Oggi voglio condividere qui un articolo di Gennaro Carotenuto (poiché è il migliore che abbia letto fra i tanti) e poi aggiungere una considerazione degna di nota, in quanto si riferisce al "dilemma" aborto=omicidio così come è considerato oggi, dopo le modifiche apportate alla legge originale. Mi riferisco alla Legge 22 maggio 1978, n.194 (generalmente citata come "la 194").
4 settembre 2013 di DB
Marilia Rodrigues, la cittadina brasiliana di 29 anni assassinata in provincia di Brescia, viene uccisa in queste ore una seconda volta, in quanto donna, in quanto bella e in quanto straniera ed extracomunitaria e in quanto proveniente da un Paese al quale facciamo corrispondere stereotipi razzisti e sessisti sulla presunta disponibilità della donna. E in un Paese, l’Italia, dove l’ex-ministro della difesa Ignazio La Russa definì il Brasile come un Paese buono per ballerine ma non per giuristi, siamo di fronte a una triste conferma sulla nostra incapacità di stare al mondo.
Se fosse stata francese o tedesca o bresciana la povera Marilia non sarebbe stata etichettata come «la tedesca» o «la bresciana». Sarebbe stata «la cittadina tedesca» oppure sarebbe stata «la ragazza francese». Oppure «la donna inglese», o «la signora svizzera», spesso definendone lo status sociale, in modo più sbrigativo per «donna», più deferente per «signora». Invece basta fare una piccola ricerca per prendere atto che, per la maggior parte dei giornali, Marilia è solo «la brasiliana» (ma poteva anche essere «la siciliana» o «la napoletana») con un senso fra il lascivo e il razzista che si coglie dall’ellissi dell’identità che i media si sentono liberi di fare quando non si sentono liberi di dare per scontato un passato scomodo (o meglio facile) per la vittima.
Dobbiamo rifarci alla stampa brasiliana per sapere qualcosa di più di lei e restituirle un po’ di identità al di fuori degli stereotipi. Veniva da Uberlândia Marilia, città di poco meno di un milione di abitanti nello Stato di Minas Gerais. Questo è uno dei grandi Stati industriali della potenza brasiliana, una specie di Lombardia, caratteristica che fa fatica a essere associata dalla nostra stampa a quel Paese e non ha neanche una grande squadra di calcio da ricordare o un carnevale notevole, ammesso che interessi davvero sapere da dove veniva quella vita spezzata nella provincia lombarda.
Invece Marilia viveva a Milano con la mamma da circa dieci anni. Solo di recente la madre era tornata a Uberlândia. Marilia, che non aveva altri parenti in Italia, aveva continuato a vivere e lavorare a Milano fino a quando aveva cominciato a far la pendolare col Paese dove aveva trovato lavoro e avrebbe poi trovato la morte. Non è vero quindi che «la ragazza del trolley» fosse senza fissa dimora (quindi sbandata, quindi disposta a saltare nel letto del primo che le offrisse un pasto caldo). Non faceva né la ballerina, né la «ragazza immagine», né le pulizie nel posto dove è stata uccisa, ammesso e non concesso che tali professioni umilino – per motivi diversi – la dignità della donna. Anzi, in quell’impresa che col Brasile lavorava, Marilia aveva guadagnato un ruolo amministrativo di responsabilità nel quale faceva valere le sue competenze linguistiche in portoghese, la sua conoscenza del Paese, i suoi studi specifici e avrebbe col tempo superato la precarietà dei ragazzi della sua generazione con un buon avvenire davanti. In ogni caso il suo, insindacabile, e al quale aveva diritto.
Infatti, nei dieci anni in Italia, aveva studiato turismo e aveva lavorato come hostess per una compagnia aerea. Marilia non era la brasiliana «misteriosa e sfuggente» che magari usava l’avvenenza per campare alle spalle del bravo italiano che avesse «perso la testa per lei» ma era una giovane donna che aveva scelto di vivere, studiare e lavorare fra noi per buona parte della sua vita adulta. Nulla di misterioso né di border-line e, probabilmente, ad avere la pazienza di cercarli, decine di amici possono raccontarla. Per scrivere questi pochi dati non ho fatto alcuno sforzo: ho perso cinque minuti su «O Globo» e un altro paio di noti quotidiani brasiliani che ne hanno ricostruito il passato. In Italia al contrario si trova ben poco per una notizia in prima pagina nella quale, come spesso accade, i media scelgono di appoggiarsi all’accomodamento, allo stereotipo, al razzismo e al sessismo aperto nel liquidare Marilia «la brasiliana» come altro da noi. Presto prenderanno posizioni giustificazioniste per l’assassino, vedrete.
Dunque, letto ciò, oltre a quanto spiegato da Gennaro, direi che c'è da riflettere sulla condanna per "uccisione" e "duplice uccisione" che ci riporta alla tanto discussa (oggi come allora) e controversa (oggi) legge 194 (che era ben chiara nella sua forma originale!).
Uso la parola "uccisione" di proposito, perché omicidio è ... come dire... genericamente maschile! mentre femminicidio è una parola coniata solo negli ultimi tempi, ma in questo caso, visto che non si sa se la futura vita nel grembo di Marilia fosse stata figlia o figlio, direi che la parola "uccisione" ci sta tutta!
E inoltre, come la si mette la si mette proprio di uccisione si tratta perché sono state private della vita due persone (in questo caso)!
(ucciso= chi è stato privato della vita)
Rosa V. e io abbiamo riflettuto su qualcosa che in pochi hanno notato (o meglio, non ne hanno parlato!): Marila era incinta e chi ha commesso il reato dovrebbe essere giudicato con l'accusa di duplice uccisione, poiché se l'aborto è considerato "uccisione" allora anche questo caso dev'essere considerato come uccisione duplice!!
Dunque è tempo che si mettano d'accordo su come intervenire in queste circostanze, in quanto nella situazione in cui ci troviamo al momento riguardo la 194, chi ha ucciso Marilia e la vita che portava in grembo deve essere condannato per duplice uccisione! e se proprio non vogliono considerarla tale (duplice uccisione, appunto) allora ...che sia ripristinata la legge ORIGINALE sull'aborto!
O non dev'essere considerata assassina la donna che sceglie di abortire, o (se continua ad essere considerata tale) si deve praticare l'accusa della duplice uccisione quando (come in questo caso) la vittima è incinta.
O non dev'essere considerata assassina la donna che sceglie di abortire, o (se continua ad essere considerata tale) si deve praticare l'accusa della duplice uccisione quando (come in questo caso) la vittima è incinta.
Non può e non deve essere che
"il re non fa corna" (adagio napoletano)
si usa quando un'accusa vale per uno e non per un altro
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