venerdì 5 settembre 2014

Il Portogallo e la natalità

Tra il dire e il fare

Il governo portoghese ha elaborato un piano per contrastare la crisi demografica senza precedenti che il paese attraversa. Ma in mente ha un modello di famiglia che nella realtà non esiste, e cerca le cause dei problemi nei luoghi sbagliati. Ecco perché la proposta non passa la "prova del genere"
foto di josè antonio andres
L'attuale governo portoghese, una coalizione tra partito socialdemocratico e partito cristiano democratico al potere dal 2011, ha espresso pubblicamente preoccupazione per il crollo delle nascite. Come conseguenza a febbraio ha nominato una commissione multidisciplinare con l'incarico di proporre misure per aumentare il tasso di fecondità.
Dopo pochi mesi la commissione ha presentato un rapporto in cui propone alcune misure positive: un piano nazionale per promuovere a livello politico e sociale la fertilità, la riduzione delle tasse per famiglie con bambini, agevolazioni fiscali per i nonni che contribuiscono all'educazione e il benessere dei loro nipoti, flessibilità di orario dei servizi all'infanzia, l'esenzione dai costi di sicurezza sociale per le imprese che assumono donne incinta o con figli minori di tre anni, e la copertura statale dei costi per le cure contro l'infertilità.
Eppure non è tutt'oro quel che luccica, una lettura di genere del rapporto ne rivela l'impianto di stampo conservatore basato su un'idea di genitorialità e cura che è ben lontana dal promuovere la parità tra uomini e donne.

In Portogallo il tasso di fecondità è declinato costantemente dagli anni '80 in poi fino ad arrivare a 1,28 figli per donna nel 2012, posizionando il paese in coda alla classifica europea. Questo dato, già di per se preoccupante, ha subito un ulteriore peggioramento nell'ultimo anno, arrivando a 1,21 nel 2013. La mia tesi è che se in un primo momento il calo della natalità è stato un riflesso positivo della modernizzazione del paese e dell'emancipazione delle donne, oggi questa lettura non regge più. I dati odierni vanno interpretati alla luce di varie costrizioni e contraddizioni. Le recenti indagini sulla fertilità ci dicono che se uomini e donne potessero realizzare i loro desideri di genitorialità il numero di figli per ogni donna salirebbe a 2,31.

Dopo la rivoluzione democratica del 1974, l'uguaglianza tra donne e uomini è stata finalmente inclusa nella costituzione portoghese e, nel 1976, le donne hanno acquisito gli stessi diritti degli uomini. I consultori per la pianificazione familiare vengono costituiti come parte integrante del servizio pubblico sanitario, e le donne divengono progressivamente più consapevoli dell'importanza di esercitare il controllo sulla propria vita sessuale e riproduttiva.
Nel 1978 il nuovo codice civile elimina il principio di potere del marito sulla moglie, implicando uno status paritario tra uomini e donne nelle relazioni private.
Dalla rivoluzione in poi le donne hanno investito sempre di più nella loro formazione, nel 1970-71 erano un terzo delle persone laureate, negli anni '80 la percentuale si alza fino a raggiungere il 40 per cento, e, secondo gli ultimi dati disponibili (2010-2011), ad oggi sono il 60%.

Durante la dittatura innumerevoli famiglie vivevano in condizione di estrema povertà, la rivoluzione democratica ha aperto nuove prospettive sia materiali che sociali tanto agli uomini quanto alle donne. Questo processo di modernizzazione ha avuto impulso anche dall'ingresso nella Comunità economica europea nel 1986. 
Eppure, per la maggior parte dei lavoratori e le lavoratrici i salari sono rimasti relativamente bassi, i modelli dominanti di produzione e organizzazione sono rimasti allineati ai valori tradizionali, gli indicatori sul lavoro precario, povertà e disuguaglianza sociale sono rimasti ben al di sotto della media europea e nello sviluppo dello stato sociale si riflette la posizione semiperiferica del paese.

In Portogallo il contributo delle donne al reddito familiare è fondamentale per arrivare a fine mese. Il tasso di occupazione femminile è stato a lungo relativamente alto (sopra la media Ue), le donne lavorano principalmente a tempo pieno e hanno percorsi lavorativi continuativi. Tuttavia il pieno coinvolgimento nel mercato del lavoro retribuito non le ha preservate dal farsi carico del grosso del lavoro domestico e di cura.
In primo luogo voglio quindi evidenziare come nel rapporto della commissione governativa siano totalmente assenti le misure per favorire la ridistribuzione del lavoro di cura tra uomini e donne, che sarebbe fondamentale per conciliare il tempo di vita e di lavoro e il desiderio di fertilità.

Nonostante l'investimento in servizi di cura pubblici, la verità è che le infrastrutture esistenti sono ben al di sotto dei bisogni delle famiglie. Vale la pena notare come, comunque, il quadro politico di riferimento si sia evoluto per consentire una maggiore condivisione dei congedi genitoriali e permettere agli uomini di vivere una paternità più attiva, in particolar modo dopo la nascita di un figlio. C'è un congedo pienamente retribuito e obbligatorio di dieci giorni a cui si aggiunge il  "bonus di 30 giorni da condividere" un congedo facoltativo concesso solo se condiviso tra uomini e donne, anche questo pienamente retribuito.
Eppure, le costrizioni ideologiche (rappresentazioni tradizionali dei ruoli di genere), i pregiudizi contro i papà attivi e gli atteggiamenti ostili sul luogo di lavoro, fanno sì che meno di un quarto dei papà utilizzi il bonus condiviso. E, contro la legge, circa un terzo fa a meno del congedo retribuito obbligatorio. A ciò si aggiunga la dimostrata discriminazione delle donne in termini di opportunità di carriera frutto di una cultura organizzativa ostile e di approcci manageriali tradizionalisti.
Ma gli stereotipi su maternità e paternità sono solo una parte degli ostacoli alla fecondità. Trovo, infatti, che siano le politiche che questo governo mette in campo a rivelare l'aperta contraddizione con qualunque preoccupazione per la bassa natalità, sfiorando il limite del paradosso. Nel 2013 le ore settimanali di lavoro per i dipendenti pubblici sono aumentate da 35 a 40. Questa misura ha avuto un impatto negativo sulla conciliazione vita-lavoro dei dipendenti pubblici e contemporaneamente ha disincentivato il settore pubblico dal ridurre il tempo di lavoro.

La commissione del governo, afferma, cosa discutibilissima, che una delle raccomandazioni chiave per l'innalzamento della fertilità è quella di dare la possibilità alle donne di lavorare part-time per un anno dopo il congedo di maternità. La commissione propone che questa misura venga coperta finanziariamente al 50% dal datore di lavoro e dallo stato per il restante 50%, rimpiazzando le lavoratrici in part-time forzato con persone iscritte al collocamento.
Numerosi studi hanno dimostrato come i lavoratori part-time abbiano molte meno possibilità sia di formazione che di carriera e siano più precari. Soprattutto, questa raccomandazione confligge con qualunque intento di parità di genere, cosi come con il progresso/modernizzazione delle relazioni di genere, rinforzando la posizione di subordinazione e dipendenza delle donne e l'ideologia della donna "angelo del focolare". Le inchieste tra i lavoratori dimostrano come sia donne che uomini preferirebbero lavorare di meno, ma non in part-time. I dati inoltre ci dicono che la maggioranza delle donne che lavorano in part-time spesso non lo fanno su una base volontaria.

Infine, è necessario contestualizzare tutte queste riflessioni nel più ampio scenario dell'attuale crisi economica e sociale dominato dal fiscal compact, le misure di austerità, la riforma del mercato del lavoro che ha creato non solo esclusione sociale ma anche una vera e propria emorragia di giovani. Il numero di emigranti degli ultimi anni è paragonabile a quello del paese allo stremo degli anni '60. È il ritratto di un paese disperato. Senza le condizioni oggettive e soggettive di fiducia nel futuro la società portoghese non è sostenibile. È così difficile da capire?(1)

(1)Il dibattito in Portogallo è ancora in corso, dalla data in cui questo articolo è stato scritto sono state rilasciate nuove e ulteriori dichiarazioni che non alterano però il senso dell'articolo.

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