoratrici, disoccupate dello slai cobas per il sindacato di classe di Taranto
 - precarie, lavoratrici dello slai cobas per il sindacato di classe di Palermo
 - compagne del MFPR
 - Associazione “Iosò Carmela” Napoli
 – Associazione Centro Servizi interdisciplinare Onlus Roma
 - Lucha YSiesta Roma
 - l’appoggio di Lella Costa
 - Collettivo “Mai stare zitte” di Brindisi
 - Associazione culturale ’Teatro del Mare’ Taranto
 - UDI Monteverde Roma
 - compagne del coordinamento di Palermo 21 luglio
 - Caterina Tassone lavoratrice del S. Paolo di Milano
 - Anna Lavoratrice dell’USI del S. Paolo Milano
 - FLFL di Bologna
 - lavoratrici USI Roma

Inviteremo a venire stampa tv, i free lance della stampa scritta e web, e se possibile compagne impegnate in teatro, musica e nei mezzi di comunicazione.
Sono e saranno presidi di protesta in nome di tutte le donne stuprate offese, uccise, ma anche sfruttate e oppresse sempre e ovunque!
Questo è il messaggio che vogliamo dare a tutti.

Ci sembrano presidi importanti per tutte, per questo continuiamo a rivolgerci soprattutto alle donne e compagne romane, ma a tutte in ogni città, perchè ci siano e sostengano quelle compagne che con decisione sforzi e sacrifici vengono in delegazione e in rappresentanza, da Palermo, Taranto, altre città della puglia e del sud, Milano, Bologna, L’Aquila e altre città del centro-nord. Siamo donne proletarie e combattive che cercano di far sentire la voce della maggioranza delle donne.
Certo non abbiamo ora i numeri per fare cortei, speriamo che questo possa avvenire in autunno - ma per fare presidi itineranti i numeri ci sono e vorremmo essere il più possibile (vi mandiamo l’appello con le adesioni arrivate finora).

L’iniziativa, con i presidi e il resto, al di là dei numeri, non è un corteo normale ma una mobilitazione contro i centri responsabili dei femminicidi e violenza sulle donne - e andiamo a lottare dove vi sono i palazzi del potere", il più vicino possibile, e vi rimarremo. 

Al Ministero delle pari opportunità
vogliamo anche denunciare le "false e controproducenti soluzioni" del governo (abbiamo chiesto tra l’altro un incontro con la Ministra Idem, soprattutto per dire cosa non vogliamo);
al Ministero di Grazia e Giustizia vogliamo denunciare il modo come stanno facendo i processi (in cui le donne sono violentate o uccise per la seconda volta) e le vergognose sentenze, in primis quella per Marinella a Montalto di Castro;
al Viminale
, perchè non ci sta affatto bene che ci sia ora anche la Rauti ad "occuparsi di donne" e che si costruiscano le "larghe intese" sulla pelle delle donne!
Il 6 luglio facciamo una iniziativa contro il governo, anzi potremmo dire contro tutti governi e lo Stato e non siamo lì per migliorare governi e stato.
Infine, vogliamo andare anche alle ambasciate per portare nelle forme possibili solidarietà e protesta alle donne in lotta in Turchia e India contro stupri/assassini e repressione.
22|06|13
 

martedì 2 luglio 2013

Piazza Tahrir: la doppia lotta delle donne

Le donne in Egitto "punite" per il coraggio con il quale manifestano in piazza:
tahrirLo ha denunciato Tom Dale, giornalista dell’ Egypt Independent: “La sera del 25 gennaio, stavo passando per la piazza, nella zona dove di solito montano il palco, cominciava a fare buio e ho assistito a un altro episodio simile. A una trentina di metri di distanza si era formato un mulinello di persone, con una donna sulla quarantina, chiaramente egiziana, al centro. Cerchi concentrici di uomini le giravano attorno e lei urlava. Ho cercato di farmi strada tra la folla. Alla fine quelli che la circondavano l’hanno spinta verso le sbarre. Lei continuava a urlare. Ero ormai a pochi metri di distanza quando l’ho persa di vista, era stata gettata a terra. Quando è ricomparsa era nuda e le si leggeva il terrore sul volto“.

Tra i manifestanti di piazza Tahrir ci sono molte attiviste di sesso femminile. Sanno quello a cui vanno incontro, ma non rinunciano alla lotta. La prima violenza che l’uomo consuma sulla donna precede la violenza stessa. È il senso di paura che la spinge a condizionare le proprie scelte per evitare il rischio di uno stupro, un’aggressione o addirittura la morte. L’arma che stringe in pugno l’uomo che si macchia di omicidio di genere è il controllo della sua vittima attraverso la paura. Le donne di piazza Tahrir combattono una doppia battaglia, una politica e una per i diritti di genere.

Non lo ripeteremo mai abbastanza volte. Il machismo, maschilismo, sessismo, non solo esistono ma mietono le loro vittime da un capo all’altro del mondo.

Dall’Egitto all’India, negli stupri di gruppo sugli autobus di Bombay; nel femmenicidio di Ciudad Juarez, Messico; in Italia, che ha visto un 2012 nero con l’uccisione di più di cento donne per motivi di genere. Negli stati Uniti, dove viene denunciato uno stupro ogni 6,2 minuti.

È aumentato il numero degli uomini e di organizzazioni a carattere maschile che si uniscono alla lotta contro la violenza sulle donne ma si può uscire dal problema solo con una consapevolezza generalizzata del fenomeno.
Il vero cambiamento non si trova nelle parole ma scende in piazza insieme alle donne di Tahrir.

Elena Risi
 FONTE

Ministero delle Pari Opporunità: perché è utile sul piano simbolico e materiale



Signor Presidente del Consiglio,
l’attribuzione della delega alle Pari opportunità alla viceministra del Lavoro è un passo indietro, una “non scelta” come ha scritto Barbara Stefanelli sul Corriere. Questo Ministero, voluto dal Governo Prodi nel 1996, aveva sancito un punto: esiste in Italia una discriminazione di genere.

Da allora che cosa è cambiato? I più dicono che questo Ministero non è servito a niente, altri che ne hanno seguito l’evoluzione attribuiscono alle Pari opportunità alcuni provvedimenti significativi. Ma la scelta di non sostituire la Ministra Idem non nasce certo da una valutazione sull’efficacia di quel Ministero che il Presidente del Consiglio aveva riconfermato appena due mesi fa evidentemente confidando nella sua necessità. E in questi due mesi per la verità ci sono ragioni nuove a sostegno dell’utilità del Ministero sia sul piano simbolico che sul piano materiale.

Tra i primi atti di questa legislatura c’è stato quello di approvare all’unanimità, alla Camera e al Senato, la ratifica della Convenzione di Istanbul. Un atto dovuto, ma non scontato, a cui si è arrivati soprattutto grazie alla capacità dei movimenti delle donne di imporre il tema della violenza maschile e del femminicidio nell’agenda politica del Paese. Se il Parlamento ha finalmente preso consapevolezza di questo fenomeno – dei numeri, delle dinamiche e dello stato sociale e culturale in cui tutto ciò si determina – e se aveva appena avviato i suoi lavori la task force voluta dall’ex ministra Josefa Idem, come si può pensare che in una fase così delicata l’atto politico successivo possa essere quello di eliminare il Ministero che più di tutti aveva il compito di monitorare il percorso iniziato attraverso quel voto?

Pertanto, piuttosto che attribuire una delega specifica sul “femminicidio” – come è stato fatto con Isabella Rauti – disconoscendo di fatto la complessità del fenomeno, sarebbe stato necessario mettere nelle condizioni il Ministero delle Pari opportunità di farsi da garante fino in fondo della piena applicazione della Convenzione che investe, e attraversa, tutti gli altri Ministeri: dall’Istruzione al Lavoro, dall’Economia agli Affari sociali. È una scelta incomprensibile, Signor Presidente, nella forma e nella sostanza, nella superficie e nella profondità.

Temiamo che, purtroppo, anche questo passaggio sia stato viziato dalle “larghe intese”, che in questa fase evidentemente non godono di buona salute: non vorremmo cioè che le mancate alchimie politiche prevalessero sul bene comune.
Non siamo portatori di una visione ideologica ma non abbiamo mai creduto a una politica “neutra” delle donne: essere di parte però non ci ha mai impedito di riconoscere, se buono, il lavoro dei nostri avversari politici. Anzi, di recente, attraverso il voto alla nostra mozione sulla piena applicazione della legge 194, abbiamo scoperto il sì del Pdl contro la sorprendente astensione del Pd. A dimostrazione che su certi terreni non si può ragionare con schemi politici predefiniti.
È importante il profilo politico del Ministero delle Pari opportunità e, per questo, avevamo criticato l’accostamento con lo Sport sotto la direzione di Josefa Idem. Mai ci saremmo aspettati, dopo appena tre mesi, di dover chiedere almeno il ripristino di ciò che era stato già acquisito.

 

Forum Social Mondial

gelsomino in piena fioritura :)
Dichiarazione delle donne dinamiche internazionali 
all'Assemblea dei movimenti sociali DU FORUM SOCIAL MONDIAL

Tunisi 2013: accogliamo con favore la presenza molto importante delle donne, gruppi di donne e femministe che hanno partecipato al forum sociale mondiale a Tunisi nel marzo 2013 e hanno dato loro solidarietà con le lotte delle donne in tutto il mondo e a quelli della regione araba in particolare.
La diversità del lavoro delle varie attività della settimana ha evidenziato un'analisi comune:
- le politiche di austerità e neoliberiste della globalizzazione colpiscono prevalentemente le donne e rovesciano in popolazioni più difficili;
- le guerre istigate nel mondo (Siria, Libano, Mali, Palestina, Congo...) usano i corpi delle donne come arma di guerra e accentuano il loro sfruttamento sessuale (stupro, matrimonio precoce e forzato)
- l'influenza di estremismo e le autorità religiose sulla politica che fanno parte di una ristrutturazione del mercato globale, costituiscono una minaccia per l'emancipazione delle donne.
Il loro scopo è destinato a stabilire una società post rivoluzionaria basata su un nuovo potere teocratico con danni ai fondamenti della regola di diritto e dando al Patriarcato un'impronta di religiosità.
Lo status delle donne è diventato un problema politico importante per aziende e istituzioni attraverso l'istituzione di una violenza quotidiana per escludere le donne dallo spazio pubblico. Queste politiche retrograde fanno parte delle politiche economiche neoliberiste stesse che introducono austerità in tutto il mondo.

Attualmente, le donne sono le prime colpite dal declino dei diritti economici e sociali e della povertà diffusa.

Noi donne, associazioni di donne e femministe, dichiariamo:
- il nostro impegno costante per l'universalità dei diritti umani delle donne;
- il nostro desiderio che la CEDAW ratificata sia alla base del radicamento dei diritti delle donne, soprattutto nei paesi arabi - il nostro diritto a beneficiare della ricchezza globale (acqua, il possesso della terra, ricchezza di minerali...)
- la nostra determinazione a combattere tutte le forme di violenza contro le donne (stupro, molestie sessuali...)
- i nostri requisiti per la protezione delle donne rifugiate nelle zone di conflitto, le vittime di tratta e lo sfruttamento sessuale, noi donne l'abbiamo reclamato al Consiglio internazionale del FSM,
- l'inclusione dell'Assemblea delle donne nel programma ufficiale del FSM;
- il rafforzamento della presenza delle associazioni femministe nella composizione del Consiglio internazionale di diversificare la loro rappresentazione;
- l'attuazione di una reale volontà e i mezzi per promuovere una vera parità, sia nella composizione del Consiglio internazionale dell'organizzazione, trasversale dei dibattiti;
- l'allocazione nella solidarietà-fondi: da prendere in considerazione la componente femminile;
- l'istituzione di una rete internazionale di solidarietà con le donne tunisine, che stanno combattendo per i loro diritti fondamentali.

Fatto a Tunisi 30 marzo 2013 contatto dinamico delle donne FSM 2013: E-mail: ahlem.dynafemmes@gmail.com

Eva Ensler annuncia Vday 2014

Il 14 febbraio di quest'anno, milioni di persone in tutto il mondo si sono fermate dal lavoro, si sono riunite con gli altri e hanno ballato in una azione globale contro la violenza di genere. Autrice, drammaturga e attivista, Eve Ensler e la sua organizzazione V-Day, hanno chiamato l'evento di San Valentino One Billion Rising. 
Nel 2014, Eva e V-Day chiedono alle donne e a coloro che le amano, di amplificare l'azione anche ulteriormente e di andare nelle aule giudiziarie, e piazze e uffici governativi in ​​tutto il mondo per chiedere giustizia per coloro che hanno subito abusi.  
Ensler ha annunciato i suoi piani per il 2014 l'anno prossimo in un'intervista esclusiva su GRITTv con Laura Flanders.

"V-Day è stata fondata con la missione di porre fine alla violenza", ha detto la Ensler a Fiandre.
 
"Abbiamo fatto questo per 15 anni, e in realtà non abbiamo arrestato la violenza contro le donne. La nostra missione è quella di andare fuori mercato."
 
Per realizzare questo obiettivo, il gruppo ha chiamato l'anno scorso, One Billion Rising il 14 febbraio 2013. Questa chiamata "in aumento" ha prodotto proteste, flash mob, play-letture e balli in oltre 200 paesi e impressioni dei media a milioni. I partecipanti sono stati invitati a inviare la documentazione dei loro 'moti' su YouTube.
 
"E' stato selvaggio guardando questi video", ha detto Ensler. 
"La cosa più interessante è che si vedono donne in Bhutan ballare con lampade a olio. 
"Una partecipazione estesa a tutti (...) membri donne e uomini del parlamento europeo che hanno fatto un flash mob in parlamento, le donne rurali in Dhaka, in tutta la campagna, in città, e il Dalai Lama, e le suore."
 
Il raduno del prossimo anno si chiamerà One Billion aumento per la Giustizia . La campagna, che è stata annunciata per la prima volta oggi, si concentrerà sulla ricerca e la definizione - la giustizia per coloro che hanno subito abusi.
 
"Questo è un mondo di presentare le donne e tutti gli uomini che le amano, per sostenere loro che sono state violentate o picchiate - per andare ai loro campi, ai loro magistrati, le loro stazioni di polizia il 14 febbraio e le spese per la stampa dei crimini che sono state fatte per loro", ha detto Ensler.
 
Che cosa potrebbe apparire come la giustizia? Più uomini rinchiusi? Non necessariamente, Ensler racconta a Fiandre in questa intervista di ampio respiro.  
L'aumento dei tassi di incarcerazione negli ultimi anni non hanno ridotto il livello di violenza contro donne e ragazze. Ridefinire la giustizia, immaginando ciò che realmente può fermare la violenza, è parte del progetto 2014, dice Ensler.
 
Il raduno del prossimo anno ha anche una componente di governo orientata, la campagna di Ten Most Wanted che ha per obiettivo 10 paesi in cui i casi di violenza di genere sono attualmente pendenti. Un paese di destinazione è il Giappone.
 
"Le Donne di conforto sono state prese dal governo giapponese nella seconda guerra mondiale da tutta l'Asia. Sono state tenute in campi di stupro, dove sono state violentate da giovani donne per settimane". 
"Stiamo andando a chiedere a tutto il mondo a concentrarsi sul governo giapponese, e fare un naming e incolpare e svergognare la campagna fino a quando il governo giapponese dirà: "mi dispiace per le donne di conforto".
 
Ensler ha mostrato anche, nel suo nuovo libro, io Nel corpo del mondo, la descrizione della sua morte minacciata dall'esperienza di cancro, tre anni fa, e il suo lavoro con le donne in Congo, che è quello che con cui ha crediti per averla riportata alla vita. 
"Il personale e il politico sono inseparabili", dice Ensler. Minacce per i nostri corpi, come minacce per il nostro pianeta, sono difficili da farci i conti. Noi preferiamo vivere nella negazione. Ma la smentita è mortale, scrive. Leggendo dal suo capitolo, "sonnolenza" Ensler ha proseguito:
"Tutto quello che so è che ho aspettato troppo a lungo. Il tumore si muoveva come un esercito incontenibile, come la CO2 attraverso l'atmosfera. Ha toccato e distrutto ed eroso e improvvisamente era troppo tardi. Non ero stata un buon amministratore per il mio corpo."
 
Nei punti più bassi della sua crisi di salute, le donne sopravvissute alla violenza sessuale alla città della gioia, in Congo, l'hanno ispirata.
"Non esiste una terapia individuale in città della gioia, perché questa non è la parte del trucco del Congo. Ognuno guarisce in comunità ... Questo mi ha fatto sapere che la comunità è così che si costruisce i movimenti, è così che si costruisce rivoluzioni perché ognuno è responsabile della guarigione di ogni altro."
 
Sarà il presidente Obama, in visita in Africa di questa settimana, prestare attenzione alla guerra in corso in Congo? Ad un evento presso il Paley Center for Media di questa settimana, Ensler ha espresso esasperazione con il ruolo del presidente degli Stati Uniti per un conflitto in cui lo stupro è stato utilizzato su scala epidemica come strumento brutale della guerra. "Se aspettiamo nel mondo a non interferire (...) le donne del Congo periranno."
 
Ensler è meglio conosciuta per il suo gioco I monologhi della vagina, compiute intorno agli Stati Uniti e il mondo su 14 febbraio di ogni anno. Lei e Fiandre hanno parlato a New York il 5 giugno 2013.

 http://grittv.org/?video=after-one-billion-rising-eve-ensler-and-vday-announce-even-bigger-plans-for-2014

lunedì 1 luglio 2013

Scioperiamo. Per fermare la Cultura della violenza

Alla presidente della Camera, Laura Boldrini

Alla segretaria della Confederazione Generale del Lavoro, Susanna Camusso

Alla vice-ministra del Lavoro e Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità, Maria Cecilia Guerra

A tutte le donne delle istituzioni, delle arti e dei mestieri

A tutte noi
 
Pensavamo che l’uccisione di Fabiana, bruciata viva dal fidanzato sedicenne, esprimesse un punto di non ritorno. Invece no. L’insulto che è stato rivolto alla ministra Cécile Kyenge – da un’altra donna – dice molto più di quanto non vogliamo ammettere. E di fronte ad una violenza verbale simile, non ci sono scuse o giustificazioni che tengano. Noi non siamo mai state silenziose, abbiamo sempre denunciato questi fatti, le violenze fisiche e quelle verbali. Ma non basta.
Non basta più il lavoro dei centri antiviolenza, fondamentale e prezioso. E non bastano le promesse di leggi che neanche arrivano. La ratifica della convenzione di Istanbul? Un passo importante, ma bisogna aspettare e aspettare. E noi non vogliamo più limitarci a lanciare appelli che raccolgono migliaia di firme ma restano solo sulla carta; a proclamarci indignate per una violenza che non accenna a smettere; a fare tavole rotonde, dibattiti politici, incontri. Adesso chiediamo di più.
Chiediamo di poter vivere in una società che vuole realmente cambiare la Cultura che alimenta questa mentalità maschilista, patriarcale, trasversale, acclarata e spesso occulta, che noi riteniamo totalmente responsabile della mancanza di rispetto per le donne, e che non fa nulla per fermare questo inutile e doloroso femminicidio italiano.
Chiediamo che la parola femminicidio non venga più sottovalutata, svilita, criticata. Perché racconta di un fenomeno che ancora in troppi negano, o che sia qualcosa che non li riguarda. O addirittura che molte delle donne uccise o violate, in fondo in fondo, qualche sbaglio lo avevano fatto. Quanta disumanità nel non voler vedere il nostro immenso lavoro, quello pagato e quello non pagato, il lavoro di cura e riproduttivo, il genio, la creatività, il ruolo multiforme delle donne.
Chiediamo di fermarci. A tutte: madri, sorelle, figlie, nonne, zie, compagne, amanti, mogli, operaie, commesse, maestre, infermiere, badanti, dirigenti, fornaie, dottoresse, farmaciste, studentesse, professoresse, ministre, contadine, sindacaliste, impiegate, scrittrici, attrici, giornaliste, registe, precarie, artiste, atlete, disoccupate, politiche, funzionarie, fisioterapiste, babysitter, veline, parlamentari, prostitute, autiste, cameriere, avvocate, segretarie.
Fermiamoci per 24 ore da tutto quello che normalmente facciamo. Proclamiamo uno sciopero generale delle donne che blocchi questo maledetto paese. Perché sia chiaro che senza di noi, noi donne, non si va da nessuna parte. Senza il rispetto per la nostra autodeterminazione e il nostro corpo non c’è società che tenga. Perché la rabbia e il dolore, lo sconforto e l’indignazione, la denuncia e la consapevolezza, hanno bisogno di un gesto forte.
Scioperiamo per noi e per tutte le donne che ogni giorno rischiano la loro vita. Per le donne che verranno, per gli uomini che staranno loro accanto.
Unisciti a noi, firma e diffondi questo appello. Insieme, poi, decideremo una data.
MANDARE FIRMA con nome e città a   scioperodonne2013@gmail.com
Barbara Romagnoli (giornalista freelance)
Adriana Terzo (giornalista freelance)
Tiziana Dal Pra (presidente del centro interculturale Trama di Terre)