domenica 17 novembre 2013

Sul tema della violenza contro le donne



ARTICOLO DI BEATRICE GIANTURCO NELL'ULTIMO NUMERO DI YPSILON
Nel trattare temi che riguardano le donne è necessario collegarsi con la mente alla grande rivoluzione culturale del femminismo del ’68.
 
Ritengo che fu in esso che vennero immessi i semi dell’evolversi degli anni seguenti e delle grandi aspettative che li hanno caratterizzati. Aspettative in parte deluse non per la natura dei valori portanti, sempre validi e per cui vale sempre la pena battersi, ma per gli odierni eventi politici e sociali che hanno travolto tutti e soprattutto per la mancanza di lavoro che sta segnando pesantemente le nuove generazioni.
 
Il valore centrale e assoluto del movimento femminista era l’acquisizione della libertà femminile, diritto fondamentale di qualunque Stato democratico. Valore che agitò un mare stagnante di millenni le cui acque si diramarono in mille rivoli, privati e pubblici, non sempre controllabili.
Libertà di scelta del proprio ruolo, libero da pregiudizi, da progetti precostituiti; libertà di scegliere e decidere della propria vita e del proprio essere donna.
I principi e le motivazioni del movimento sessantottino hanno animato e guidato gli ultimi anni della nostra storia e hanno prodotto un nuovo modello di donna dalle molteplici sfaccettature, tante quanti sono i colori dei nostri talenti, delle nostre passioni, dei nostri interessi e anche (perché no?) delle nostre trasgressioni. In questa molteplicità ci siamo un po’ perse, stritolate da una società che incrocia il desiderio di libertà con offerte che, molte volte, schiavizzano la donna.

E’ a questo punto che mi pare vada incrociata anche la relazione uomo-donna.
Fatte le dovute eccezioni, nell’immaginario maschile è sempre predominante un modello tradizionale di donna che non esiste più.
La donna, pur tra luci ed ombre, tra conquiste e sconfitte, si è comunque mossa nella direzione di modelli di vita liberamente scelti. L’uomo è rimasto fermo a modelli culturali maschili e femminili inquinati, dove più e dove meno, da retaggi del passato. Ed è proprio nell’incontro-scontro tra aspettative e vita reale che salta la relazione.

Là dove questo scontro avviene in un clima di capacità di dialogo si attiva un processo di reciproca maturazione; là dove, invece, avviene in un contesto di predisposizione alla violenza, nel senso che si crede di aver diritto, come maschio, al predominio sulla femmina con tutti i meccanismi perversi che li caratterizzano, si giunge allo stupro e all’omicidio.

E’ una violenza generata dagli schemi mentali di quegli uomini che vogliono, così, affermare la ripresa del predominio sulla preda che sta sfuggendo al loro controllo, per cui preferiscono distruggerla psicologicamente o, nelle peggiori delle ipotesi, fisicamente.
La violenza sulle donne, quindi, non è una questione privata, ma pubblica e ancor prima di essere materia giuridica è emergenza culturale. Ecco perché delitto di genere. Non certo delitto di amore e di forza, ma delitto di debolezza, di fragilità, di insicurezza che si esprime attraverso l’unico elemento che l’uomo sa di possedere in più: la forza fisica.

A questo punto mi viene spontanea una domanda: tutti quegli uomini che non si riconoscono, per fortuna, in questi ultimi dove sono? Non hanno anche loro mogli, figlie, madri che potrebbero rimanere intrappolate in tanta violenza? Perché non si “alzano in piedi” per protestare e gridare con noi? E quando lo fanno, perché lasciano, a volte, trapelare dalle loro parole l’idea che tutto sommato forse “ce la siamo cercata”?
Beatrice Gianturco

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