cominciamo con la botta... a seguire la risposta:
Il Pd ha presentato un disegno di legge per
abolire dai libri delle elementari le immagini di bambine che cucinano e
cullano bambole, nella beata convinzione che siano quegli stereotipi ad
alimentare il maschilismo della società e le violenze contro le donne. A
me sembra che ancora una volta si giri cerebralmente intorno al punto. E
il punto non riguarda la scarsa consapevolezza del ruolo della donna,
ma la totale ignoranza del significato dell’amore. La mancanza, cioè, di
un’educazione sentimentale. I sentimenti sono stati espulsi dal
discorso pubblico. L’orrore può essere raccontato in ogni sua forma,
così come la retorica melensa. Ma il sentimento no. Il sentimento viene
confinato alla sfera privata per false ragioni di pudore. Solo che, a
furia di confinarlo, nessuno sa più cos’è.
Il maschio che picchia una donna è anzitutto un maleducato
sentimentale. Uno per cui l’amore si esprime attraverso il possesso di
un’altra persona. Mentre l’amore, come ci ha invano ricordato Platone
due millenni e mezzo fa, consiste nel desiderare il bene della persona
amata anche quando non coincide con il nostro. Consiste nel dare, non
nel ricevere. Perciò l’amore è più forte del senso di sconfitta che ti
infligge un rifiuto o un abbandono. Perché ti permette di accettare la
perdita senza sentirti ferito nell’orgoglio né menomato nella tua
personalità. Amare significa sapere accogliere e lasciare andare. E’
l’esatto opposto del possesso. E’ la forma più alta di libertà.
Spieghiamo questo ai bimbi delle elementari, e lasciamo in pace le
bambole.
Caro Gramellini, questa volta sbaglia
Caro Massimo Gramellini,
leggo sempre il tuo Buongiorno, ma questa volta, permettimi, sbagli. E se non fosse perché il tuo Bambole e bambocci
sarà letto da migliaia di persone, mamma e papà, non avrei sentito
l’urgenza di scriverti questa lettera aperta. Essendo io stessa, prima
che giornalista, genitore. Perché, lo dico subito sinteticamente, la
mancanza d’amore verso la donna e il suo corpo comincia proprio dalla
rappresentazione che ne viene fatta. E quest’ultima ha inizio dalla
scuola. Dall’educazione. Rappresentare le bambine sempre e solo come
future cuoche, addette alla cura familiare, mamme e bambole è il primo passo per mortificare il loro talento.
Ed è nella mortificazione del talento, nell’idea che la donna sia solo
“quella roba là” che germina, anche, il seme della violenza. Hai letto
alcuni dei commenti sull’impresa di Samantha Cristoforetti?
Il più carino diceva che, in fondo, sulla base spaziale, serviva
qualcuno che stirava e cucinava. Che faceva la bambola insomma.
Ma per uscire dalle prime pagine dei giornali e venire al quotidiano,
basta avere un figlio o una figlia a scuola per rendersi conto come gli
stereotipi siano così radicati da aver paura di rifiutarli. Perché
“sembri un maschio” se hai i capelli corti e ti piace il calcio; perché
sei una “maschiaccia” se alzi la voce e corri; perché è meglio che “non
ti stanchi troppo”. Inutile girarci intorno, l’inizio della segregazione delle future donne,
della loro debolezza nell’esprimersi e anche nel dire di no, inizia
qui. Inizia così. E alla fine, la loro esclusione dal mondo del lavoro,
dalla vita sociale, da una relazione vera e alla pari non è altro che una profezia che si auto avvera. In termini più specifici, come scriveva Giorgia Serughetti in Pagina 99:
«Il sostrato che alimenta la violenza è fatto di rappresentazioni della
disponibilità femminile: affettiva, materiale, sessuale». È quella
bambola tanto docile destinata a prendersi cura di noi che vediamo fin
dalle scuole elementari e a cui, evidentemente, ci siamo così
affezionati da non riconoscerla come carceriere.
Certo che manca un’educazione sentimentale. Ma l’educazione
sentimentale non passa forse per dare la stessa possibilità di futuro a
tutti i bambini e bambine? Nel rispetto gli uni verso le altre proprio
perché, tutti e tutte, devono avere un futuro di pari dignità? È giusto
parlare d’amore. Bene, l’amore passa anche per il sogno ad occhi aperti.
E il sogno non può avere limiti. Il più grande atto
d’amore è quello di trasmettere ai nostri figli e figlie questa folle
idea di infinite felicità che li attendono. I limiti, le costrizioni
delle aspettative sociali, gli amori negati, i sogni violati e
violentati, arriveranno. Ma insegnarli, imporli come modello, questo sì,
è il primo atto di mancanza d’amore.
P.S. Giusto in questi giorni è uscita una ricerca in cui 1 italiano
su 3 pensa che la violenza sulle donne debba essere risolta in casa.
Nella casa delle bambole appunto.
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