"tutti coloro che dimenticano il loro passato
sono condannati a riviverlo" (Primo Levi)
Intervista a Helga Schneider di Cristina Carpinelli pubblicata su noidonne.org
Il
27 gennaio è il Giorno della Memoria, una ricorrenza istituita in
ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei
deportati italiani nei campi nazisti. Per questa ragione, “noidonne” ha
deciso di intervistare la scrittrice Helga Schneider, che ha di recente
pubblicato “La baracca dei tristi piaceri” (Salani 2009), un romanzo che
parla dell’esistenza dei bordelli nei Lager nazisti. Con questo libro,
Helga Schneider squarcia il velo dell’ultimo tabù, affrontando una delle
pagine meno note del nazismo.
Vi è una ragione particolare che l’ha spinta a scrivere “La baracca dei tristi piaceri”?
Ho pensato a questo libro per diversi anni. L’idea mi frullava in testa
fin dal 2004-2005, e si rafforzò quando i media cominciarono a trattare
con frequenza il tema della violenza sulle donne. Trovai una motivazione
ulteriore nel fatto che, quando nel corso di una conferenza accennavo
ai bordelli esistiti nei campi di concentramento nazisti, riscontravo
ogni volta espressioni di sorpresa e incredulità, e ciò mi dava la
sensazione che fosse un tema assolutamente sconosciuto. Anche questo mi
spinse a scrivere “La baracca dei tristi piaceri”.
Sì, e subito dopo la guerra queste donne erano ancora disposte a
denunciare e testimoniare, ma persero presto l’iniziativa a causa
dell’atteggiamento dei loro compagni di prigionia maschi, che tendevano a
considerarle non vittime dell’abuso nazista, ma semplicemente
prostitute che si fecero avanti volontariamente per il bordello per
viltà e opportunismo.
All’inizio dovevano essere selezionate solo le prigioniere internate
come “asociali”, poi si arrivò a scegliere anche le detenute colpevoli
di aver intrattenuto “relazioni proibite”, ovvero con un ebreo o con un
lavoratore forzato straniero. Non erano, in nessun caso, ebree (escluse
per principio), ma tedesche, polacche o bielorusse al di sotto dei 25
anni. Quando l’attività al Sonderbau (bordello del campo di prigionia di
Buchenwald) le rendeva ormai alcolizzate, esaurite, sfiancate e malate,
queste donne erano semplicemente rispedite al Lager di origine, dove
finivano per essere sfruttate ulteriormente come cavie negli esperimenti
sadici dei medici delle SS, o inviate ad Auschwitz per l’eliminazione.
I frequentatori erano semplici detenuti del Lager o i cosiddetti
prigionieri “privilegiati”, più avanti usarono il bordello anche le SS.
L’accesso al bordello era disciplinato in modo pedante: il detenuto
doveva presentare domanda, farsi inserire in un’apposita lista d’attesa
e, infine, attendere di essere convocato durante un appello. Prima di
entrare nel bordello doveva sottoporsi a una visita, in realtà solo
“visiva”, al Revier, l’infermeria, e doveva fare una doccia. Se non
aveva il bonus, pagava 2 marchi per il servizio. Il rapporto non poteva
superare i 15 minuti ed era permessa una sola posizione.
Il bordello era vietato agli ebrei e ai prigionieri di guerra sovietici,
ed era frequentato principalmente da coloro che svolgevano compiti di
sorveglianza all’interno del Lager (decani o kapò).
Non erano permessi i contraccettivi per le donne. E se le vittime,
malgrado ricevessero iniezioni per renderle sterili, rimanevano incinte,
erano costrette ad abortire in condizioni aberranti e senza anestesia.
È verissimo. Me lo confermò perfino mia madre che era una guardiana ad Auschwitz-Birkenau.
Il sadismo rientrava nell’ideologia scellerata, feroce e criminale delle
SS, un’associazione che rappresentava una sorta di Stato nello Stato
nazionalsocialista, un cancro all’interno di un cancro.
Me lo sono chiesto anch’io. Forse l’istinto sessuale nel genere maschile
é l’ultimo a morire, essendo talvolta più forte della fame, della
malattia, della disperazione e della consapevolezza che in un campo di
sterminio nazista si era comunque condannati a essere eliminati entro
breve tempo. Non lo so, si dovrebbe chiedere a un esperto in materia.
No, nessuno. Queste donne condividevano, detestandosi a vicenda, il
medesimo inferno che escludeva ogni possibile sentimento fra di loro.
No, la questione era un’altra. Nel 1941 la società tedesca IG Farben
costruì nella cittadina di Auschwitz una grande fabbrica chimica con
l’intenzione di utilizzare mano d’opera gratis proveniente dai detenuti
del vicino campo di concentramento, appunto Auschwitz. Ma fin
dall’inizio la produttività si rivelò molto bassa perché i lavoratori
forzati erano fiacchi e demotivati a causa del vitto scarso, dei
continui maltrattamenti che ricevevano e, non da ultimo, delle lunghe
marce che dovevano compiere prima di raggiungere la fabbrica. Nel 1942
la produttività risultò così bassa che la IG Farben si lamentò con
Himmler. E Himmler introdusse un sistema a premi per incentivarla, tra
cui un supplemento vitto, sigarette, un taglio dei capelli militare,
quindi l’esonero dall’obbligo della testa rasata e - questa era la
novità - lo zelante lavoratore forzato (ovvero prigioniero) poteva
guadagnare dei “bonus” per frequentare il bordello del Lager. Da quel
momento Himmler diede l’ordine di costruire dei bordelli in 10 grandi
campi nazisti.
I nazisti sfruttavano il corpo femminile a scopi bellici. Pensavano che,
gratificando i prigionieri, ovvero i lavoratori forzati, col sesso,
questi avrebbero contribuito ad aumentare la produzione bellica del
Reich per far vincere ad ogni costo la guerra a Hitler.
Le donne deportate nei campi di concentramento erano, per i motivi più
disparati, considerate indegne di fare parte della collettività tedesca.
Una volta entrate nel Lager erano indistintamente considerate “insetti
da eliminare” - naturalmente dopo averle sfruttate nei modi più abietti e
criminali.
Ci sono diverse testimonianze di reduci dai bordelli che sono riuscite a
ricostruirsi una nuova vita, ma certamente con enorme fatica. Altre,
spezzate e oppresse da quella tragica esperienza, piuttosto di
denunciare preferirono tacere. Come la testimone Margarethe W.
(all’epoca fu deportata prima a Ravensbrück e poi, tratta in inganno con
le solite promesse false, fu trasferita al Sonderbau di Buchenwald,
dove rimase dal 1943 al 1944.) Dopo la guerra, come tante altre vittime
di questo orrore, Margharethe W. tacque per il resto della sua vita.
Solo quando si sentì vicina alla morte, spinta dal desiderio “in
extremis” che finalmente si sapesse, si decise a testimoniare.
Credo che tuttora sia disattesa l’opera di riabilitazione e di
risarcimento delle vittime (o dei relativi familiari) della
prostituzione forzata subita nei bordelli durante il nazismo.
Che la violenza sulle donne non è solo un problema fra uomini e donne,
ma é la forma più odiosa di negazione della libertà, del progresso e
della dignità individuale. Finché questo principio non sarà radicato nel
genere maschile, qui e altrove, la violenza sulle donne continuerà,
così come finora ha travalicato indisturbata i confini delle nazioni,
dei tempi e delle civiltà.
Breve scheda bibliografica di Helga Schneider
Nasce nel 1937 in Slesia, ora Polonia. Nel 1941 Helga e suo fratello
Peter, rispettivamente di 4 anni e 19 mesi, con il padre già al fronte,
vengono abbandonati a Berlino dalla madre che decide di farsi arruolare
come ausiliaria nelle SS. Inizia così per Helga una vita difficile: il
rifiuto di una matrigna che la respinge e la interna in istituti di
correzione per bambini difficili, e che le procura tanta sofferenza. Una
sofferenza che raggiunge l’apice negli ultimi mesi del 1944 fino alla
fine della guerra quando, insieme con altri familiari e condomini, è
costretta a vivere in una cantina a causa dei continui bombardamenti
degli alleati, patendo freddo e fame, e soffrendo dell’aperta ostilità
della seconda madre.
Dal 1963 Helga vive in Italia, dove ha pubblicato undici libri (alcuni
dei quali tradotti in 15 lingue estere), in cui racconta gli anni duri
della dittatura hitleriana. Nei suoi libri autobiografici l’autrice
riferisce episodi inediti come quello del suo incontro, a cavallo tra il
1944 e il 1945, con il Führer nel suo famoso bunker sotto la
Cancelleria, o del suo incontro con la madre a distanza di 30 anni a
Vienna, avendo ignorato fino a quel momento che é stata guardiana nel
campo di sterminio Auschwitz-Birkenau. Visita che si rivela per Helga
scioccante a causa dell'irremovibile fede della donna nell’ideologia
nazista.
Per avere più notizie su Helga Schneider:http://www.helgaschneider.net/?p=236
http://www.helgaschneider.com/
Nessun commento:
Posta un commento