mercoledì 17 dicembre 2014

Botta e risposta: Gramellini-Ravasio


Il Pd ha presentato un disegno di legge per abolire dai libri delle elementari le immagini di bambine che cucinano e cullano bambole, nella beata convinzione che siano quegli stereotipi ad alimentare il maschilismo della società e le violenze contro le donne. A me sembra che ancora una volta si giri cerebralmente intorno al punto. E il punto non riguarda la scarsa consapevolezza del ruolo della donna, ma la totale ignoranza del significato dell’amore. La mancanza, cioè, di un’educazione sentimentale. I sentimenti sono stati espulsi dal discorso pubblico. L’orrore può essere raccontato in ogni sua forma, così come la retorica melensa. Ma il sentimento no. Il sentimento viene confinato alla sfera privata per false ragioni di pudore. Solo che, a furia di confinarlo, nessuno sa più cos’è.  
 
Il maschio che picchia una donna è anzitutto un maleducato sentimentale. Uno per cui l’amore si esprime attraverso il possesso di un’altra persona. Mentre l’amore, come ci ha invano ricordato Platone due millenni e mezzo fa, consiste nel desiderare il bene della persona amata anche quando non coincide con il nostro. Consiste nel dare, non nel ricevere. Perciò l’amore è più forte del senso di sconfitta che ti infligge un rifiuto o un abbandono. Perché ti permette di accettare la perdita senza sentirti ferito nell’orgoglio né menomato nella tua personalità. Amare significa sapere accogliere e lasciare andare. E’ l’esatto opposto del possesso. E’ la forma più alta di libertà. Spieghiamo questo ai bimbi delle elementari, e lasciamo in pace le bambole.

 

Caro Gramellini, questa volta sbaglia

Caro Massimo Gramellini,
leggo sempre il tuo Buongiorno, ma questa volta, permettimi, sbagli. E se non fosse perché il tuo Bambole e bambocci sarà letto da migliaia di persone, mamma e papà, non avrei sentito l’urgenza di scriverti questa lettera aperta. Essendo io stessa, prima che giornalista, genitore. Perché, lo dico subito sinteticamente, la mancanza d’amore verso la donna e il suo corpo comincia proprio dalla rappresentazione che ne viene fatta. E quest’ultima ha inizio dalla scuola. Dall’educazione. Rappresentare le bambine sempre e solo come future cuoche, addette alla cura familiare, mamme e bambole è il primo passo per mortificare il loro talento. Ed è nella mortificazione del talento, nell’idea che la donna sia solo “quella roba là” che germina, anche, il seme della violenza. Hai letto alcuni dei commenti sull’impresa di Samantha Cristoforetti? Il più carino diceva che, in fondo, sulla base spaziale, serviva qualcuno che stirava e cucinava. Che faceva la bambola insomma.
Ma per uscire dalle prime pagine dei giornali e venire al quotidiano, basta avere un figlio o una figlia a scuola per rendersi conto come gli stereotipi siano così radicati da aver paura di rifiutarli. Perché “sembri un maschio” se hai i capelli corti e ti piace il calcio; perché sei una “maschiaccia” se alzi la voce e corri; perché è meglio che “non ti stanchi troppo”. Inutile girarci intorno, l’inizio della segregazione delle future donne, della loro debolezza nell’esprimersi e anche nel dire di no, inizia qui. Inizia così. E alla fine, la loro esclusione dal mondo del lavoro, dalla vita sociale, da una relazione vera e alla pari non è altro che una profezia che si auto avvera. In termini più specifici, come scriveva Giorgia Serughetti in Pagina 99: «Il sostrato che alimenta la violenza è fatto di rappresentazioni della disponibilità femminile: affettiva, materiale, sessuale». È quella bambola tanto docile destinata a prendersi cura di noi che vediamo fin dalle scuole elementari e a cui, evidentemente, ci siamo così affezionati da non riconoscerla come carceriere.
Certo che manca un’educazione sentimentale. Ma l’educazione sentimentale non passa forse per dare la stessa possibilità di futuro a tutti i bambini e bambine? Nel rispetto gli uni verso le altre proprio perché, tutti e tutte, devono avere un futuro di pari dignità? È giusto parlare d’amore. Bene, l’amore passa anche per il sogno ad occhi aperti. E il sogno non può avere limiti. Il più grande atto d’amore è quello di trasmettere ai nostri figli e figlie questa folle idea di infinite felicità che li attendono. I limiti, le costrizioni delle aspettative sociali, gli amori negati, i sogni violati e violentati, arriveranno. Ma insegnarli, imporli come modello, questo sì, è il primo atto di mancanza d’amore.
P.S. Giusto in questi giorni è uscita una ricerca in cui 1 italiano su 3 pensa che la violenza sulle donne debba essere risolta in casa. Nella casa delle bambole appunto.

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