martedì 14 aprile 2015

Nigeria. Uccise le ragazze rapite un anno fa?

di seguito l'articolo di Francesca Paci pubblicato su La Stampa

Nigeria, le 200 studentesse rapite
"Uccise e gettate in fosse comuni"

Un anno fa l'attacco dei Boko Haram: cercavano cristiane

Un anno fa, dopo essersi affiliati ideologicamente allo Stato Islamico, i killer del gruppo qaedista nigeriano Boko Haram, noti come i taleban d'Africa, firmarono la propria escalation sanguinaria rapendo 275 studentesse della scuola secondaria di Chibok, villaggio dello stato settentrionale di Borno.
Era la notte del 14 aprile e 7 pick-up Toyota irruppero nel dormitorio per portare via le ragazze. Cercavano cristiane da convertire o ridurre in schiavitù, come avrebbero dichiarato in seguito. Alcune riuscirono a scappare ma da allora, nonostante la campagna internazionale sponsorizzata tra gli altri dal premio Nobel Malala Yousafzai e da Michelle Obama, mancano all'appello 232 ragazze, 156 avevano al collo il crocifisso.

"Sono state uccise"
Dove sono oggi quele studentesse che commossero il mondo fino ad accendere i riflettori sulla guerra di Boko Haram alla Nigeria cristiana e alla cultura occidentale costata già oltre 18 mila morti e 1,5 milioni di rifugiati?
Giorni fa l'ufficiale dell'Unher Raad Zeid al Hussein parlò d'una fossa comune nella Bama appena riconquistata dai governativi in cui tra i numerosi corpi femminili potrebbero esserci le ragazze uccise dai Boko Haram in ritirata.
I genitori tacciono e pregano.
Cristian Nani, direttore di Porte Aperte (Open Doors), l'associazione che si occupa delle persecuzioni dei cristiani, mantiene cautela e riserbo:

"Sappiamo che almeno 550 sono state uccise a Bama oltre ad un certo numero di uomini. Un massacro imponente che segna l'escalation di violenza nella strategia dei Boko Haram. Circolano voci che tra le donne ci siano anche le ragazze di Chibok. Tuttavia, secondo i nostri collaboratori in loco, non esistono a oggi prove concrete a favore di questa tesi. Sappiamo che a sostenerlo sono fonti credibili, ma non vi sono evidenze al momento".

La Nigeria come il mondo
La mattanza in corso in Nigeria, dove alle spalle dei taleban d'Africa c'è lo scontro tra il nord musulmano e agricolo e il sud cristiano e commerciale, è una delle linee-guida dell'offensiva globale contro le chiese, simbolo d'un Occidente bianco mai stato così poco centrale, ma alla resa dei conti con la Storia (il 2014 è stato drammatico con almeno 4334 prsone ammazzate perché cristiane).

I genitori morti di stress
A un anno da Chibok, le studentesse rapite diventano l'icona dell'escalation in cui Boko Haram, lo Stato Islamico, gli Shaabab somali e gli jihadisti di Libia e Sinai si rimpallano il maggior massacro di civili, meglio se cristiani (come nel caso della selezione su base religiosa dei terroristi della scuola di Garissa, Kenya).
Secondo un nuovo report di Porte aperte (Open Doors) le 232 ragazze di Chibok mancanti hanno subìto abusi fisici e psichici (2 mesi fa Boko Haram diffuse la notizia che fossero ormai tutte musulmane devote pronte a sgozzare padri e madri), non sono riuscite a fuggire e almeno ventina dei loro genitori sono morti di stress dopo il sequestro. Non si sa molto di più tranne che non è stato pagato riscatto e che potrebbero essere state uccise (o portate in Niger). Ma nella Nigeria, decima classificata nella lista nera dei Paesi nemici dei cristiani (col massimo punteggio per le violenze) l'80% delle donne di Borno e Yobe intervistate nel rapporto "Boko Haram and Gender-Based Violence against Christian Women and Children in North-Eastern Nigeria" si dice vittima di stupri, rapimenti e conversioni forzate.

http://www.zeroviolenza.it/rassegna/pdfs/13Apr2015/13Apr2015e08f7e8ec5048bd56ef58c97ea7972ac.pdf

lunedì 13 aprile 2015

Proclama alle moriture d'Italia

di Barbara Spada

UDITE! UDITE!

Nella nostra civilissima, progredita, moderna nazione, nella quinta potenza industriale europea, culla della civiltà, faro della cristianità, nella nostra religiosissima, democratica, gloriosa terra, paese di santi, poeti e navigatori .. gli spettri di medievali banditori infestano indisturbati, sotto moderne e variegate spoglie, istituzioni, piazze, giornali, televisioni, procure, chiese, tribunali, ospedali.

Annunci solenni e pubblici emanati di volta in volta da personalità religiose, istituzionali, pubbliche e rivolte al "popolo femminile":

Donne
non uscite da sole la sera se non volete essere stuprate,
non denunciate un marito violento e abusante se non volete che vi siano tolti i figli,
non chiudete una relazione se non volete essere massacrate,
non abortite se non volete essere chiamate assassine,
non ribellatevi ai tradimenti del partner se non volete essere uccise,
non rinfacciategli le sue colpe se non volete essere massacrate di botte,
non negategli il sesso se non volete essere pugnalate 35 volte,
non andate in discoteca se non volete finire sanguinanti e sfondate nella neve,
non chiedete il divorzio se non volete finire giù dal balcone,
non scoprite il tradimento di vostro marito se non volete scomparire nel nulla,
non ribellatevi a fare le serve se non volete finire cosparse di benzina ed arse vive,
non restate incinte del vostro amante se non volete finire fatte a pezzi,
non fate, non dite, non pensate nulla che lui non approvi se non volete finire strangolate, sgozzate, soffocate, sparate, acidificate, pugnalate, buttate nel cassonetto dell'immondizia, scaraventate sotto i ponti nella melma, trafitte da uno spillone al cuore, seppellite nei muri di casa, tagliate a pezzi e messe nelle valigie con le ossa del cranio fracassate da una mazza di baseball, incatenate nude al termosifone agonizzanti, ammazzate da calci e pugni seppure cieche e denutrite, fustigate, torturate e lasciate stuprare "dagli amici"... insomma...

Donne, NON INSUBORDINATEVI!!

"Dura lex, sed lex" (ovvero leggasi "mascula lex, sed lex")

Volete fare a modo vostro? e allora ve la andate a cercare!
Continuerete ad essere stuprate, e i violentatori ai domiciliari forse sconteranno qualche mesetto dopo la sentenza. Continuerete ad essere picchiate, perseguitate e gli stalkers qualche volte verranno fermati prima di uccidervi.
Continuerete a morire ammazzate e gli assassini si faranno qualche annetto, forse, se non riusciranno a far sparire il vostro corpo.
Dalle procure ai tribunali, dai pulpiti religiosi ai cenacoli intellettuali catto-fasci, dai talk-show agli approfondimenti degli esperti... un solo coro... un solo grido:
"LA COLPA è VOSTRA"
E allora tumefatte, escoriate, sanguinanti, moriture del suolo italico, italiane e straniere vi è chiaro dove vi trovate?
Avete compreso in quale insospettabile e sorprendente luogo vi trovate?
Siete nell'arena novelle gladiatrici, circondate da leoni, non avete scampo... o vi lasciate sbranare o lottate, o macchiate il terreno col sangue del nemico o col vostro, non avete via d'uscita! e se proprio dovete morire, almeno vendete cara la pelle. Non c'è pietà per voi, non c'è giustizia, non c'è assoluzione... siete colpevoli...
Siete le donne che dicono NO almeno una volta prima di morire. Forse è il primo e l'ultimo che dite. Forse è uno dei tanti... quello fatale. Forse uno dei pochi che avete detto, quello definitivo... E in onore al nostro glorioso passato, alzate in alto le spade e salutate il vostro Imperatore: "Ave patriarchatus, moriturae te salutant!!"

Siamo più della metà della popolazione italiana e ci facciamo ancora rappresentare dagli uomini? Non c'è nessuna reale possibilità di un vero e sostanziale cambiamento senza una massiccia rappresentanza parlamentare femminile non vassalla dei catto-fasci o dei valori patriarcali-borghesi. Le uniche poche donne che sono state lasciate arrivare in parlamento sono sempre sottoposte alle pressioni maschili, soggette ad attenersi alle priorità che loro decidono, costrette a accettare le urgenze politiche da loro stabilite, tra le quali non mi risulta vi siano mai state tematiche specificatamente connesse con le lotte e le rivendicazioni delle donne contro le leggi e la cultura patriarcale. 
Continuare a non avere voce, non avere numero, non avere rappresentanza ci condanna a subire.

Che i centri antiviolenza vengano chiusi, che gli obiettori di coscienza ti neghino il diritto all'aborto, che in nome della pas ti prelevino un figlio fuori scuola per "resettarlo", che gli stupratori continuino ad essere giustificati e poco puniti, che la Cassazione possa decidere che un marito violento "ogni tanto" non è perseguibile, che la Legge possa stabilire che se ti stuprano in uno o otto non c'è differenza, che una sentenza possa affermare che una donna massacrata con 35 coltellate fosse una "dominante" e il suo assassino un "non -crudele", che pubblicità, televisione, giornali continuino a veicolare la cultura della violenza e la mercificazione del corpo femminile, che dai pulpiti religiosi si continui impunemente ad offendere e denigrare le donne, che al prossimo femminicidio ci sia un ennesimo poveretto vittima di raptus, umiliazioni coniugali, depressione ed una ennesima morta ammazzata, che sia solo un numero in più da registrare nella cronaca.

E' questo che vogliamo?
Ancora una volta abbiamo regalato la nostra voce a chi ci reso mute.


Foto di un utente.

Ci sono già le morte ad essere mute. Le donne vive hanno il diritto e il dovere di non esserlo. Lle donne vive devono gridare! La loro voce deve essere un urlogigantesco, possente, che racchiude tutte le grida di chi non c'è più. Deve nascere da sotto terra e salire con un boato dagli inferi al cielo, eruttare come un vulcano, vomitando la rabbia e il dolore che da secoli marchiano la nostra pelle.
(B.SPADA)

domenica 12 aprile 2015

Sull'infibulazione

"Parole vs lame"

La voce dell'innocenza
è silenziata dalle tue lacrime.
Smetterai di essere ragazza
e anche donna.

Il tuo errore, essere nata
nelle terre di tradizione inspiegabile
che ti rende più fragile, curiosa,
davanti al tuo proprio sangue.

Fermare la ruota che continua a rotolare.
Lo so. Difficile. Complicato ma non impossibile.

Se coloro che devono proteggerti
rubano il tuo destino sotto la soglia
dell'imposto
cosa potranno farti degli estranei?


Madre, a te mi rivolgo,
Voglio che tu pensi
nell'istante che hai vissuto.
Non lasciarli! non permetterlo!
Il fiore della tua vita non può transitare
per lo stesso percorso pericoloso.

Per la ruota che continua a rotolare.
Lo so. Difficile. Complicato ma non impossibile.

Pensa. Guarda. Ascolta. Senti.
Che il cuore vince la battaglia
per il motivo della tradizione
perché ci sono altre partenze.

Per la ruota che continua a rotolare.
Lo so. Difficile. Complicato ma non impossibile.

E quando il tuo sguardo gira
la vista verso un altro angolo del pianeta
vedrai che ci sarà un'altra forma di infanzia felice
che potrà essere anche ragazza
ma questa volta senza toglierle il diritto di essere una donna.

Autore: Rox Martinez.



" Palabras vs Cuchillas "

La voz de la inocencia
es silenciada por tu llanto.
Dejarás de ser niña
y también mujer.

Tu error, haber nacido
en tierras de tradición inexplicable
que te hace más frágil, curioso,
frente a tu propia sangre.

Parar la rueda que no deja de rodar.
Lo sé. Difícil. Complicado pero no imposible.

Si quienes deben protegerte
roban tu destino bajo el umbral
de lo impuesto
¿ qué no podrán hacerte unos desconocidos ?

Madre, a ti me dirijo,
quiero que pienses
en el instante que viviste.
¡No les dejes!¡No lo permitas!
La flor de tu vida no puede transitar
por el mismo sendero peligroso.

Para la rueda que no deja de rodar.
Lo sé. Difícil. Complicado pero no imposible.

Piensa. Mira. Oye. Siente.
Que el corazón gane la batalla
a la sin razón de la tradición
porque hay otras salidas.

Para la rueda que no deja de rodar.
Lo sé. Difícil. Complicado pero no imposible.

Y cuando tu mirada gire
la vista hacia otro rincón del planeta
verás que habrá otra forma de feliz niñez
que también dejará de ser niña
pero esta vez sin quitarle el derecho a ser mujer.

venerdì 10 aprile 2015

Perché il movimento femminista deve essere trans inclusivo

Questo è un pezzo, tratto da EveryDayFeminism.com, che parla di trans inclusività all’interno del movimento femminista.
Sono cose scontate per me, per noi, ma non altrettanto scontate per una fetta del movimento che considera le persone trans estranee alla propria battaglia politica.
Estranee, o addirittura nemiche, al punto da insultarle, istigare all’odio contro di loro, perseguitarle e minacciarle. La traduzione dell’articolo è di Mara Bevilacqua (Grazie!). Vi auguro una buona lettura! (https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/04/09/perche-il-movimento-femminista-deve-essere-trans-inclusivo/)

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Di Laura Kacere*

Nonostante quel che ci piace pensare, il femminismo non è sempre lo spazio inclusivo che vorremmo fosse. Anzi, può essere uno spazio davvero pericoloso per chi è visto come un outsider.
Nonostante le persone transgender meritino un ruolo centrale nel movimento femminista, una minoranza piccola (ma che esprime la propria opinione con fervore!) le considera antitetiche rispetto agli obiettivi del movimento, quindi escludendo deliberatamente – storicamente e attualmente – le lotte trans dal femminismo.

Durante la seconda ondata negli Anni ’70 e ancora oggi, le persone trans e/o non conformi al genere hanno subito esclusione, discorsi di incitamento all’odio, minacce e persecuzione per mano del movimento femminista.
Ad esempio, Germaine Greer, voce femminista degli Anni ’70 e nota per i suoi libri sulla sessualità e il genere, oggi scrive delle donne trans come di “spaventose parodie” di donne, dicendo che “altre fissazioni possono essere contestate, ma non la fissazione di un uomo di essere una donna”.
(È stata bombardata di glitter l’anno scorso da attiviste queer per i suoi continui commenti transfobici.)
Un’altra cosiddetta femminista ancora più piena di odio è Janice Raymond, che afferma nel suo libro The Transsexual Empire: The making of He-She che “tutti i transessuali violentano i corpi delle donne riducendo la vera forma femminile ad un artefatto, appropriandosi del corpo per sé stessi.”
Poi ci sono Mary Daly, Sheila Jeffreys e Julie Bindel – tutte voci femministe di primo piano che usano il femminismo per tormentare le persone trans, sostenendo che l’esistenza stessa delle persone trans non si allinea con l’ideologia femminista.

È davvero tragico che alcuni dei discorsi più carichi di odio contro le persone transgender siano venuti dall’interno del movimento femminista.

La cosa continua oggi sotto forma di guerre su Twitter, nell’esclusione fisica delle donne trans da spazi esclusivamente femminili, e nella teoria dietro quella branca del femminismo conosciuta come Femminismo Radicale.
Nonostante le femministe transfobiche siano una minoranza, sono state in grado di farsi ascoltare e creare potere, spesso associandosi con i Conservatori di destra in politiche sul tema, e contribuendo alla cultura di violenza e persecuzione contro le persone trans.
Le loro posizioni vanno dal credere che le persone a cui è stato assegnato il sesso maschile si identificano come donne “per stuprare le donne” e “per appropriarsi e infiltrarsi negli spazi femminili”, al concetto che le persone a cui è stato assegnato il sesso femminile si identificano come uomini “per sfuggire al sessismo e raggiungere i privilegi maschili”.
Ci sono discorsi, siti web e interi libri dedicati a disumanizzare, rivelare le tendenze sessuali (outing) e esporre all’umiliazione pubblica (shaming) le persone trans da una prospettiva apparentemente femminista. Questo comportamento non è solo offensivo e dannoso per la comunità trans, ma è distruttivo per il movimento femminista.

Le persone transgender affrontano la discriminazione istituzionale, l’oppressione e la violenza come risultato della transfobia, ma anche del sessismo – a causa di un’ossessione strutturale per la dualità di genere, per il controllo culturale e politico dei ruoli di genere, e una generale svalutazione delle qualità femminili.
Le problematiche trans sono problematiche femministe – e se vogliamo costruire un movimento femminista intersezionale ed efficace, è imperativo lavorare per rendere il femminismo trans inclusivo.

Esclusione delle Trans

Una forma comune di transfobia vista nel movimento femminista è l’esclusione delle donne trans dagli spazi solo per donne.
Le donne trans sono spesso escluse dai rifugi contro la violenza domestica, dai rifugi per le donne senzatetto e da altri spazi di supporto femminile, lasciando così le donne trans a combattere gli abusi, l’assenza di una casa e la misoginia nei rifugi per uomini, in famiglie violente o per strada. Le donne trans sono anche escluse da molti college femminili.

Le donne trans sono state e continuano ad essere escluse dagli spazi femministi solo per donne.

Il più famoso è il Michigan Womyn’s Music Festival, un festival musicale per sole donne che nacque negli Anni ’70 come zona protetta per le donne per condividere musica, e che serviva come spazio per la sensibilizzazione politica e l’emancipazione.
Ma dopo aver cacciato una donna trans nel 1991, il festival ha mantenuto una politica di esclusione verso le donne trans. Molte artiste e frequentatrici hanno preso posizione contro questa cosa, boicottando il festival e chiedendo petizioni, tuttavia l’organizzazione del festival prosegue con questa politica ogni anno.
Ciò a cui questa posizione di esclusione veramente si riduce è una visione di cosa sia uno spazio solo per donne, ovvero che uno spazio per sole donne è uno spazio solo per donne cis.

Spazi solo per donne

Gli spazi esclusivi per le donne possono dare potere ed essere importanti nel creare degli spazi in cui le donne si sentano al sicuro – fin quando c’è l’impegno a includere tutte le donne, in particolare quelle emarginate per la classe sociale, la razza, le capacità, la sessualità e lo stato di trans.
Poiché le donne trans sono donne, dovrebbero essere incluse negli spazi per sole donne. Eppure in qualche modo il concetto di spazi solo per donne è stato usato per escludere le donne trans da questi spazi volutamente sicuri.
Il Michigan Womyn’s Music Festival giustifica la sua intenzionale esclusione delle trans sostenendo che crescere come una donna cis è “una prospettiva unica che le donne trans non potrebbero mai capire”. Poiché le donne trans non fanno questa esperienza, dicono, non c’è posto per loro in uno spazio solo per donne.
Questa posizione è un insulto sia alle donne trans che cis.
Parte dal presupposto di un’esperienza femminile universale, una qualche qualità unificante che tutte le donne cis condividono.

C’è un totale disprezzo per l’intersezionalità qui – si insinua che tutte le donne, senza distinzioni di classe socioeconomica, razza, etnia e nazionalità, orientamento sessuale, capacità ecc., hanno avuto le stesse esperienze nella vita, e che questa esperienza sia unica e porti alla creazione di una spazio sicuro.
Si suppone pure che le persone trans non siano state discriminate nei loro diritti e non abbiano affrontato gravi fragilità e lotte nel processo di crescita e di coming out come trans.

Le donne trans vivono la particolare esperienza di subire sia la transfobia che la misoginia.
E chi dice che gli spazi solo per donne, essendo solo per donne, siano di per sé spazi sicuri?

Questo concetto presuppone che l’oppressione e la violenza interpersonale siano sempre perpetrate dagli uomini contro le donne.
Ma le donne bianche hanno, storicamente e tutt’oggi, violato la sicurezza delle donne di colore; le donne delle classi alte continuano a sfruttare e beneficiare del lavoro delle donne della classe operaia; le donne eterosessiste discriminano le donne queer.

Capisco il bisogno dei gruppi emarginati di spazi che siano esclusori e specificatamente contrassegnati per discutere le particolari problematiche che affrontano, ma noi dovremmo pensare in modo inclusivo i confini di questi gruppi: chi è dentro e chi è fuori?
Chi vuole che spazi solo per donne significhi solo per donne cis hanno adottato il termine “donne nate donne” (women-born women).
Questo termine comporta una specie di guerra di autenticità, in cui i confini delle femminilità sono controllati. La vera femminilità è quindi definita come essere “nate in questo modo” o piuttosto, come avere i relativi genitali.
Con questa categorizzazione arbitraria e inesatta, le donne trans non sono qualificate per essere autentiche donne e quindi per gli spazi femministi/per donne in generale.
Se c’è bisogno di spazi solo per donne cis, allora chiamateli così.
Ma quando uno spazio per sole donne è letto come spazio solo per donne cis, allora l’esistenza stessa dei gruppi serve a delegittimare le identità di genere delle donne trans e le loro esperienze.

L’analisi Anti Trans

L’analisi presentata da alcune femministe radicali trans escludenti (o TERFs, come sono spesso chiamate) tende a ricadere lungo le linee del determinismo biologico, sostenendo che la biologia è destino, che le donne nascono come cittadini di seconda classe e che gli uomini sono il problema sottostante di tutta l’oppressione. Vedono la soluzione nella fine della dualità di genere.
Esse sostengono che le persone trans rinforzano la dualità di genere, e quindi sono una minaccia all’eguaglianza di genere.

Ho sempre trovato questo punto bizzarro, perché non capisco come trans e persone non conformi al genere rinforzino la dualità di genere.
Semmai, le persone trans rendono più accettabile rompere quella dualità, sovvertire l’assegnamento e la socializzazione al genere e creare una comprensione più fluida del genere.

Il genere non è semplice come questa analisi afferma: esso è complesso, fluido e si basa su una moltitudine di assunti e caratteristiche culturali che variano da cultura a cultura e si intersecano con altre variabili e identità.
Il problema non è che la dualità di genere esiste, ma piuttosto che il genere viene assegnato senza il consenso, e che chiunque esca dai confini definiti culturalmente è emarginato e vive l’oppressione sistemica e la violenza.

Il problema non è la femminilità o la mascolinità. È la femminilità e la mascolinità obbligatorie, legate a un sistema di valori che svaluta tutto ciò che è femminile.
Negando l’esistenza di un privilegio cis, l’analisi delle TERFs semplifica oltremodo le esperienze vissute dalle donne in una società che svaluta queste esperienze.
Anche se la loro analisi ha un senso logico, ogni teoria che supporta la subordinazione di un gruppo di persone, che ci chiede di sacrificare i bisogni di un gruppo emarginato, deve essere rifiutata.


Ma poiché queste analisi sono espresse all’interno della retorica femminista, il femminismo trans escludente ottiene spesso un posto al tavolo del dialogo, come un’altra prospettiva del femminismo.
Dobbiamo stare attente a notare quando ciò accade, richiamando l’attenzione sugli spazi femministi che lo fanno in un tentativo di essere includenti.
Inclusione non dovrebbe mai voler dire includere discorsi di incitamento all’odio, mentre qui si tratta precisamente di questo.
Se permettiamo alla transfobia di esistere e di passare come femminismo, allora questa è una causa che tutte le femministe devono appoggiare come propria.

Sul costruire un movimento femminista trans includente

Nonostante il titolo di questo articolo, la nostra lotta non dovrebbe focalizzarsi solo sul rendere il movimento femminista più inclusivosi tratta si rendere le persone trans e altri membri emarginati del movimento femminista una sua parte centrale.
Non possiamo solo richiamare i comportamenti transfobici, dobbiamo dare alle persone trans una voce e uno spazio non solo simbolico nel nostro movimento.

Nel suo libro Excluded: Making Feminist and Queer Movements More Inclusive, Julia Serano dice: “Abbiamo tutte un obiettivo comune: trovare una rete di supporto fuori dal sistema principale etero maschio-centrico, dove possiamo finalmente sentirci emancipate e affermate come donne.”
Così il nostro obiettivo diventa, nota l’autrice, creare comunità che celebrano la differenza, invece dell’uguaglianza, dove a tutte è dato ascolto, dove tutte sono viste come legittimo oggetto del desiderio, dove le espressioni e le rappresentazioni di genere non sono controllate, e dove le donne trans non sono considerate meno legittime delle donne cis.
Dobbiamo riconoscere le donne trans come donne (e includerle negli spazi femminili!), riconoscere gli uomini trans come uomini, e riconoscere i genderqueer e le persone che non si identificano della dualità come fuori o tra queste categorie, definite dalle proprie esperienze e dalla propria espressione sullo spettro dei generi.

Possiamo imparare a rispettare la legittimità delle persone che auto-identificano il proprio genere.

Possiamo aprirci alla complessità del genere, andare oltre la nostra limitata comprensione e le esperienze vissute a riguardo.
Possiamo rispettare che ogni persona è l’autorità competente sulle proprie esperienze.
Donne cis e trans sono alleate – una parte dello stesso movimento per combattere il sessismo – e abbiamo assolutamente bisogno di un movimento inclusivo che supporti e lotti per tutti, se vogliamo sinceramente capire e superare i problemi che fronteggiamo oggi.

 ***

Laura Kacere collabora con Everyday Feminism. È un’attivista e organizzatrice femminista, dottoranda, insegnante di yoga e fa servizio di scorta nelle cliniche abortive. Vive a Chicago. Su Twitter è @Feminist_Oryx

[Traduzione di Mara Bevilacqua]

lunedì 6 aprile 2015

La storia sconosciuta della lotta delle donne curde

La storia sconosciuta della lotta delle donne curde


La guerra in Medio Oriente contro lo Stato islamico d’Iraq e di Levante (ISIL) ha attratto l’attenzione del mondo intero sulla regione. L’attenzione si concentra in particolare sulle donne combattenti curde che hanno anche abbellito la copertina di riviste femminili, come Marie Claire. Questa esplosione di copertura mediatica non è solo sensazionalista ma sottovaluta anche tutta una storia di donne curde nella loro richiesta di riconoscimento politico e per la loro lotta per l’uguaglianza di genere.

In realtà, i cantoni autonomi curdi in Siria sono  governati da donne. Hevi İbrahim è il primo ministro di uno dei cantoni (Afrin), Asya Abdullah è la co-presidente del Partito dell’unione democratica (PYD) che governa la regione del Rojava, Ramziya Mohammed è il ministro delle finanze di un altro cantone.
C’è anche una truppa militare femminile (Forze di difesa delle donne,YPJ) attiva sul campo in Siria occidentale. Nel frattempo, nel paese vicino la Turchia, i partiti politici curdi BDP e HDP hanno presentato candidati donne alle elezioni amministrative in numero record, ed entrambi adottano un sistema di co-presidenza (un maschio-una femmina per ogni posizione dominante nel partito).

Come è potuto succedere, soprattutto in Turchia, dove le donne in generale sono oppresse e le donne curde specificatamente sono più oppresse rispetto alle loro omologhe turche? La risposta a questa domanda si trova nella storia della fondazione della repubblica turca. Con l’obbiettivo di costruire uno stato-nazione, le élite fondatrici mirano a costruire una nazione unificata attorno una sola lingua, etnia (turca), cultura e memoria collettiva. Fin dalla sua fondazione nel 1923, l’esistenza dei curdi era costantemente negata.

Verso la metà degli anni 1920, le misure coercitive del governo hanno iniziato ad aumentare. Parlare curdo è stato vietato e pratiche giuridiche sono seguite da quelle militari. Nel 1930, con l’ascesa del fascismo in Europa, i governi turchi hanno ostentato anche i sentimenti nazionalisti in un sistema a partito unico. Pratiche oppressive e politiche di assimilazione sono aumentate nella misura in cui vi è stata una politica di ‘turchizzazione‘ in ogni aspetto della vita; dalla formazione alla cultura e anche nell’economia. Lo stato turco ha quindi avviato una lotta contro tutti coloro che non si identificavano come un turco. Questa pratica è arrivata fino a svuotamento dei villaggi curdi per riempirli con popolazioni di lingua turca e cambiando i nomi curdi  dei villaggi con quelli turchi.

Il colpo di stato militare del 1980 fu l’apice di queste politiche, dove i curdi e le loro richieste di nuova espressione di identità sono state duramente oppresse dalla giunta militare, ed alcuni politici curdi sono stati costretti a fuggire dalla Turchia.
Le oppressioni e persecuzioni,come l’incarcerazione di leader politici curdi e la loro tortura,il traffico di uomini d’affari curdi o le irrisolte esecuzioni extragiudiziali di avvocati curdi e difensori dei diritti umani sono aumentati nei primi anni 1990.
 La Costituzione del 1982,che aveva vietato l’uso della lingua curda nella vita quotidiana è stata l’ultima goccia e come risposta gli attacchi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) sono aumentati enormemente durante la seconda metà del 1980 e la prima metà degli anni ’90.

Modernità stato-centrica in crisi
Gli anni successivi al colpo di stato militare del 1980 sono stati quelli in cui il progetto della modernità turca con la sua versione stato-centrica della  modernità turca ha cominciato ad affrontare una grave crisi.
Dall’inizio degli anni 1990,la Corte costituzionale turca ha chiuso i partiti politici curdi [1] .I curdi non potevano partecipare al sistema politico a causa della soppressione inesorabile dello stato turco e le politiche dell’identità sono divenute un movimento di spinta al di fuori del sistema che ha portato alla violenza politica. Ogni volta che la questione curda è stata menzionata nel dibattito dello stato turco, si è espressa in termini di politiche reazionarie, resistenza tribale o arretratezza regionale, ma non è mai stata sollevata come questione etnico-politica.
Così, dalla fondazione della repubblica turca fino al 1980,la questione curda non è rimasta come un problema di rivendicazione e di riconoscimento d’identità, ma come un problema regionale di arretratezza, la cui soluzione poteva essere solo l’assimilazione della questione curda nel discorso della modernità politica considerata dallo Stato come unità tra lo Stato e la sua gente. Non sarebbe corretto,quindi,affermare che l’emergere della questione curda come un problema del riconoscimento dell’identità politica dei curdi e delle rivendicazioni etniche ha luogo alla fine del 1980 e all’inizio del 1990.

Le politiche di modernizzazione della repubblica turca,come molti altri progetti di modernizzazione,hanno identificato le donne come “il trasmettitore del patrimonio culturale” e ha dato loro il compito di portare avanti tradizioni patriarcali e di creare un’identità attorno alla quale una nazione possa convergere. Il posizionamento della donna moderna turca come madre emancipata è stato un passo importante per tagliare i legami tra la società ottomana e la società turca, come se questo potesse mai essere fatto. Le donne, soprattutto delle grandi e simboliche città occidentali come Istanbul, Ankara e Smirne sono state messe in primo piano a posare come volto moderno della repubblica,adattandosi rapidamente ai cambiamenti introdotti con le rivoluzioni kemaliste, come ad esempio l’adozione del nuovo alfabeto latino e il codice occidentale di abbigliamento. La partecipazione delle donne alla vita politica, in particolare con la legge del 1934 che ha autorizzato il diritto di elezione e di voto per le donne, ha applicato questo modello di ‘moderna società’.
Eppure, per una serie di motivi, gli stessi privilegi non sono stati applicati alle donne curde. In primo luogo, le politiche di sviluppo della giovane repubblica non erano ancora state introdotte nelle regioni curde. Mentre sia le politiche di sviluppo e la natura patriarcale della società sono state condivise allo stesso modo da curdi e turchi, anche se non nelle stesse proporzioni, lo strumento più importante che le donne disabili curdi modernizzare il modo in cui lo Stato turco previsto era la barriera linguistica.

Le  donne curde  incapaci di parlare turco nella sfera pubblica,non potevano partecipare al ”mondo moderno”, dove non avrebbero potuto trovare un lavoro,né diventare membri di un’associazione.
Poichè la scuola primaria obbligatoria è in turco, dal punto di vista curdo, questo significava che parlare curdo a casa ma essere addestrati in turco a scuola ha avuto gli effetti di ostacolare  lo sviluppo cognitivo dei bambini curdi  e di diminuire le loro possibilità di muoversi nei ranghi più alti della società.
Le donne curde che hanno imparato tardi il turco a scuola non hanno potuto esprimersi correttamente, e non potevano partecipare alla vita sociale ed economica. si potrebbe parlare di teoria del capitale linguistico di Bourdieu. Bourdieu afferma che, “la capacità di parlare la lingua dominante di un paese è una risorsa che può essere utile per accedere alle gratifiche e alle posizioni desiderabili del paese”[2] .Dunque,le donne che non parlano turco sono state impiegati nell’economia meno formale, i loro mariti avevano livelli di istruzione  e le occupazioni più basse,e avevano redditi familiari bassi.

Sotto la forte pressione delle politiche turche di omogeneizzazione e di negazione culturali ed etniche,soprattutto dopo il colpo di stato del 1980,  donne curde hanno non solo iniziato a rivendicare la propria identità curda,ma hanno anche sviluppato una coscienza femminista in risposta alle attitudini maschiliste degli uomini curdi all’interno della loro lotta nazionale. In questo periodo, le violazioni dei diritti umani da parte dello stato, l’evacuazione sistemica dei villaggi curdi,le torture e le esecuzioni extragiudiziali di centinaia di politici, attivisti, giornalisti, avvocati e intellettuali curdi erano all’apice.In queste circostanze,le donne curde sono state politicizzate.
Non solo più donne si sono unite al PKK in questo periodo, ma sono diventate anche più attive nel movimento attraverso diverse iniziative quali le Madri del sabato e  le Pace Mothers [3] – portando all’attenzione del pubblico le esecuzioni extragiudiziali nella regione ed esigendo la pace.Va sottolineato che è stato in risposta alle politiche oppressive della repubblica turca che le donne curde hanno imparato ad alzare la voce, a fare rivendicazioni sociali e politiche formulando richieste per poter essere all’avanguardia della loro società, e hanno scoperto la loro forza attraverso la loro politicizzazione.

Abdullah Öcalan e il Pajk
Qui è anche importante vedere come il PKK, ed in particolare il discorso del suo leader, Abdullah Ocalan hanno contribuito all’emancipazione delle donne e all’emancipazione del movimento curdo. Fin dagli inizi del Pkk, Ocalan ha sostenuto le donne come i fondatrici della nazione. Era nel 1987 che  venne fondata l’Unione delle donne patriottiche del Kurdistan (Yekitiya Jinen Welatparezen Kurdistan, YJWK) come parte del partito politico.Nel 1995 è stato fondato il braccio militare composto esclusivamente da combattenti femminili – le truppe delle donne libere del Kurdistan (Yekitiya Jinen Azad a Kurdistan, YJAK).
Una spiegazione per la fondazione di queste truppe è la rivendicazione delle donne curde ad essere viste alla pari con gli uomini all’interno del movimento. Attraverso il sacrificio di sè con attentati suicidi o auto-immolazioni, le donne curde nel PKK hanno cercato di dimostrare la loro forza e la loro volontà di partecipare alla loro lotta nazionale ottenendo la parità con gli uomini nella società curda attraverso il PKK e nella sua militanza.
Poi, nel 1999 all’interno del PKK,è stato fondato il Partito dei Lavoratori del Kurdistan donne, poi chiamato PJKK, ma ora denominato Partito delle donne libere del Kurdistan, Pajk. Dal 2000 è attiva nel kurdistan iracheno l’Accademia delle donne libere che offre corsi di formazione per militanti femminili e maschili  per migliorare le loro competenze politiche e militari da una prospettiva femminista.

In aggiunta a questi meccanismi istituzionali creati all’interno del partito sono state portate le pratiche nei campi della condivisione dei lavori domestici. Ocalan ha scelto di rendere le donne curde parte importante del movimento di liberazione, della resistenza curda e “del risveglio” nazionale. Questo è apertamente espresso nelle pubblicazioni del PKK in cui,  si dice di Ocalan, che ”ha iniziato questo risveglio con l’anello più importante della catena, la donna, dal momento che è il primo a produrre e creare. Questo è il motivo per cui il suo risveglio (…) indica l’alba di una nuova era. Il risveglio della donna in Mesopotamia significa che il popolo si risveglia e assume il controllo “.

Non è stato solo un discorso di Ocalan che ha portato alla politicizzazione delle donne curde. Le donne che portavano il peso del sottosviluppo, che avevano sofferto per i membri morti della famiglia, come i mariti, figli o gli amanti, hanno dovuto fare tutto il lavoro di cura per le famiglie allargate e hanno trovato che l’unico modo per migliorare la loro situazione era di prendere nelle loro mani e “lotta” per la pace. Le politiche di omogeneizzazione e di assimilazione dello stato turco ha dato più modo di emancipazione e responsabilizzazione delle donne su una scala senza precedenti. Molte donne sono diventate  attiviste dopo aver vissuto grandi perdite e aver perso i propri cari o subito dopo andare loro stesse in galera.
Kara_Fatma

 Kara Fatma, 1919. Wikicommons/unknown.Some rights reserved.

Come abbiamo visto, la storia della lotta delle donne curde non è un fenomeno recente. L’ultima generazione di donne curde è cresciuta riconoscendo le donne combattenti come un elemento naturale dell’identità curda. Ma prima di quello, alla fine del XIX secolo, c’era Kara Fatma, una donna curda che ha guidato un battaglione di circa 700 uomini dell’Impero Ottomano, e Halima Khanim di Hakkari che era il governatore di Bash Kala o Adela Khanim, governatore di Halabja vicino al confine turco-iraniano.
Leyla Qasim è diventata la prima donna ad essere giustiziata dal partito Baath iracheno per il suo coinvolgimento nel movimento studentesco curdo, quando aveva solo 22 anni. Oggi quasi la metà dei ranghi del PKK sono costituiti da donne. La rivoluzione del Rojava è conosciuta come una “rivoluzione femminile”. Oggi c’è un forte movimento delle donne tra i curdi,e questa è l’eredità di decenni di resistenza delle donne curde in ogni aspetto della vita,al fine di difendere non solo la loro identità e loro diritti, ma anche la loro uguaglianza e la femminilità.


di Maya Arakon per Open Democracy
https://www.opendemocracy.net/maya-arakon/kurdish-women%E2%80%99s-unknown-history-of-struggle