In armonia con la Terra
6 maggio 2016 di lunanuvola
Io
non posso permettermi di scegliere su quale fronte devo lottare contro
le forze della discriminazione, ovunque esse appaiano per distruggermi. E
quando appaiono per distruggere me, non ci vuol molto tempo prima che
appaiano per distruggere te. Audre Lorde
Perciò,
l’attivismo delle donne è più spesso che no a 360° ed è questo il caso
per il “poker” di bellissime sorelle dispiegato qui sotto.
Sandy Saeturn,
organizzatrice della Rete Ambientalista dell’Asia del Pacifico, è
originaria del Laos ma è nata in un campo profughi in Thailandia: la sua
famiglia fuggiva dalla guerra. A tre mesi è arrivata negli Stati Uniti.
“Sono cresciuta nel quartiere popolare nord di Richmond. Potevo vedere
la raffineria della Chevron dal cortile della mia scuola.”
In città ci
sono ancora circa 350 siti tossici, che rendono Richmond un punto chiave
per le lotte ambientali e di giustizia sociale.
“Con il tempo –
racconta ancora Sandy – mio zio, le mie zie e i miei nonni sono morti
per problemi respiratori e cancro. Persone di 30/40 anni morivano di
tumore e nessuno nella mia comunità ne parlava. Quando avevo 14 anni,
membri della Rete Ambientalista dell’Asia del Pacifico condivisero con
noi le informazioni sull’impatto che le compagnie chimiche avevano
sull’ambiente e sulla salute e capii quanto questo fosse ingiusto.”
Da
15 anni Sandy lavora per costruire consapevolezza sulla giustizia
ambientale e progetti che sostengano i giovani.
Dayamani Barla,
giornalista tribale e leader movimentista, è in prima linea nelle lotte
per la terra a Jharkhand, in India. Dayamani sostiene che lo
spostamento forzato delle comunità indigene è equivalente
all’annichilazione culturale e promuove modelli di sviluppo sostenibile
che integrano le conoscenze e le visioni del mondo indigene.
“Si tratta
di un modello che contiene il pensiero scientifico dello stile di vita
indigeno, per cui la tecnologia lavora in armonia e cooperazione con la
natura. Non si può continuare a pensare di prendere dalla natura e
basta.”
Rita Thapa
è attivista pacifista e per i diritti delle donne. Dopo il disastroso
terremoto che ha colpito il Nepal l’anno scorso e il suo impatto
sproporzionato sulle vite delle donne, Rita si è rimboccata le maniche
per ricostruire. Non è stata la sola ad assumere un ruolo guida nella
faccenda:
“Le donne tengono insieme le comunità: per il dopo terremoto
non è stato diverso, la ricostruzione è stata portata sulle loro spalle.
La cosa notevole è che hanno dimostrato come il lavoro di recupero a
lungo termine per le creature e il pianeta Terra può essere svolto con
minimo impiego di denaro o di potere. Nutrire i piccoli, gli anziani, i
malati e i feriti; continuare il lavoro nei campi e nelle case;
raccogliere – letteralmente – le macerie: ciò permette a chi è stato
colpito di avere il tempo necessario a guarire. Chiunque può imparare da
questo: per aver cura l’uno dell’altro e del pianeta non ci vuole
chissà che scienza. Una leadership intessuta profondamente di
compassione, cura e rispetto che permette di ricostruire fiducia e
speranza è tutto quel che serve.”
Eriel Deranger
è un’indigena Athabasca Chipewyan di Alberta, in Canada. La sua voce è
una delle maggiormente incisive fra quelle che si oppongono al grande
progetto industriale che vede coinvolte circa venti aziende di vari
paesi, dal Canada al Giappone alla Corea del sud: l’estrazione e la
lavorazione delle sabbie bituminose nella sua zona (rocce sedimentarie
che contengono bitume). Il bitume viene estratto tramite pozzi o miniere
superficiali e dev’essere trattato con solventi e altre sostanze
chimiche per diventare petrolio. Gli scarti tossici le aziende li
scaricano direttamente nel fiume Athabasca (nel 1997, la ditta Suncor
ammise di averci versato 1.600 metri cubi di acqua contaminata al
giorno) che era il più grande delta di acqua dolce al mondo e che grazie
al criminale menefreghismo degli estrattori conterà più di un milione
di metri cubi di acqua contaminata nel 2020: arsenico, cadmio, cromo,
piombo, mercurio, nickel e altri metalli stanno fluendo nei tributari
del delta.
Eriel
dice che l’impatto dello sfruttamento delle sabbie bituminose distrugge
ambiente, cultura, salute e siti sacri alle comunità indigene, ma
riconosce l’oppressione in tutta la storia dei popoli indigeni: “Con la
colonizzazione ci hanno imposto anche il patriarcato. Le nostre erano
società matrilineari in cui le donne avevano potere e oggi lo stiamo
reclamando come leader, nel far parte del risorgimento dei nostri
popoli, non solo nelle lotte ambientaliste e per la giustizia climatica,
perché riaffermiamo la nostra identità indigena in differenti
movimenti.”
Maria G. Di Rienzo
Nessun commento:
Posta un commento