Tra i manifestanti di piazza Tahrir ci
sono molte attiviste di sesso femminile. Sanno quello a cui vanno
incontro, ma non rinunciano alla lotta. La prima violenza che l’uomo consuma sulla donna precede la violenza stessa.
È il senso di paura che la spinge a condizionare le proprie scelte per
evitare il rischio di uno stupro, un’aggressione o addirittura la morte.
L’arma che stringe in pugno l’uomo che si macchia di omicidio di genere
è il controllo della sua vittima attraverso la paura. Le donne di piazza Tahrir combattono una doppia battaglia, una politica e una per i diritti di genere.
Non lo ripeteremo mai abbastanza volte. Il machismo, maschilismo, sessismo, non solo esistono ma mietono le loro vittime da un capo all’altro del mondo.
Dall’Egitto all’India, negli stupri di gruppo sugli autobus di Bombay;
nel femmenicidio di Ciudad Juarez, Messico; in Italia, che ha visto un
2012 nero con l’uccisione di più di cento donne per motivi di genere.
Negli stati Uniti, dove viene denunciato uno stupro ogni 6,2 minuti.
È aumentato il numero degli uomini e di
organizzazioni a carattere maschile che si uniscono alla lotta contro la
violenza sulle donne ma si può uscire dal problema solo con una consapevolezza generalizzata del fenomeno.
Il vero cambiamento non si trova nelle parole ma scende in piazza insieme alle donne di Tahrir.
Elena Risi
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