lunedì 14 dicembre 2015

Jasvinder Sanghera: "Difendo le vittime dei reati d'onore"

Jasvinder Sanghera: “Difendo le vittime dei reati d’onore”

Inglese di origini indiane, ha rifiutato il marito che le era stato imposto in famiglia. Oggi è a capo di una Ong, ed è stata minacciata di morte. Ma va avanti. In nome di sua sorella.

Hanno piazzato una bomba sotto la sua automobile. Ha ricevuto migliaia di minacce di morte. Negli incontri pubblici è stata insultata. Hanno imbrattato più volte di sterco le finestre esterne dell’edificio di Leeds che ospita la sede di Karma Nirvana, l’organizzazione no profit che ha formato per combattere i matrimoni forzati e sostenere le vittime dei reati di onore. Ma Jasvinder Sanghera, 50 anni, non si è mai spaventata. Figurarsi se si è arresa all’odio di centinaia di migliaia di famiglie indiane e musulmane che vivono in Gran Bretagna e nel resto del mondo, di cui è diventata incubo (per i genitori) e al tempo stesso speranza (per le figlie).

Dopo venti anni di tamburellante, incessante campagna di persuasione, questa donna nata e cresciuta a Derby in una famiglia originaria del Punjab ha “vinto”: il 14 luglio scorso è stato celebrato per la prima volta il giorno internazionale della memoria delle vittime di reati legati all’onore. Grazie al suo impegno, il Parlamento inglese ha promulgato la legge che dichiara reato obbligare una persona a sposare un’altra che non sia di suo gradimento. Jasvinder, che ha tre figli e ha divorziato due volte, ha ricevuto dalla Regina la stella dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico.

Lei è assidua ospite di talk show alla Bbc, tiene conferenze nelle scuole secondarie del Regno Unito e del mondo, i suoi libri vendono milioni di copie (Prigioniere dell’onore e il Sentiero dei Sogni  sono editi in Italia da Piemme), siamo nel 2015 eppure la piaga dei matrimoni forzati non accenna a essere sanata: se ne stimano 50 milioni nel mondo negli ultimi 5 anni, il 90 per cento riguardano ovviamente donne. Perché?
 
Ignoranza e onore. Molte famiglie tutt’oggi regolano la loro vita secondo codici medievali, gli stessi che ho subito io sulla mia pelle quando avevo 14 anni: non potevo truccarmi, portare i capelli sciolti, parlare con i ragazzi maschi inglesi. Oggi il divieto è esteso al telefonino. Però le assicuro che molti passi in avanti sono stati fatti, specialmente in Gran Bretagna dove le ragazze hanno meno timore di contattare charity come Karma Nirvana: le telefonate sono cresciute recentemente del 30%. Bisogna continuare a fare pressione, informare, spiegare. Parlare ai genitori, alle ragazzine, senza stancarsi mai.

Cosa le dà questa carica inesauribile, il ricordo indelebile di quello che le accadde?
 
Mio padre lavorava in una fonderia a Derby, era un uomo all’apparenza molto socievole e aperto ai costumi britannici, andava persino a bere pinte di birra al pub con i colleghi. Dietro la porta di casa, però, vigevano le regole delle famiglie sikh, mia madre lo venerava e anche noi sei figlie dovevamo fare lo stesso. Piano piano ho visto le mie sorelle venire prelevate dalle scuole inglesi e sparire una a una per essere sposate a sconosciuti. La cosa che più mi turbava era il totale silenzio che veniva imposto sul loro destino. Sparivano e basta.

Lei si rifiutò, ma dovette sparire egualmente.
 
Compiuti i 14 anni, un giorno torno da scuola: mia madre, come aveva fatto con le mie sorelle, mi chiamò nel salotto, mi fece sedere sul divano e mi mostrò la fotografia di un uomo. Sconosciuto e anche più basso di me. Subito mi dissi: potete togliervi dalla testa che io sposi questo qua. L’opera di convincimento si fece nel tempo molto sottile, il matrimonio combinato divenne una sorta di avvoltoio pronto a piombarmi dall’alto sulla testa. Nonostante il mio rifiuto, i preparativi andavano avanti, così scappai di casa, ma la polizia mi riportò indietro. Fui chiusa dentro a chiave. Dissero che se non accettavo lo sposo prescelto, sarei morta ai loro occhi.

Scappò a Newcastle con il fidanzato di allora, che poi divenne il primo marito. Non ha mai più rivisto la sua famiglia?
 
Tornai a casa quando mio padre morì, c’era il mio diploma appeso sopra la porta. Ho un vecchio grammofono uguale a quello che lui faceva suonare, mi ricorda i tempi belli della prima infanzia. I genitori che forzano le figlie a sposarsi non sono tiranni, bensì incapaci di ribellarsi alle usanze delle terre di provenienza, in cui l’onore della famiglia e del clan vale più della vita stessa.

Sua sorella Robina si suicidò per fuggire ai continui abusi del marito che le era stato imposto.
 
Dopo la sua morte decisi di fondare Karma Nirvana per aiutare le ragazze a fare in modo che non subissero più quel triste destino. Per me fu terribile da un giorno all’altro lasciare gli affetti, la mia casa e dover cominciare a lavorare per pagarmi da vivere. Avevo 16 anni, sono riuscita a diventare avvocato. Tutti governi del mondo, come ha fatto quello di David Cameron, devono darsi da fare, istruire, agire.

articolopubblicato su IoDonna 

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