martedì 30 settembre 2014

Il silenzio degli innocenti

L’aula era pressoché vuota, occupata da noi che non eravamo più di quindici studenti, le palpebre alzate erano forse anche meno. La professoressa ci osservava incuriosita dall’alto della sua cattedra, per niente scoraggiata dall’atteggiamento svogliato e disinteressato della sua platea. Dopo le premesse del caso, arrivò la domanda che per prima scosse le nostre sedie.

«Chi di voi è femminista?»

Una coltellata. Per me, che ero convinto di partecipare a un innocente corso sui generi cinematografici, ma anche per gli altri, che probabilmente non si aspettavano di dover abbracciare certe anacronistiche visioni politiche per frequentare un insegnamento dedicato al genere e al cinema. Tuttavia, ad alzare la mano furono in due: due ragazze che, con fare non troppo timido, ammisero che sì, potevano dichiararsi femministe. Una aveva capelli corti e biondi, quasi bianchi, e indossava una felpaccia nera slabbrata insieme a una collana decisamente eccentrica. L’altra, scarpe borchiate sotto il banco, esibiva diversi piercing.

«Chi di voi sa cos’è il femminismo?»

Silenzio. Anche le due ragazze, cui forse mancò il coraggio di perseverare nel loro anticonformismo o colte, magari, dal dubbio di aver già confessato un crimine disgustoso con la loro precedente ammissione, abbassarono il volto. Fu allora che l’insegnante sfoderò inaspettata la sua arma: un oggetto di antiquariato che tutti abbiamo conosciuto, ma ormai risposto sugli scaffali più polverosi delle nostre case, a far sfoggio di sè. Il dizionario.

Femminismo, s.m.
Movimento sorto nell’Ottocento che propugna la perfetta parità di diritti fra la donna e l’uomo.

«E il maschilismo, chi sa darmi una definizione? »
 «…»
Maschilismo, s.m.
Atteggiamento per cui l’uomo si reputa superiore alla donna in contesti sociali e privati.

Quelle due definizioni da scuola elementare ci sorpresero, ci trovarono impreparati, a noi più che ventenni. A noi, miseramente convinti di saperne già abbastanza di cinema e ruoli sessuali (abbiamo superato l’adolescenza, su, altro che corsi universitari) per concludere che tutto fosse riducibile alla donna da cartellone e al gentiluomo un po’ padre un po’ porco.
La limpidezza e la semplicità di quelle spiegazioni attivarono la nostra coscienza in modo netto e disturbante, più di quanto avrebbero potuto fare articoli specialistici o famosi saggi sul tema.

Femminismo e maschilismo, quei due termini così speculari fra loro e da noi impiegati sempre con il tono solenne e scandalizzato tipico di tutti gli ismi passati alle cronache, si rivelarono ciò che di più distante poteva esserci l’uno dall’altro, e dai significati che sempre avevamo attribuito loro.
L’uno era storia, l’altro biologia.
L’uno era stato costruito più di un secolo prima, l’altro esisteva da sempre, nato con l’uomo stesso.
L’uno era volontà, l’altro predispozione innata.
L’uno era cultura, l’altro natura.

Bimbi_classe

Come tutto ciò avrebbe avuto a che fare con la cultura audiovisiva ci fu chiaro fin da quel momento. Dopo che quelle poche parole ci avevano liberato dalle conoscenze stereotipate con cui eravamo cresciuti, ci chiedevamo, a quali conclusioni saremmo giunti se fossimo riusciti ad analizzare un testo filmico svincolandoci dal nostro odioso sguardo maschile? Quali verità sulla rappresentazione dei generi ci avrebbero sconvolto almeno quanto lo scoprire che i maschilisti non erano soltanto quelli che abusavano delle loro compagne, né le femministe solo lesbiche incazzate con i capelli corti? Quanto lavoro avremmo dovuto fare, ancora.

«Chi di voi è femminista?»

La professoressa ripetè la domanda a fine lezione. Quindici mani si levarono decise. C’erano le due ragazze alternative, studenti chini sugli appunti, amiche che scuotevano il capo indignate, qualcuno che guardava fuori dalla finestra. Eravamo tutti, lessicalmente, consapevolmente, femministi.

fonte: zeroeuno

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