Sempre sulle violenze contro le donne avvenute in nord Europa nella notte di Capodanno, ri-bloggo un articolo pubblicato su Dol's l'8 gennaio 2016 in quanto lo condivido in toto. E' stato scritto da Simona Meriano (autrice di “Stupro Etnico e rimozione di Genere” - Ed. Altravista, 2015)
Le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere.
Davanti
alle violenze di Colonia non bisogna abbassare la voce. Ci aspettiamo
una ferma presa di posizione politica e mass mediatica contro gruppi di
uomini che hanno umiliato, toccato, ferito l’anima e il corpo di donne
che stavano semplicemente vivendo la loro vita.
Ci aspettiamo una condanna decisa dei comportamenti violenti, deprecabili in sé. Invece no. Invece assistiamo alla strumentalizzazione della violenza di genere e le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere.
Ci aspettiamo una condanna decisa dei comportamenti violenti, deprecabili in sé. Invece no. Invece assistiamo alla strumentalizzazione della violenza di genere e le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere.
Ancora una volta le femmine della società non
sono considerate persone lese nell’esercizio della loro libertà, ma
rappresentazioni dell’orgoglio maschile, che si erge a paladino della
giustizia quando si sente minacciato da altri uomini.
Quando gli
stranieri osano toccare le “nostre donne” la questione diventa tra “noi”
e “loro” e ciò che conta non sono le vittime, ma gli schieramenti.
Il
corpo delle donne nell’immaginario collettivo patriarcale rappresenta la
nazione e l’aggressione sessuale è un’arma di dominio potente che
alimenta il conflitto per la supremazia identitaria. In questa
dimensione il fatto della violenza passa in secondo piano e diventa
centrale la lotta per l’identità e il territorio.
Il dibattito sociale e
politico si sta concentrando sulla questione dell’immigrazione, il
problema è l’ordine pubblico, sono le minoranze presenti nelle nostre
città, è la Comunità Europea incapace di gestire il dramma dei profughi.
Migliaia di donne sono vittime di violenza ogni giorno nelle loro case e
oggi la risposta alla violenza di genere è chiudere le frontiere? Oltre
all’ipocrisia qui ci troviamo davanti a una grande confusione. Incapaci
di chiamare le cose con il loro nome.
Nessuno
sta affrontando gli avvenimenti di Colonia da un’ottica di genere,
analizzando seriamente il significato della violenza sulle donne nel
contesto globale e con un onesto sguardo alla storia, alla nostra
storia, perché l’uso e l’abuso del corpo femminile per tracciare confini
e definire identità etniche appartiene anche a noi, purtroppo, alla
nostra cultura patriarcale che pone la donna sempre e comunque in una
posizione di inferiorità.
Il giornalista Sallusti ha dichiarato durante
un’intervista televisiva che le donne in Occidente sono sacre, frase di impatto mediatico che di certo fa leva sull’emotività, ma che significa? Quando siamo diventate creature “sacre”?
È sacro
qualcosa che attiene al divino, qualcosa di intoccabile e questa,
statistiche alla mano, non mi sembra la condizione della donna oggi.
Mi
aspettavo una forte e seria condanna della violenza sulle donne di
Colonia come fenomeno che ha caratteristiche specifiche e portata
universale, mi aspettavo una ferma assunzione di responsabilità da parte
delle istituzioni e dei mezzi di informazione, non la diffusione e il
rafforzamento di stereotipi, riducendo la questione a una scelta di
parte, desta/sinistra, xenofobia o accoglienza dei profughi. Dicotomie
inconciliabili, da campagna elettorale e giochi di potere, come se il
dramma della violenza sulle donne non riguardasse tutti a prescindere
dall’appartenenza politica.
Certamente i fatti accaduti a Colonia e
nelle altre città europee devono essere ricostruiti e vanno accertate le
responsabilità. La violenza di gruppo non è mai casuale, c’è
sicuramente una regia, una volontà destabilizzante, pensata prima che
agìta. L’aggressione sessuale terrorizza e lascia segni profondi, deve
essere condannata con forza e senza attenuanti, ma legare il
comportamento violento a una specifica provenienza etnica è un
atteggiamento rischioso che alimenta odi etnici con conseguenze che
possono essere gravissime.
Leggere questi avvenimenti come scontro tra culture offre
una visione miope, parziale e tendenziosa del fenomeno e ci rende
incapaci di contrastare efficacemente la violenza di genere per quello
che realmente è.
Qual è questa nostra cultura migliore delle altre che
ci vede al primo posto nel turismo sessuale?
Le donne e le bambine del
Terzo Mondo non sono sacre come le nostre?
Le migliaia di vittime della
tratta e della prostituzione forzata, che nei nostri paesi muovono un
giro milionario di denaro sporco, a che sfera di sacralità appartengono?
La
violenza sulle donne è un’arma di guerra e una strategia di dominio in
tempo di pace. É un fenomeno che nasce da una cultura patriarcale
globalmente diffusa. Non
è solo un atto simbolico, è un’attività performativa, dal forte potere
evocativo, in cui il gruppo maschile rafforza la propria identità,
sancisce la differenza di genere, definisce dei confini. Sul corpo
femminile, da sempre, gli uomini combattono tra loro per la supremazia
sul territorio. Donna e Terra, legate da un unico destino.
Lo
Stato Islamico ha legalizzato la schiavitù sessuale incoraggiando lo
stupro delle donne yazide, ebree e cristiane quando si trovano nei
territori conquistati. Si tratta di un’azione pianificata e condotta con
estrema lucidità, esattamente come è avvenuto in Bosnia Erzegovina, in
cui si confusero conquista della terra e conquista sessuale.
Nella lotta
per la superiorità identitaria, il nemico viene scelto a tavolino, si
programma il suo annientamento e lo si fa sistematicamente usando i
corpi femminili. Ovunque.
Nel momento in cui lo stupro viene
istituzionalizzato e gli vengono attribuite valenze etniche, si diffonde
velocemente e compierlo diventa un diritto e persino un dovere, perché
trova motivazione in principi più alti e fini superiori (come la
creazione della Grande Serbia e la Guerra Santa). Diventa un’arma
legittima di una potenza devastante, perché legata a due dimensioni
identitarie fondamentali: l’identità etnica e l’identità di genere, che
nonostante siano un prodotto culturale, cioè costruite e mutevoli,
vengono percepite come naturali, perenni, non negoziabili.
Gli
uomini islamici stuprano le donne “infedeli”.
Gli uomini serbi,
cristiani ortodossi, stupravano le donne bosniache musulmane incidendo
croci sui loro corpi per umiliarle.
Gli hutu in Rwanda pianificarono lo
stupro delle donne tutsi per realizzare la pulizia etnica.
L’IS usa
l’istituzione dello stupro come incentivo per reclutare nuovi
terroristi.
L’esercito americano usava lo stupro come incentivo per
reclutare soldati destinati al Vietnam.
I tedeschi usarono ogni tipo di
violenza sulle donne ebree, le donne tedesche furono violentate dai
sovietici, le donne coreane dai giapponesi.
Quando ci fu lo sbarco in
Normandia le donne francesi furono stuprate dai “liberatori”.
In Congo
lo stupro è usato come arma da tutte le parti in conflitto.
In Nigeria
le donne e le bambine sono vittime dei terroristi di Boko Haram.
L’elenco è infinito. La violenza sulle donne è una strategia voluta e incoraggiata dall’alto. È una tattica politica, SEMPRE,
perché è sempre un’arma di dominio dell’alterità femminile in contesti
culturali maschilisti patriarcali che considerano le donne semplicemente
una proprietà degli uomini. Lo stupro è sempre un mezzo per
ripristinare o ribadire un potere, maschile.
Farne una questione etnica, riconducibile alla sola contrapposizione
noi/loro e dimenticare le vittime significa perpetrare il continuum della violenza. Accettare le rimozione genere a
favore di un culturalismo ideologico e fazioso contribuisce a mantenere
le donne in una posizione subordinata, proprietà da difendere, non
soggetti di diritto.
E
la sindaca Henriette Reker, che ha tutta la mia solidarietà per essere
stata accoltellata in ottobre alla vigilia delle elezioni, per il suo
atteggiamento favorevole all’accoglienza dei rifugiati siriani, si è
purtroppo rivolta alle donne proponendo un codice di comportamento per
evitare le molestie sessuali. Dare un messaggio di questo tipo, che di
fondo attribuisce alla donna e ai suoi comportamenti delle
responsabilità è molto rischioso, alimenta la colpevolizzazione e ci fa
tornare indietro, dopo anni di lotte per l’autodeterminazione e la
libertà, a un clima di paura e diffidenza.
(di mio, a questo articolo, posso aggiungere soltanto una cosa: un grande sonoro applauso e un grazie a Simona Meriano per averlo scritto. lo faccio girare, e invito anche voi a farlo.)
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