lunedì 27 ottobre 2014

Lettera alla madre di Reyhaneh Jabbari

"A volte mi domando se abbiamo il diritto di commuoverci per le parole ultime di persone che nei momenti cruciali (ed uso non a caso questo termine) rivelano un'umanità quale nessuno di noi forse saprebbe offrire. Ma il privilegio di essere uomini e donne si paga. Anche con la vita. Ed inevitabilmente si stabiliscono legami di fraternità. Cerchiamo di non dimenticarci di questa sorella. E non smettiamo di impegnarci a favore di chi rischia come lei". (Gianluca Ricci)
 
"Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore." Ovvero, quanto ci hanno insegnato i grandi spiriti dell'umanità, da Socrate a Gesù a Giordano Bruno.

Lettera alla madre di Reyhaneh Jabbari, la ragazza di 26 anni condannata a morte nel 2009, e giustiziata la mezzanotte di venerdì 24 ottobre 2014, per aver ucciso un ex agente dei servizi segreti iracheni che tentò di stuprarla.

"Cara Sholeh, 
oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?
Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.
Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.
Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto. Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Quando è accaduto questo incidente, questi insegnamenti non mi hanno aiutato. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo ed una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.
Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine. Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate.
Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.
Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.
Mia cara madre, la mia ideologia è cambiata e tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti lascio molto materiale manoscritto come mia eredità.
Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Perciò ti dirò una parte delle mie volontà presto. Ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione che venga approvata dal direttore della prigione. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.
Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.
Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.
Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.
Reyhaneh"

La 26enne Reyhaneh Jabbari era stata arrestata nel 2007, quando ne aveva 19, per aver ucciso Morteza Abdolali Sarbandi, ex 007 di Baghdad, che l'avrebbe attirata nel suo appartamento con la scusa di offrirle un incarico e poi avrebbe tentato di abusare di lei. [Altre fonti riportano che per mantenersi gli studi la ragazza facesse la decoratrici di interni e che un uomo le chiese un appuntamento in appartamento, uno studio medico vuoto che intendeva arredare]. 

Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dalla forca, ma il figlio dell'uomo ha chiesto che la ragazza negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo. Secondo l'Onu dall'inizio dell'anno in Iran sono già state giustiziate 250 persone.

Il relatore dell'Alto commissariato per i diritti umani dell'Onu aveva denunciato che il processo del 2009 era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro.

L'esecuzione era stata fissata per il 30 settembre ma era stata poi rinviata facendo sperare in un atto di clemenza. Venerdì alla madre era stato permesso di visitare Reyhaneh per un'ora, un segnale che l'impiccagione era imminente.

La giovane era da cinque anni nel braccio della morte e a suo favore c'erano stati numerosi appelli internazionali, tra cui quelli di Papa Francesco, di Amnesty International, del ministro degli Esteri, Federica Mogherini, e di tantissimi intellettuali iraniani.
 
"Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore." Ovvero, quanto ci hanno insegnato i grandi spiriti dell'umanità, da Socrate a Gesù a Giordano Bruno.
 
Lettera alla madre di Reyhaneh Jabbari, la ragazza di 26 anni condannata a morte nel 2009, e giustiziata la mezzanotte di venerdì 24 ottobre 2014, con l'accusa di aver ucciso un ex agente dei servizi segreti iracheni che tentò di stuprarla.

"Cara Sholeh,
oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?


Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.

Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.


Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle.

Ho imparato che a volte bisogna lottare.
Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto.
Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.

Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo?

La tua esperienza era sbagliata. Quando è accaduto questo incidente, questi insegnamenti non mi hanno aiutato. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo ed una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.
Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine.


Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate.

Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.

Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.


Mia cara madre, la mia ideologia è cambiata e tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti lascio molto materiale manoscritto come mia eredità.


Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te.

So che avrai bisogno di tempo per questo. Perciò ti dirò una parte delle mie volontà presto. Ti prego non piangere e ascolta.
Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione che venga approvata dal direttore della prigione. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.

Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me.


Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.

Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi.


Nel tribunale del creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.

Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati.

Vediamo cosa vuole Dio.
Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.
Reyhaneh"


La 26enne Reyhaneh Jabbari era stata arrestata nel 2007, quando ne aveva 19, per essersi difesa dall'aggressione di Morteza Abdolali Sarbandi, ex 007 di Baghdad, che l'avrebbe attirata nel suo appartamento con la scusa di offrirle un incarico e poi avrebbe tentato di abusare di lei. [Altre fonti riportano che per mantenersi gli studi la ragazza facesse la decoratrici di interni e che un uomo le chiese un appuntamento in appartamento, uno studio medico vuoto che intendeva arredare].
Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dalla forca, ma il figlio dell'uomo ha chiesto che la ragazza negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo. Secondo l'Onu dall'inizio dell'anno in Iran sono già state giustiziate 250 persone.
Il relatore dell'Alto commissariato per i diritti umani dell'Onu aveva denunciato che il processo del 2009 era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro.
L'esecuzione era stata fissata per il 30 settembre ma era stata poi rinviata facendo sperare in un atto di clemenza. Venerdì alla madre era stato permesso di visitare Reyhaneh per un'ora, un segnale che l'impiccagione era imminente.
La giovane era da cinque anni nel braccio della morte e a suo favore c'erano stati numerosi appelli internazionali, tra cui quelli di Papa Francesco, di Amnesty International, del ministro degli Esteri, Federica Mogherini, e di tantissimi intellettuali iraniani.

venerdì 10 ottobre 2014

Io sono una donna. Io sono curda.

di The Middle Eastern Feminist

Io sono una donna. Io sono un curda. E da quando sono entrata in questo mondo, questa è la seconda volta che la mia famiglia e il mio popolo stanno vivendo un genocidio e un massacro. E questa è la storia della nostra vita.

Questa è la seconda volta in 23 anni, che a causa della minaccia di un genocidio, c'è stato un esodo di massa del mio popolo ai confini di uno stato ostile, e purtropo solo per essere sparato e picchiato perché ha cercato rifugio da un male maggiore.

Questa è la seconda volta, in 23 anni, che le nostre ragazze sono state portate via, cancellate dalla storia; restano solo nella memoria di chi le amava. Le hanno lasciate per sempre sprofondare nei pozzi dell'oscurità del male insito nei cuori di alcuni uomini che hanno sfogao su di loro. Loro vite, le speranze, l'amore che portavano nei loro giovani cuori soffia via nel vento come le pagine appena scritte nei libri più rari; e sicuramente ognuno di loro era raro e prezioso come il prossimo.

C'è una certa bellezza nella natura fugace della vita. Il senso della vita è nella natura delle nostre esperienze e nelle cose che ci insegnano queste esperienze. Alcuni di noi passare attraverso la vita non sapendo mai cosa sia meglio, senza mai mettere in discussione la vita o il nostro valore o posto nello schema delle cose. Sappiamo con certezza che la ruota del tempo gira una vita di gioia e immenso privilegio. Sappiamo che solo le cose buone vengono da noi domani, e poniamo noi stessi a dormire ogni notte sapendo della certezza di una vita beata.

E poi ci sono altri che portano un carico così pesante che il peso del loro dolore è abbastanza grande per rompere una persona, come se ci passasse un milione di volte sopra. E penso dell'anziana donna Yazidi che non aveva lasciato nessuno, ma un figlio che ha generato con le lacrime della sua solitudine; solo per lui per essersi perso disattento in decine di massacri dell'ISIL. Come se la sua vita non valeva la pena, ogni dolore nelle ossa di questa madre, il cui pianto senza speranza dovrebbe far vergogna a mille uomini - se vivessimo in un mondo migliore. Credo che la forza della sua disperazione sia lo scoppio in lacrime per il suo cuore spezzato, e mi chiedo, con il mio cuore sanguinante, "come può perseverare lei?". E penso al ragazzo di cinque anni che portò sua sorella di 18 mesi  attraverso miglia, nel calore estremo, senza acqua o cibo con i suoi piccoli piedi, così che egli poteva sfuggire da uomini adulti, quale significato poteva dare, quale, che non poteva scandagliare la sua mente innocente; e penso che un bambino non dovrebbe mai vivere un terrore del genere - ma mi sono ricordata solo della mia infanzia, e mi rendo conto che il mio cuore è in torsione perché egli mi ricorda mio fratello e come siamo cresciuti in guerra, nei campi profughi, a sfuggire ad un altro genocidio, un altro massacro, fame e povertà e so che la realtà è diversa. E ancora, penso che delle ragazze Yazidi, rinomate per la loro bellezza, essendo portate via per il piacere degli uomini che, sicuramente se l'inferno esistesse, meritano il posto migliore. Penso che la madre di cui sei figlia e la nuova sposa fosse stata portata via da questo stesso male e faccio fatica a capire; e sicuramente, "come possiamo chiedere loro di sopportare tale dolore?"

E ancora, oggi è Eid - Festival di sacrifici. E oggi mio popolo dovevano essere sacrificati da ISIL come regalo al loro popolo. E oggi è il giorno 19 dell'assedio di Kobane. 19 giorni, in cui nessun supporto, cibo, aiuti e rifornimenti sono entrati Kobane alle forze YPG e YPJ semplicemente perché essi sono curdi e senza fissa dimora, e perché hanno il coraggio di chiedere per la stessa ragione che così tante persone devono godere ogni singolo giorno. E, ancora, contro ogni previsione, essi perseverano; perché i loro cuori coraggiosi spero che un giorno lasceranno questo mondo un po' meglio di quando sono entrati. Uno mondo in cui le ragazze di Yazidi sono al sicuro e i bambini sono al sicuro e nel quale la lingua curda delle  madri non debba celebrare il giorno di Eid nei cimiteri dei loro figli e figlie.
Abbiamo perso una nazione e siamo senza fissa dimora. Ma ancora, perseveriamo.
Noi perseveriamo malgrado le nostre lacrime. Perseveriamo, perché si deve. 

e ora, l'appello di The Middle Eastern Feminist

"Amici, sto affrontando un'altra protesta oggi per contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica circa Kobane. Noi stiamo tenendo anche uno sciopero della fame, a cui sto partecipando, per guadagnare l'attenzione tanto come possiamo. La protesta e lo sciopero della fame, 2 eventi, dunque è possibile che io non possa essere più così tanto regolare negli aggiornamenti su questa pagina.

È essenziale alzarsi e parlare contro il terrore che è l'ISIL. Se mai ci fosse un tempo per parlare, questo è ora!
L'ISIL non ha pietà verso il giovane o vecchio, maschio o femmina. Esso non mostra pietà per gli innocenti. Stupra, uccide e massacra brutalmente. Si prega di sostenere coloro che frequentano tali proteste, parlando dell'orrore dell'ISIL e questa azione potrà non compromettere i diritti delle vittime di essere ascoltati!

Ogni giorno migliaia di curdi e i sostenitori di Kobane scendono per le strade. Quando parlano stanno parlando per tutti noi! Quando manifestano e si rendono  visibili lo fanno per tutti noi! Quelli che protestano sono in piedi per l'umanità e un mondo civilizzato dove stupri, omicidi e saccheggi sono universalmente atti ripugnante, indipendentemente dalle circostanze.

Oggi, come donna e come una femminista mi alzo per i bambini, per le bambine, per le giovani madri e per le donne anziane che non hanno mai avuto una scelta con l'ISIL.
Dobbiamo parlare!
Non ci deve mai essere silenzio per l'orrore che l'ISIL infligge all'umanità!
Se vogliamo un unico mondo migliore, ognuno di noi deve agire! DEVE parlare! E deve alzarsi oggi!"

Tanto amore TMEF

Turchia: la protesta contro l'Isis continua

La protesta di massa continua in Turchia nonostante la polizia turca stia utilizzando munizioni dirette contro i manifestanti curdi e abbiano già ucciso 22 persone; 100 persone circa sono state arrestate. Tuttavia è con aria di sfida che sfidano il coprifuoco. Sembra che i proiettili e i carrarmati turchi funzionano completamente bene quando hanno bisogno di essere utilizzati sui curdi, ma non quando si tratta di ISIL!

Di seguito la descrizione delle foto pubblicate. Qui ne ho postate solo alcune. Le altre potrete vederle cliccando sulla pagina di The Middle Eastern Feminist


Pic 1 - è palese la brutalità turca verso le manifestanti curde.
Pic 2 - sostenitori pro-ISIL in piedi a fianco della polizia turca contro manifestanti curdi,

Pics 3-4 - la potenza militare turca utilizzata contro i manifestanti curdi.
La Turchia ha il secondo più grande esercito militare in vigore nella NATO e non esiterà, come ha dimostrato in passato, ad usare le sue forze militari contro i curdi,
Pic 5 - manifestanti curdi arrabbiati al confine
Kobane/Bakur
Pics (Turchia) 6-7 jihadisti apertamente pro-ISIL in Turchia, che combattono contro i manifestanti curdi. Essi, naturalmente, non sono sempre arrestati o gasati o sparati.

foto di The Middle Eastern Feminist.


foto di The Middle Eastern Feminist.




 
foto di The Middle Eastern Feminist.foto di The Middle Eastern Feminist.Si segnala anche che sei donne Yazidi catturate da ISIL sono riuscite a fuggire a Mossul.
Che possano essere al sicuro e ricevere tutto l'aiuto di cui hanno bisogno in seguito al loro calvario straziante!
E possano tutte le altre donne Yazidi e cristiane e arabe che vengono catturate da ISIL fuggire anche loro e trovare sicurezza e trovare le braccia amorevoli delle loro famiglie.

Ma la questione che desta ancora più preoccupazione, è che FSA (jabhat el akrad) ha confermato che ISIL utilizza armi chimiche.
Su questo ho bisogno di fare una ricerca "sul campo" per avere ulteriori informazioni.

Tutte le mie fonti provengono da Twitter e le informazioni sono pubblicate da persone che sono sul campo o nei dintorni di Kobane o in Turchia.

domenica 5 ottobre 2014

Conferenza 11/10/2014: Donne curde in Irak, Siria, Europa

PRATICARE LA LIBERTÀ CONTRO LA GUERRA SENZA FINE
DEL SISTEMA PATRIARCALE: DONNE CURDE IN IRAK, SIRIA, EUROPA
 
PRATICARE LA LIBERTA' CONTRO LA GUERRA SENZA FINE DEL SISTEMA PATRIARCALE: DONNE CURDE IN IRAK, SIRIA, EUROPA
Sabato 11 Ottobre dalle 9:30 Convegno

In tutto il mondo rimbalzano le notizie relative agli attacchi dell’ISIS nel Sud del Kurdistan e nei territori di Rojava.

Si tratta di una violenza sistematica di matrice terroristica che colpisce indiscriminatamente la popolazione, ed in particolare è rivolta nei confronti dei curdi yezidi, una popolazione che già nei 
secoli ha subito persecuzioni e lutti in grande quantità.
Quello in atto nei confronti degli yezidi, dopo l’eccidio di Şengal, non può che essere definito un genocidio, che ad oggi conta più di 20mila vittime tra i civili.

Anche in questa guerra, l'uomo ha ordinato di attaccare prima e soprattutto le donne, barbaramente massacrate, indotte al suicidio, vendute da quella che è stata definita da alcuni analisti “la forza distruttiva del capitalismo”. Un vero e proprio femminicidio di massa.

Come Fondazione Internazionale delle Donne Libere abbiamo organizzato conferenze in materia di femminicidio in numerose capitali europee: il 23 novembre 2011 a Parigi, il 3 dicembre 2011 a 
Stoccolma, il 14 gennaio 2012 a Londra e l'11 febbraio 2012 a Ultrecht. In collaborazione con le avvocate dei Giuristi Democratici, abbiamo organizzato anche varie iniziative sul femminicidio a 
Ginevra, alle Nazioni Unite.

La conferenza che si terrà a Roma l’11 ottobre 2014, in continuità con quelle organizzate dalla Fondazione Internazionale delle Donne Libere negli anni precedenti, vuole parlare di femminicidio, 
calandolo nella dimensione del conflitto in atto.

A supportare la Fondazione Internazionale delle Donne Libere nell’organizzazione del convegno sono intervenute anche la rappresentanza del movimento delle donne curde, che ha sede a 
Ginevra, l'ufficio informazioni del Kurdistan UIKI ONLUS, e le avvocate dei Giuristi Democratici.

Hanno fornito il loro sostegno all’iniziativa anche la -Casa Internazionale delle Donne di Roma, che ospita il convegno, l’associazione Senza Confine, il Centro Ararat, l’associazione Donna Diritti e Giustizia.

La conferenza vuole creare una rete internazionale di informazione e cooperazione per azioni concrete di sostegno alle donne vittime di femminicidio nel conflitto ed alle donne protagoniste della resistenza nel conflitto. In particolare si vuole attivare la comunità internazionale per la liberazione delle donne rapite dall’ISIS e per fermare il femminicidio ed il genocidio in atto.

Fermare il femminicidio è possibile solo se si affronta il problema unite, a livello internazionale. 

Per questo motivo, ci auspichiamo una grande partecipazione agli spazi di dibattito previsti in entrambe le sessioni del convegno da parte di tutte le associazioni e i gruppi che si occupano di violenza maschile sulle donne e di diritti umani. L’iniziativa si terrà il giorno 11 ottobre 2014 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, in 
via della Lungara n. 19, Aula Lonzi, piano 1, dalle 9,30 alle 18.


In tutto il mondo rimbalzano le notizie relative agli attacchi dell’ISIS nel Sud del Kurdistan e nei territori di Rojava.
Si tratta di una violenza sistematica di matrice terroristica che colpisce indiscriminatamente la popolazione, ed in particolare è rivolta nei confronti dei curdi yezidi, una popolazione che già nei secoli ha subito persecuzioni e lutti in grande quantità.

Quello in atto nei confronti degli yezidi, dopo l’eccidio di Şengal, non può che essere definito un genocidio, che ad oggi conta più di 20mila vittime tra i civili.


Anche in questa guerra, l'uomo ha ordinato di attaccare prima e soprattutto le donne, barbaramente massacrate, indotte al suicidio, vendute da quella che è stata definita da alcuni analisti “la forza distruttiva del capitalismo”. Un vero e proprio femminicidio di massa.

Come Fondazione Internazionale delle Donne Libere abbiamo organizzato conferenze in materia di femminicidio in numerose capitali europee:
 il 23 novembre 2011 a Parigi,
 il 3 dicembre 2011 a Stoccolma,
 il 14 gennaio 2012 a Londra
 l'11 febbraio 2012 a Utrecht.

 In collaborazione con le avvocate dei Giuristi Democratici, abbiamo organizzato anche varie iniziative sul femminicidio a Ginevra, alle Nazioni Unite.

La conferenza che si terrà a Roma l’11 ottobre 2014, in continuità con quelle organizzate dalla Fondazione Internazionale delle Donne Libere negli anni precedenti, vuole parlare di femminicidio, calandolo nella dimensione del conflitto in atto.

A supportare la Fondazione Internazionale delle Donne Libere nell’organizzazione del convegno sono intervenute anche la rappresentanza del movimento delle donne curde, che ha sede a Ginevra, l'ufficio informazioni del Kurdistan UIKI ONLUS, e le avvocate dei Giuristi Democratici.

Hanno fornito il loro sostegno all’iniziativa anche la -Casa Internazionale delle Donne di Roma, che ospita il convegno, l’associazione Senza Confine, il Centro Ararat, l’associazione Donna Diritti e Giustizia.

La conferenza vuole creare una rete internazionale di informazione e cooperazione per azioni concrete di sostegno alle donne vittime di femminicidio nel conflitto ed alle donne protagoniste della resistenza nel conflitto. In particolare si vuole attivare la comunità internazionale per la liberazione delle donne rapite dall’ISIS e per fermare il femminicidio ed il genocidio in atto.

Fermare il femminicidio è possibile solo se si affronta il problema unite, a livello internazionale.
Per questo motivo, ci auspichiamo una grande partecipazione agli spazi di dibattito previsti in entrambe le sessioni del convegno da parte di tutte le associazioni e i gruppi che si occupano di violenza maschile sulle donne e di diritti umani.

L’iniziativa si terrà il giorno 11 ottobre 2014 presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, in via della Lungara n. 19, Aula Lonzi, piano 1, dalle 9,30 alle 18.

giovedì 2 ottobre 2014

Reyhaneh Jabbari: "Non ho paura di morire ma il mondo deve sapere"

InformazioneCorretta: Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 01/10/2014, a pag. 34, con il titolo "Salviamo Reyhaneh: al patibolo per essersi difesa", la cronaca di Vanna Vannuccini; con il titolo "Non ho paura di morire ma il mondo deve sapere", la testimonianza di Reyhaneh Jabbari.

Reyhaneh Jabbari in tribunale

"Salviamo Reyhaneh: al patibolo per essersi difesa"

Vanna Vannuccini
Un uomo violenta una giovane donna. Lei si difende con un coltello, lo ferisce a una spalla, fugge, lo stupratore muore in circostanze non chiare (un uomo è entrato nel frattempo nell’appartamento). Lei viene condannata all’impiccagione, a dispetto (o forse proprio in virtù) delle proteste internazionali.
La stessa Commissione per i Diritti umani dell’Onu chiede alle autorità iraniane la revisione del processo perché la ragazza, Reyhaneh Jabbari, aveva agito, «secondo fonti affidabili», per legittima difesa.
Al processo due prove decisive — i preservativi e il sonnifero comprati poco prima dallo stupratore e ritrovati nel suo studio (il sonnifero in un bicchiere di succo di frutta) — non sono state prese in considerazione.
Morteza Sarbandi era stato un funzionario importante del potente ministero dei Servizi segreti.
Sette anni passati in carcere, dopo la condanna a morte, pronunciata nel 2009, un primo rinvio dell’esecuzione sei mesi fa. Rimandata a oggi.
Ieri sera la madre di Reyhaneh era stata avvertita dalle autorità carcerarie di Evin di andare a riprendersi il corpo della figlia in giornata, ma le autorità giudiziare decidono all’ultimo momento di rinviare nuovamente l’esecuzione, fa sapere l’organizzazione iraniana per i Diritti Umani.
Reyhaneh Jabbari, condannata a morte perché si difese da uno stupro, avrà diritto a vivere ancora per dieci giorni. Shole Paravan, la madre, ha trascritto su Facebook il messaggio d’addio scritto dalla figlia:
«Mi hanno già messo le manette e l’auto aspetta per portarmi al luogo dell’esecuzione. Tutte le mie sofferenze avranno fine tra poco. Mi dispiace di non poter alleviare il tuo dolore, ma noi crediamo nella vita dopo la morte e quando ti avrò ritrovata nell’altro mondo non ti lascerò mai più». 
Poi ha lanciato un appello a Italia e Vaticano, accolto dal monsignor Galantino, segretario della Cei: «Non resterà inascoltata».
Era una ragazza di 19 anni, sette anni fa, quando si iscrive all’università e si guadagna da vivere come decoratrice di interni, un mestiere molto richiesto allora nella Teheran dei nuovi ricchi. Mentre discute di un progetto con una cliente al tavolo di un caffè un signore anziano al tavolo vicino ascolta: è Morteza Abdolali Sarbandi, medico ed (ex?) funzionario dei servizi segreti. Si presenta, dice che vuole rinnovare il proprio studio, ha bisogno di una consulenza. Fissano un appuntamento per un sopralluogo il pomeriggio del 7 luglio 2007. Per strada Sarbandi ferma la macchina davanti a una farmacia (dove compra preservativi e sonniferi). Non appena entrati nello studio medico l’assalta, cerca di violentarla. Lei si difende con un coltello tascabile con cui lo colpisce più che può alla schiena. Poi riesce a divincolarsi e corre via mentre entra nello studio un uomo (che secondo la famiglia di Reyhaneh è il vero omicida). Per strada allerta un’ambulanza, ma lo stupratore è già morto dissanguato quando i soccorritori arrivano.
«Reyhaneh Jabbari è vittima due volte, prima dello stupratore e poi del sistema giudiziario», è scritto nel memorandum dell’Onu.
Ora si tratta di salvarla. Le associazioni per i diritti umani si stanno mobilitando e in tanti hanno firmato una petizione online per la vita della vittima di uno stupro. Chi può salvare Reyhaneh è sicuramente la famiglia di Sarbandi, la moglie e i tre figli, che in base alla Sharia può accettare il qisas, o prezzo del sangue. Molti artisti iraniani, tra cui il regista Asghar Farhadi, hanno fatto appello perché Reyhaneh venga risparmiata. Ogni tanto questi appelli trovano ascolto, lo scorso aprile un giovane condannato all’impiccagione è stato salvato dalla madre dell’ucciso che gli ha dato una sberla e poi l’ha graziato quando aveva già il cappio al collo.
Reyhaneh Jabbari: "Non ho paura di morire ma il mondo deve sapere"

Reyhaneh Jabbari

Io sono Reyhaneh Jabbari e ho 26 anni. Con la corda dell’impiccagione davanti a me di cui non ho paura. Se scrivo è solo per raccontare ciò che mi è accaduto, senza aggiungere nè togliere niente.
Voglio dirvi tutto ciò che ho detto nei tribunali e non hanno voluto capire, tutte le percosse che ho ricevuto senza pietà da quattro inquisitori che si credevano Dio e non mi sentivano mentre urlavo: ora voglio dirvelo.
Voglio che le persone sappiano e poi giudichino, voglio che sentano e poi se vorranno, stringano la corda più forte intorno al mio collo. Voglio che sappiano cos’è successo a me quando avevo 19 anni e che ora non ho paura della morte. Voglio parlare, affinché sappiano come si è strozzato in gola il mio grido. Il motivo per cui oggi vengo chiamata assassina, accusata da una sentenza ottenuta con menzogne.
Io, Reyhaneh, una ragazza di 26 anni, mi trovo attualmente dentro il carcere di Shahrerey, aspetto la fine della mia vita. (...) Diverse volte ho voluto scrivere ma ho sempre abbandonato perché mettere una lama su questa ferita vecchia fa più male, ma in questa notte senza fine, reparto due del carcere di Shahrerey, sotto la luce artificiale e nel silenzio del carcere vomito il dolore senza rumore. (...) Non ho altre vie che non parlare: se non parlo muoio. Forse così il dolore finirà. (...) In tutti questi anni ho fatto finta di esistere, trasformavo solo la notte in giorno e il giorno in notte, la mia anima è morta.
La mia anima pura morì a 19 anni, per molte notti ho affrontato incubi. (...) In questi anni ho imparato che la morte è la fine del dolore di molti. E forse un nuovo inizio. Io Reyhaneh Jabbari di 26 anni non ho paura della morte: però Reyhaneh a 19 anni aveva paura.

24 OTTOBRE 2014 - AGGIORNAMENTO:
REYHANEH JABBARI È STATA IMPICCATA STANOTTE. La Donna era accusata di aver ucciso l'uomo (l'uomo...) che voleva stuprarla. L'Iran della pena di morte sa ben colpire le Donne che osano difendersi.
Gia!
Peccato sia morta da innocente considerato che non è stata lei a ucciderlo (l'hanno incastrata!). Adesso mi aspetto che le donne iraniane facciano corpo unico nell'imparare a difendersi, nel decidere e scegliere di difendersi, di difendersi comunque sia.
Che la morte sacrificale di Reyhaneh non sia vana!