Alla presidente della Camera, Laura Boldrini
Alla segretaria della Confederazione Generale del Lavoro, Susanna Camusso
Alla vice-ministra del Lavoro e Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità, Maria Cecilia Guerra
A tutte le donne delle istituzioni, delle arti e dei mestieri
A tutte noi
Pensavamo che l’uccisione di Fabiana, bruciata viva dal fidanzato
sedicenne, esprimesse un punto di non ritorno. Invece no. L’insulto che è
stato rivolto alla ministra Cécile Kyenge – da un’altra donna – dice
molto più di quanto non vogliamo ammettere. E di fronte ad una violenza
verbale simile, non ci sono scuse o giustificazioni che tengano. Noi non
siamo mai state silenziose, abbiamo sempre denunciato questi fatti, le
violenze fisiche e quelle verbali. Ma non basta.
Non basta più il lavoro dei centri antiviolenza, fondamentale e
prezioso. E non bastano le promesse di leggi che neanche arrivano. La
ratifica della convenzione di Istanbul? Un passo importante, ma bisogna
aspettare e aspettare. E noi non vogliamo più limitarci a lanciare
appelli che raccolgono migliaia di firme ma restano solo sulla carta; a
proclamarci indignate per una violenza che non accenna a smettere; a
fare tavole rotonde, dibattiti politici, incontri. Adesso chiediamo di
più.
Chiediamo di poter vivere in una società che vuole realmente cambiare
la Cultura che alimenta questa mentalità maschilista, patriarcale,
trasversale, acclarata e spesso occulta, che noi riteniamo totalmente
responsabile della mancanza di rispetto per le donne, e che non fa nulla
per fermare questo inutile e doloroso femminicidio italiano.
Chiediamo che la parola femminicidio non venga più sottovalutata,
svilita, criticata. Perché racconta di un fenomeno che ancora in troppi
negano, o che sia qualcosa che non li riguarda. O addirittura che molte
delle donne uccise o violate, in fondo in fondo, qualche sbaglio lo
avevano fatto. Quanta disumanità nel non voler vedere il nostro immenso
lavoro, quello pagato e quello non pagato, il lavoro di cura e
riproduttivo, il genio, la creatività, il ruolo multiforme delle donne.
Chiediamo di fermarci. A tutte: madri, sorelle, figlie, nonne, zie,
compagne, amanti, mogli, operaie, commesse, maestre, infermiere,
badanti, dirigenti, fornaie, dottoresse, farmaciste, studentesse,
professoresse, ministre, contadine, sindacaliste, impiegate, scrittrici,
attrici, giornaliste, registe, precarie, artiste, atlete, disoccupate,
politiche, funzionarie, fisioterapiste, babysitter, veline,
parlamentari, prostitute, autiste, cameriere, avvocate, segretarie.
Fermiamoci per 24 ore da tutto quello che normalmente facciamo.
Proclamiamo uno sciopero generale delle donne che blocchi questo
maledetto paese. Perché sia chiaro che senza di noi, noi donne, non si
va da nessuna parte. Senza il rispetto per la nostra autodeterminazione e
il nostro corpo non c’è società che tenga. Perché la rabbia e il
dolore, lo sconforto e l’indignazione, la denuncia e la consapevolezza,
hanno bisogno di un gesto forte.
Scioperiamo per noi e per tutte le donne che ogni giorno rischiano la
loro vita. Per le donne che verranno, per gli uomini che staranno loro
accanto.
Unisciti a noi, firma e diffondi questo appello. Insieme, poi, decideremo una data.
MANDARE FIRMA con nome e città a scioperodonne2013@gmail.com
Barbara Romagnoli (giornalista freelance)
Adriana Terzo (giornalista freelance)
Tiziana Dal Pra (presidente del centro interculturale Trama di Terre)
Adriana Terzo (giornalista freelance)
Tiziana Dal Pra (presidente del centro interculturale Trama di Terre)
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