domenica 28 settembre 2014

Quelle guerriere peshmerga che fanno paura ai jihadisti

Gli islamisti rinunciano alla lotta perché temono di non andare in Paradiso se uccisi da una donna. In Siria 130 mila profughi curdi in fuga verso la Turchia.
 
Le prime guerriere curde risalgono addirittura ai tempi di Saladino
23/09/2014 - Maurizio Molinari corrispondente da Gerusalemme 
 
Tagliateste sanguinari, capaci di eccidi di massa e di trasformare bambini in kamikaze ma intimoriti dalla sola vista di una donna in divisa: a svelare un possibile tallone d’Achille dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Isis) sono i servizi d’intelligence americano e britannico che hanno rilevato una ricorrente anomalia nei movimenti delle unità fedeli al Califfo Al-Baghadadi.  
 
Ad alzare il velo sui contenuti dei rapporti militari è Ed Royce, presidente californiano della commissione Affari Internazionali della Camera dei Rappresentanti di Washington, facendo sapere che «i soldati di Isis sembrano credere che se vengono uccisi in battaglia da un uomo vanno in Paradiso accolti da 72 vergini mentre se a ucciderli è una donna la sorte è differente perché non trovano le vergini». È stata l’osservazione dei movimenti delle unità di Isis nel Nord della Siria e soprattutto dell’Iraq a portare a tale deduzione perché in più occasioni quando i jihadisti si sono trovati di fronte unità femminili di peshmerga curde hanno preferito evitare rischi.  
 
Le prime a notare tale anomalia nel comportamento di un nemico altrimenti spietato e apparentemente indomabile sono state proprio le donne-peshmerga, comunicando ai comandi di Erbil e Suleymania la «propria soddisfazione per essere riuscite a fermare l’avanzata di Isis» quasi senza colpo ferire. In alcuni casi, le combattenti curde hanno testimoniato di aver visto con i loro occhi «i combattenti di Isis voltare le spalle e andare via». Alla base di tali comportamenti vi sarebbero dei sermoni di imam salafiti fedeli ad Isis che avrebbero detto ai jihadisti di «non essere sicuri» sulla destinazione «in un Paradiso con 72 vergini» per «chi viene ucciso in combattimento dalle mani di una donna». 

Per Usa, Gran Bretagna e Francia, impegnate ad accelerare l’invio di armamenti pesanti ai curdi iracheni, si tratta di una notizia che può avere conseguenze tattiche, ovvero portare ad addestrare e dunque schierare un maggior numero di donne-peshmerga. Al momento i jihadisti del Califfo infatti premono sulle aree controllate dai curdi tanto in Iraq quanto in Siria, dove l’offensiva attorno alla città di Kobani ha portato nelle ultime 72 ore oltre 130 mila civili a cercare rifugio oltre il confine turco.  

Il reggimento femminile dei peshmerga è uno dei punti di forza della difesa del Kurdistan iracheno dal 1996, quando venne creato con appena 11 reclute dall’Unione patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani per sottolineare la volontà di integrare le donne nel nascituro Stato. Ora il reggimento conta quattro battaglioni, con un comandante per brigata e un corpo ufficiali fino al grado di colonnello. Lamiah Mohammed Qadir è uno dei comandanti più popolari, tiene le sue donne-soldato schierate nella provincia di Dyala e spiega così le mansioni svolte: «Siamo in prima linea a Daquq, Jalawla e Khanaqin, partecipiamo alle battaglie e contribuiamo anche a trasportare equipaggiamenti ai reggimenti di uomini»

Finora le donne-pershmerga non hanno subito vittime e Chelan Shakhwan, una delle veterane, descrive così la formazione all’arte del combattimento: «È un addestramento duro, con esercizi su armi, resistenza fisica e preparazione intellettuale». Il soldato Shaimaa Khalil spiega alla Bbc che «la nostra motivazione contro Isis è forte, vogliamo combattere per difendere il Kurdistan e anche difendere noi stesse perché da quanto visto a Mosul i jihadisti attaccano proprio noi donne». Non poche delle donne-pershmerga sono tiratori scelti ed hanno alle spalle la guerra del 2003 contro le truppe di Saddam. «Molte di noi hanno figli e mariti - aggiunge Shakhwan - ma sono felice di fare il mio dovere proteggendo il Kurdistan». D’altra parte le prime donne curde combattenti di cui si ha notizia risalgono al XII secolo quando fu il Saladino a volerle al suo fianco, apprezzandone dedizione e addestramento.

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