Cosa cambia nel cervello di una donna dopo lo stupro
Nel 2002 lo
studio Enveff (Enquête nationale sur la violence enver les femmes en
France) ha dimostrato che nei primi 12 mesi successivi all'abuso
sessuale le donne hanno un rischio 26 volte superiore di suicidarsi.
Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) una percentuale di
vittime che va dal 44 al 59% sviluppa disturbi depressivi o abuso
alcolico e, a distanza, sono possibili patologie ginecologiche (legate
anche ai traumi fisici), della sfera sessuale, disturbi alimentari
(anoressia, bulimia), autolesionismo e difficoltà a gestire i figli.
Dopo la violenza, insomma, nella vita di una donna cambia tutto.
Il
trauma ti devasta e devi appunto ricostruire il tuo Sé.
"Per violenza
sessuale", spiega Adelia Lucattini, psichiatra, psicoterapeuta e
psicoanalista di Roma, "s'intende un rapporto sessuale ottenuto sotto
minaccia o con la violenza con un partner non consenziente, sconosciuto,
conosciuto o anche all'interno di una relazione.
Costituisce una delle
più gravi e distruttive invasioni della sfera intima e personale,
seconda solo all'omicidio e alle gravi lesioni personali.
Le persone
vittime di stupro possono reagire in modo diverso, sia nell'immediato
che a distanza di tempo. È sempre comunque un avvenimento estremamente
traumatico, che produce sentimenti di terrore e angoscia, impotenza e
orrore”.
In particolare, nei primi giorni e fino a un mese si parla di "Disturbo Acuto da Stress" (ASD): l'evento traumatico riappare in modo persistente nella mente, è un pensiero fisso e scioccante, accompagnato da incubi notturni. Da uno a sei mesi si parla di "Disturbo Post Traumatico da Stress" (PTSD): "flashbacks", brutti ricordi, insonnia, difficoltà di concentrazione, annebbiamento del pensiero ed emotivo, esplosioni di rabbia, somatizzazioni, ideazione suicidaria.
Generalmente le vittime evitano luoghi, cose o persone che ricordino
l'evento. Successivamente, se il disturbo persiste, si parla di
"Disturbo da disadattamento", che caratterizza un'evoluzione negativa
del PTSD e necessita spesso di cure psichiatriche, psicologiche e
farmacologiche. “Tutti questi sintomi", continua l'esperta, "si
accompagnano anche a vergogna, senso di colpa, rabbia, difficoltà nei
rapporti interpersonali e nelle relazioni affettive e possono perdurare
anche per anni. In persone non adeguatamente assistite da un punto di
vista psicologico, che non si siano sottoposte a psicoterapia o analisi,
talvolta associata a una terapia farmacologica, persiste anche per
tutta la vita. I 'sogni traumatici', in cui la violenza viene rivissuta
nel presente con tutta la sua forza, possono ripresentarsi anche a
distanza di molto tempo, con perdita di fiducia e bassa autostima e
sensazione di impotenza”.
Passività e ghettizzazione
Un versante molto rischioso per le vittime di stupro e di violenza sessuale è quello depressivo, che può manifestarsi con una depressione conclamata anche grave nell'immediato o a distanza, e con una qualità depressiva specifica che è la "passività", una forma depressiva del pensiero, insidiosa e molto pericolosa, che si presenta anche in assenza di sintomi riconoscibili (sentirsi attoniti, senza forze, tristi, vuoti, rabbiosi).
Un versante molto rischioso per le vittime di stupro e di violenza sessuale è quello depressivo, che può manifestarsi con una depressione conclamata anche grave nell'immediato o a distanza, e con una qualità depressiva specifica che è la "passività", una forma depressiva del pensiero, insidiosa e molto pericolosa, che si presenta anche in assenza di sintomi riconoscibili (sentirsi attoniti, senza forze, tristi, vuoti, rabbiosi).
"La convinzione di fondo di chi ha sviluppato una
passività", spiega Lucattini, "è di lasciar perdere, lasciar correre,
disinteressarsi di se stesse e delle proprie cose perché 'non è
importante', 'non conta nulla', 'non cambia niente', tutto questo
accompagnato da spiegazioni ineccepibili, perfettamente logiche, con
l'unico grande neo che il punto di partenza non è realistico, ma nasce
da una propria convinzione inconscia e in quanto tale non riconoscibile
se non attraverso un analista, una difesa della mente dal dolore
insopportabile, causato dalla violenza subita".
Ma perché accade tutto
questo?
Una delle ragioni principali è che le vittime di violenza temono
di non essere credute e spesso hanno dovuto raccontare per filo e per
segno l'accaduto, sentendo di doversi giustificare, se non difendere, e
spiegare che non hanno dovuto fare nulla per essere vittime del loro
aggressore, ma che sono state scelte come vittime da un aggressore che
aveva su di loro vantaggio fisico o psicologico, per motivi che non
conoscono e che forse non conosceranno mai.
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