martedì 20 gennaio 2015

La Rivoluzione comincia dal corpo!

"Il Corpo Giusto" di Eve Ensler
 
(la traduzione è di Samuela Pagani, l'adattamento di Giuseppe Bertolucci e Luisa Grosso)


Risultati immagini per eve ensler immagine
EVE: Quand'ero piccola la gente mi chiedeva: cosa vorresti essere da grande?
Buona, rispondevo.
Voglio essere buona.
Diventare buona era più difficile che diventare dottore, astronauta o bagnino. Per fare queste cose bisogna superare una serie di prove; devi imparare a sezionare cadaveri o vincere la gravità o nuotare come un pesce. Diventare buona era diverso. Era astratto. Sembrava del tutto irraggiungibile. Divenne la sola cosa di cui mi importava. Se fossi stata buona, tutto sarebbe andato bene. Sarei stata amata da tutti. Avrei schivato la morte e sarei andata dritta in cielo.
Se adesso mi chiedeste cosa vuol dire essere buona, non lo so esattamente ancora.
Non ci sono mai riuscita a essere buona.
C’è un sentimento di cattiveria che vive in ogni parte del mio essere. Chiamatela ansia o disperazione. Chiamatela colpa o vergogna. Mi tiene sotto completa occupazione.

Più vecchia, apparentemente lucida e saggia divento, più inafferrabile, globalizzata e terrorista diventa la cattiveria.

Penso che per molte di noi - almeno per la maggior parte di noi (ma no, forse per tutte noi) - ci sia una particolare parte del nostro corpo dove si annida tutta la cattiveria: le cosce, il culo, il petto, i capelli, il naso, il mignolo del piede… Sapete di cosa parlo.


Dovunque sia andata nel mondo, che fosse a Tehran - dove le donne si sfasciano il naso e se lo rifanno per sembrare meno iraniane, o a Pechino, dove si spaccano le gambe e aggiungono pezzi di osso per diventare più alte, o a Dallas, dove si fanno temperare i piedi dal chirurgo per infilarli in un paio di Manolo Blahniks o di Jimmy Choos.
Dovunque incontro donne che concentrano il loro odio su una particolare parte del loro corpo. Passano la vita ad aggiustarla, a restringerla. Per trasformarla hanno armadietti pieni di prodotti di ogni tipo. E interi armadi di vestiti per nasconderla o per metterla in risalto. Sono state rese sovrane di un piccolo paese chiamato il loro corpo, che si mettono a tiranneggiare, ripulire, o controllare, perdendo di vista tutto il resto del mondo.


Ancora mi sembra incredibile che una come me, dopo trent'anni di femminismo radicale, sprechi tempo pensando alla sua pancia. E' il mio tormento, la mia distrazione: il più serio rapporto di coppia della mia vita. Si è intromessa nei miei vestiti, nella mia intimità, nella mia capacità di lavorare. Ho cercato di placarla, di educarla, di abbracciarla e, soprattutto, di cancellarla. 

Ecco cosa mi sembra di avere imparato fin qui: per essere buona devo essere una psicopatica sorridente, coinvolta in una relazione morbosa con un allenatore nazista, fortunatamente resa insensibile dal botulino, con un ago d’acciaio che mi succhia il grasso bianco come la vaniglia, e con la figa ristretta. Dovrò succhiare, spendere, strofinare, radere, pompare, farmi bucare da piercing e siringhe, farmi la permanente, tagliare, coprire, schiarire, stringere, stirare, tirare, martellare, spianare, cerare, attenuare, morire di fame e alla fine svanire.
Devo fermarmi.
Devo respirare.
Ho bisogno di essere qui.
Voglio essere capace di fare il mio lavoro.
Non voglio svanire.

Nessun commento:

Posta un commento