SURAYA E LE DONNE NELL'INFERNO AFGANO: "ITALIANI, ADESSO NON ANDATE VIA"
Le att
iviste anti-violenza e l’aiuto dei
militari: “Ma ora temiamo vendette”.
(Adriano Sofri, La Repubblica)
HERAT
SURAYA Pakzad ha 41 anni. La sua “Voice of Women Organization” offre
assistenza legale e rifugi a donne minacciate ed evase dalla prigione
domestica.
«Sono una dei 15 fratelli di tre madri, due morte di parto.
Mio padre volle la stessa educazione per maschi e femmine. Mi hanno
sposata a 14 anni. Ho 6 figli, il primo avuto a 15 anni, è ingegnere
elettronico. Ho potuto laurearmi a Kabul, scrivevo poesie, poi sono
stata spinta verso cose dure. Mio marito è stato rispettoso. La vita che
ho scelto ti fa prendere sulle spalle le disgrazie di tutte, a ogni
ora, come in un pronto soccorso».
Le uccisioni di donne sono meno
frequenti che in Italia — quelle riconosciute. Le brutalità sono
infinite. «Io rispetto la legge, ma la maggioranza delle donne è in
carcere senza aver commesso alcun reato. Per
tentato adulterio —
averlo pensato! 99 donne erano nel carcere di Herat per questo. Dopo è
difficile farle riaccettare dalle famiglie.
Le forze internazionali non
possono restare in eterno, ma l’Afghanistan non è pronto. La frontiera
col Pakistan è lunga. Vanno via in un momento delicatissimo. Hanno speso
vite, soldi, tempo, e perderemo tutto. Resteranno signori della guerra e
fondamentalisti. E questa volta, contro le persone che hanno avuto voglia
di libertà, vorranno essere più vendicativi. Non amo i toni queruli, ma
dico: non ci lasciate. Un giorno avremo soldatesse afgane che andranno
nel mondo a fare le peacekeeper».
Maria Bashir ha 43 anni, è a capo della Procura di Herat. Si guadagnò
ammirazione e odio nel 2005 indagando il marito-padrone di Nadja
Anjuman, poetessa uccisa a 25 anni. A Herat spose bambine e giovani
violate si danno ancora fuoco, o si impiccano. La nostra, dice Bashir, è
la condizione di chi passa dal buio alla luce. Bisogna abituare gli
occhi. Abbiamo vissuto una interminabile guerra intestina, subìto
governi che schiacciavano le donne, ne spegnevano la voce. Mi chiedete
del reato che va sotto il nome di prostituzione: nel codice
penale un rapporto sessuale a pagamento viene punito, e purtroppo anche
fra due persone non sposate consenzienti. È la legge, poi c’è la nostra
ragionevolezza.
Abbiamo da 8 mesi un ufficio per le violenze domestiche,
abbiamo mandato a processo 168 uomini. C’è una forte preoccupazione per
il 2014, soprattutto per donne e bambini. Io continuo a meravigliarmi
di trovarmi in questo posto. Mi riempio di farmaci mattina e sera, ieri
ero attaccata a una flebo, subisco pressioni pesantissime. Ho fatto
arrestare un notabile per corruzione, il giorno dopo mi ha chiamato
l’uomo più potente di Herat e mi ha intimato di rilasciarlo entro le 10
di questa mattina, ha chiamato il governatore, il capo della polizia,
tutti, ha minacciato di far assediare il palazzo».
Dice che gli italiani
hanno lavorato bene, in particolare per donne, scuole, sanità. «La
differenza, oltre alla cordialità, sta nel disinteresse. I loro aiuti
non hanno un secondo fine».
Fino all’11 settembre 2001 l’Occidente non era turbato dall’esistenza di
un grande paese in cui era proibito ascoltare musica e le bambine non
potevano andare a scuola. L’11 settembre fu, per le bambine e la musica
afgana, una orribile provvidenza.
Entro il 2014 gli internazionali ci
lasceranno. Tuttavia il 2013 è stato l’anno peggiore per gli attacchi
dei Taliban e per
la condizione delle donne. C’è un esercito afgano che ha raggiunto un
numero ingente ma una preparazione e un armamento inadeguati. C’è una
polizia afgana ancora più inadeguata per preparazione e trattamento. La
corruzione è fortissima.
Il maresciallo che è rientrato da Farah dopo sei mesi, era col capitano La
Rosa; dice che uscire dalla base non è mai stato così rischioso.
Victor,
28 anni, del genio guastatori, era accanto a Roberto Marchini quando un
ordigno lo uccise nel luglio 2011, a Bakwa. I Taliban avevano costretto a
chiudere tutto, dice, era rimasto solo un barbiere: misero un
pacco-bomba in mano al figlio di otto anni e lo fecero esplodere. Gli
insurgents lanciano razzi da rampe artigianali anche metalliche, nel
qual caso sono meno imprecisi. Ma gli ordigni esplosivi sono la loro
arma principale. È una gara ininterrotta fra bracconieri e
guardiacaccia. Ripulire dagli Ied — gli ordigni artigianali — non serve
solo a proteggere i militari: le vittime principali sono i civili, e in
particolare i bambini. Se il Predator è essenziale per avvistare le
attività sospette, è a terra e sottoterra, e a vista d’uomo (e di donna,
come Marina e Fabiola) che si rilevano, si disinnescano o si fanno
brillare gli ordigni. Il filo di rame sulla sabbia, invisibile se non
col riflesso del sole. È un lavoro di Sisifo che si ripete
ogni giorno. Spesso sono le persone locali ad avvisare, fu così nel
2010, quando persero la vita Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis.
Marina,
addetta al controllo visivo e mitragliera: «Mi è capitato che i bambini
lanciassero pietre. Poi scoprivo che cercavano attenzioni e merendine».
«Vogliono soprattutto penne, fanno segno, per scrivere», dice
Sebastiano R. Ormai in quasi tutti i villaggi ci sono forze afgane.
Fabiola: «Abbiamo insegnato quello che sapevamo, ora sta a loro fare il
loro dovere».
Salvatore E. è di Capaci: «Ero in bicicletta quando sentii
quell’esplosione». «Quando torno a casa — dice — ho qualcosa in più che
loro non potranno mai sapere».
La sede del IV Genio Guastatori è a
Palermo, Caserma Scianna, il comandante è il colonnello Pisciotta, che
con quel cognome è friulano e però si è innamorato della Sicilia e
dell’Afghanistan. «Vidi un documentario sulle donne bruciate, la sera
lessi “Mille splendidi soli” e piansi come un bambino». Lo racconta
tranquillamente, davanti ai suoi, gente che maneggia ordigni micidiali e
si commuove con gli aquiloni: trascrivo volentieri questa versione del
valor militare.
Alla facoltà di giornalismo — classe mista, ragazze a capo coperto e
spigliate
— ci chiedono dei giornali internazionali che fanno passare tutti
gli afgani per terroristi o terrorizzati, e della democrazia che spia
miliardi di conversazioni private, anche le loro.
Si sono ridotti gli
scambi con le università italiane: si può migliorare? Spero di sì, dico,
c’è qualche difficoltà, quando i ricchi diventano meno ricchi pensano
di essere diventati poveri, comunque vedremo…
Al comando Isaf della
Regione Nord è il generale Michele Pellegrino, 52 anni. «Lei chiama
polizia internazionale
— dice — quello che noi chiamiamo uso etico delle armi, cui l’Onu offre
l’unico contesto legale. Qui ha consentito di intervenire in una Guerra
dei Trent’anni che ha martoriato la società. Si sono ricostituite
istituzioni, tenute elezioni via via più libere. Le Forze Armate possono
servire anche a questo. Del resto, una difesa in un contesto di
alleanze che ripari dalla minaccia di guerra è sempre necessaria.
L’esercito europeo è un traguardo inevitabile, ma fa i conti con il
tempo, siamo gocce nel fluire della storia.
La visione di Spinelli, De
Gasperi, Adenauer, superava campanilismi, resistenze di paesi servi
della propria storia, mentalità di supremazia. L’Europa economica si
completerà in quella politica e della sicurezza comune. Da noi
l’esercito di leva mise insieme ricco e povero, nord e sud, colto e
incolto. L’esercito di professione, che qualcuno temette, è stato un
passaggio d’epoca positivo. La preparazione dei soldati è più concreta e
approfondita, e le missioni internazionali sono il banco di prova.
L’orizzonte umano di chi vive questa esperienza si fa più largo».
Infatti. Ho sentito tante volte in questi giorni discutere di come
raccontare
(o tacere) le bambine e i bambini afgani ai propri figli in Italia.
Troveranno il modo giusto.
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