mercoledì 20 gennaio 2016

Giù le mani dalle nostre donne

Sempre sulle violenze contro le donne avvenute in nord Europa nella notte di Capodanno, ri-bloggo un articolo pubblicato su Dol's l'8 gennaio 2016 in quanto lo condivido in toto. E' stato scritto da Simona Meriano (autrice di “Stupro Etnico e rimozione di Genere” - Ed. Altravista, 2015)

Le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere.


donna-violata-giù le-mani-dai-nostri-corpiDavanti alle violenze di Colonia non bisogna abbassare la voce. Ci aspettiamo una ferma presa di posizione politica e mass mediatica contro gruppi di uomini che hanno umiliato, toccato, ferito l’anima e il corpo di donne che stavano semplicemente vivendo la loro vita.
Ci aspettiamo una condanna decisa dei comportamenti violenti, deprecabili in sé. Invece no. Invece assistiamo alla strumentalizzazione della violenza di genere e le donne diventano alternativamente, a seconda dei punti di vista, prede o proprietà da difendere.
Ancora una volta le femmine della società non sono considerate persone lese nell’esercizio della loro libertà, ma rappresentazioni dell’orgoglio maschile, che si erge a paladino della giustizia quando si sente minacciato da altri uomini.

Quando gli stranieri osano toccare le “nostre donne” la questione diventa tra “noi” e “loro” e ciò che conta non sono le vittime, ma gli schieramenti.
Il corpo delle donne nell’immaginario collettivo patriarcale rappresenta la nazione e l’aggressione sessuale è un’arma di dominio potente che alimenta il conflitto per la supremazia identitaria. In questa dimensione il fatto della violenza passa in secondo piano e diventa centrale la lotta per l’identità e il territorio.

Il dibattito sociale e politico si sta concentrando sulla questione dell’immigrazione, il problema è l’ordine pubblico, sono le minoranze presenti nelle nostre città, è la Comunità Europea incapace di gestire il dramma dei profughi. Migliaia di donne sono vittime di violenza ogni giorno nelle loro case e oggi la risposta alla violenza di genere è chiudere le frontiere? Oltre all’ipocrisia qui ci troviamo davanti a una grande confusione. Incapaci di chiamare le cose con il loro nome.

Nessuno sta affrontando gli avvenimenti di Colonia da un’ottica di genere, analizzando seriamente il significato della violenza sulle donne nel contesto globale e con un onesto sguardo alla storia, alla nostra storia, perché l’uso e l’abuso del corpo femminile per tracciare confini e definire identità etniche appartiene anche a noi, purtroppo, alla nostra cultura patriarcale che pone la donna sempre e comunque in una posizione di inferiorità.

Il giornalista Sallusti ha dichiarato durante un’intervista televisiva che le donne in Occidente sono sacre, frase di impatto mediatico che di certo fa leva sull’emotività, ma che significa? Quando siamo diventate creature “sacre”?
È sacro qualcosa che attiene al divino, qualcosa di intoccabile e questa, statistiche alla mano, non mi sembra la condizione della donna oggi.

Mi aspettavo una forte e seria condanna della violenza sulle donne di Colonia come fenomeno che ha caratteristiche specifiche e portata universale, mi aspettavo una ferma assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni e dei mezzi di informazione, non la diffusione e il rafforzamento di stereotipi, riducendo la questione a una scelta di parte, desta/sinistra, xenofobia o accoglienza dei profughi. Dicotomie inconciliabili, da campagna elettorale e giochi di potere, come se il dramma della violenza sulle donne non riguardasse tutti a prescindere dall’appartenenza politica.

Certamente i fatti accaduti a Colonia e nelle altre città europee devono essere ricostruiti e vanno accertate le responsabilità. La violenza di gruppo non è mai casuale, c’è sicuramente una regia, una volontà destabilizzante, pensata prima che agìta. L’aggressione sessuale terrorizza e lascia segni profondi, deve essere condannata con forza e senza attenuanti, ma legare il comportamento violento a una specifica provenienza etnica è un atteggiamento rischioso che alimenta odi etnici con conseguenze che possono essere gravissime.
Leggere questi avvenimenti come scontro tra culture offre una visione miope, parziale e tendenziosa del fenomeno e ci rende incapaci di contrastare efficacemente la violenza di genere per quello che realmente è.

Qual è questa nostra cultura migliore delle altre che ci vede al primo posto nel turismo sessuale?
Le donne e le bambine del Terzo Mondo non sono sacre come le nostre?
Le migliaia di vittime della tratta e della prostituzione forzata, che nei nostri paesi muovono un giro milionario di denaro sporco, a che sfera di sacralità appartengono?

La violenza sulle donne è un’arma di guerra e una strategia di dominio in tempo di pace. É un fenomeno che nasce da una cultura patriarcale globalmente diffusa. Non è solo un atto simbolico, è un’attività performativa, dal forte potere evocativo, in cui il gruppo maschile rafforza la propria identità, sancisce la differenza di genere, definisce dei confini. Sul corpo femminile, da sempre, gli uomini combattono tra loro per la supremazia sul territorio. Donna e Terra, legate da un unico destino.

Lo Stato Islamico ha legalizzato la schiavitù sessuale incoraggiando lo stupro delle donne yazide, ebree e cristiane quando si trovano nei territori conquistati. Si tratta di un’azione pianificata e condotta con estrema lucidità, esattamente come è avvenuto in Bosnia Erzegovina, in cui si confusero conquista della terra e conquista sessuale.
Nella lotta per la superiorità identitaria, il nemico viene scelto a tavolino, si programma il suo annientamento e lo si fa sistematicamente usando i corpi femminili. Ovunque.

Nel momento in cui lo stupro viene istituzionalizzato e gli vengono attribuite valenze etniche, si diffonde velocemente e compierlo diventa un diritto e persino un dovere, perché trova motivazione in principi più alti e fini superiori (come la creazione della Grande Serbia e la Guerra Santa). Diventa un’arma legittima di una potenza devastante, perché legata a due dimensioni identitarie fondamentali: l’identità etnica e l’identità di genere, che nonostante siano un prodotto culturale, cioè costruite e mutevoli, vengono percepite come naturali, perenni, non negoziabili.

Gli uomini islamici stuprano le donne “infedeli”.
Gli uomini serbi, cristiani ortodossi, stupravano le donne bosniache musulmane incidendo croci sui loro corpi per umiliarle.
Gli hutu in Rwanda pianificarono lo stupro delle donne tutsi per realizzare la pulizia etnica.
L’IS usa l’istituzione dello stupro come incentivo per reclutare nuovi terroristi.
L’esercito americano usava lo stupro come incentivo per reclutare soldati destinati al Vietnam.
I tedeschi usarono ogni tipo di violenza sulle donne ebree, le donne tedesche furono violentate dai sovietici, le donne coreane dai giapponesi.
Quando ci fu lo sbarco in Normandia le donne francesi furono stuprate dai “liberatori”.
In Congo lo stupro è usato come arma da tutte le parti in conflitto.
In Nigeria le donne e le bambine sono vittime dei terroristi di Boko Haram.

L’elenco è infinito. La violenza sulle donne è una strategia voluta e incoraggiata dall’alto. È una tattica politica, SEMPRE, perché è sempre un’arma di dominio dell’alterità femminile in contesti culturali maschilisti patriarcali che considerano le donne semplicemente una proprietà degli uomini. Lo stupro è sempre un mezzo per ripristinare o ribadire un potere, maschile. Farne una questione etnica, riconducibile alla sola contrapposizione noi/loro e dimenticare le vittime significa perpetrare il continuum della violenza. Accettare le rimozione genere a favore di un culturalismo ideologico e fazioso contribuisce a mantenere le donne in una posizione subordinata, proprietà da difendere, non soggetti di diritto.

E la sindaca Henriette Reker, che ha tutta la mia solidarietà per essere stata accoltellata in ottobre alla vigilia delle elezioni, per il suo atteggiamento favorevole all’accoglienza dei rifugiati siriani, si è purtroppo rivolta alle donne proponendo un codice di comportamento per evitare le molestie sessuali. Dare un messaggio di questo tipo, che di fondo attribuisce alla donna e ai suoi comportamenti delle responsabilità è molto rischioso, alimenta la colpevolizzazione e ci fa tornare indietro, dopo anni di lotte per l’autodeterminazione e la libertà, a un clima di paura e diffidenza. 


(di mio, a questo articolo, posso aggiungere soltanto una cosa: un grande sonoro applauso e un grazie a Simona Meriano per averlo scritto. lo faccio girare, e invito anche voi a farlo.)

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