martedì 10 dicembre 2013

La rivoluzione a pedali delle donne afgane

Andare in bicicletta non è così facile...

In Afghanistan c'è una squadra di ciclismo femminile che si pone l'obbiettivo di partecipare alle Olimpiadi 2020 in Giappone. Una vittoria per ragazze che hanno voluto sfidare i pregiudizi e mostrare al mondo un volto diverso del proprio Paese. Shannon Galpin, statunitense, innamorata del popolo afgano è l'artefice di questa svolta: "Grazie alla bici sono entrata nella loro vita di tutti i giorni"


Facile come andare in bicicletta. È vero in molti luoghi, ma non in Afghanistan dove uno degli sport più diffusi al mondo ha dato il via a una vera e propria rivoluzione a pedali. Oggi la prima squadra di ciclismo femminile è in pista a macinare chilometri, con l'obiettivo di partecipare alle Olimpiadi del 2020 in Giappone. A scortarle e proteggerle è la stessa squadra maschile. Un piccolo esercito di progressisti a due ruote, che sfida i pregiudizi locali per la semplice bellezza di assaggiare il vento sul volto e sentire la fatica nei quadricipiti.

"Queste donne sono salite su una bici perché è divertente, non per scatenare una rivolta", spiega Shannon Galpin, che si è aggiudicata il titolo di National Geographic Adventurer 2013 per il suo lavoro umanitario e per aver pedalato, unica persona al mondo, lungo i 225 chilometri della Valle del Panijshir in Afghanistan. "Mariam, Nazifa, Massouma, Sadaf, Farzana e le altre compagne di squadra sono consapevoli dei rischi, ma non pensano di scendere in strada per manifestare. Vogliono provare un senso di libertà, migliorare la propria salute e diventare forti. E magari un giorno viaggiare, mostrare al mondo un volto diverso del proprio Paese e vedere la bandiera afgana sventolare durante una competizione internazionale".


Shannon Galpin è arrivata in Afghanistan dagli Stati Uniti per la prima volta nel 2008. All'epoca non aveva con sé la sua bicicletta. Sopravvissuta a un terribile episodio di violenza e accoltellamento all'età di 19 anni, ha trascorso molto tempo in silenzio pedalando attraverso gli splendidi scenari del Colorado, dove vive con sua figlia di sette anni. Il suo desiderio era trovare un modo per aiutare le giovani donne e i bambini in uno dei primi luoghi al mondo per disparità di genere. È solo durante il suo terzo viaggio in terra afgana che decide di portare la bici e attraversare le valli più remote del Paese, fermandosi a dormire nei villaggi, parlando con gli abitanti senza il filtro dei formali appuntamenti di lavoro.

"La bici è servita a rompere il ghiaccio e incontrare persone alle quali non avrei mai potuto rivolgere parola - racconta Shannon a Repubblica - condividere le case e il cibo con gli abitanti dei villaggi ha richiesto un grosso tributo al mio corpo, ma sono potuta entrare nella vita di tutti i giorni e mostrare un poco della mia cultura. Ho bevuto il tè, pescato, conversato e semplicemente passato del tempo con molti uomini che non si sono sentiti offesi dal mio comportamento. Erano solo curiosi. Hanno inforcato la mia bicicletta e io la loro. Grazie al privilegio di essere straniera, ho cavalcato i loro cavalli e le loro motociclette. Ho potuto incontrare anche le loro donne, segregate in casa".

L'epico viaggio in bici trasforma l'esile statunitense dal carattere di acciaio in un'eroina. Vende la sua casa per avviare l'associazione umanitaria Mountain2Mountain e porta nelle strade afgane mostre fotografiche, musica, arte e innovazione. Incontra la squadra di ciclismo maschile del Paese e la figlia dell'allenatore esprime il desiderio di andare in bici come lei. Tutto nasce così. Nessuna forzatura verso il pensiero occidentale, nessuna intrusione involontaria nella vita sportiva nazionale. "La bici funziona da agente catalitico", sottolinea Shannon che ha di recente raccontato la sua storia a Roma durante la conferenza Rebirth, dalla resilienza alla rinascita, presentata da Laura Boldrini presso la Camera dei Deputati. 

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