L’aula era pressoché vuota, occupata da
noi che non eravamo più di quindici studenti, le palpebre alzate erano
forse anche meno. La professoressa ci osservava incuriosita dall’alto
della sua cattedra, per niente scoraggiata dall’atteggiamento svogliato e
disinteressato della sua platea. Dopo le premesse del caso, arrivò la
domanda che per prima scosse le nostre sedie.
«Chi di voi è femminista?»
Una coltellata. Per me, che ero convinto di partecipare a un innocente corso sui generi
cinematografici, ma anche per gli altri, che probabilmente non si
aspettavano di dover abbracciare certe anacronistiche visioni politiche
per frequentare un insegnamento dedicato al genere e al cinema. Tuttavia, ad alzare la mano furono in due: due ragazze
che, con fare non troppo timido, ammisero che sì, potevano dichiararsi
femministe. Una aveva capelli corti e biondi, quasi bianchi, e indossava
una felpaccia nera slabbrata insieme a una collana decisamente
eccentrica. L’altra, scarpe borchiate sotto il banco, esibiva diversi piercing.
«Chi di voi sa cos’è il femminismo?»
Silenzio. Anche le due ragazze, cui forse
mancò il coraggio di perseverare nel loro anticonformismo o colte,
magari, dal dubbio di aver già confessato un crimine disgustoso con la
loro precedente ammissione, abbassarono il volto. Fu allora che
l’insegnante sfoderò inaspettata la sua arma: un oggetto di antiquariato
che tutti abbiamo conosciuto, ma ormai risposto sugli scaffali più
polverosi delle nostre case, a far sfoggio di sè. Il dizionario.
Femminismo, s.m.
Movimento sorto nell’Ottocento che propugna la perfetta parità di diritti fra la donna e l’uomo.
«E il maschilismo, chi sa darmi una definizione? »
«…»
Maschilismo, s.m.
Atteggiamento per cui l’uomo si reputa superiore alla donna in contesti sociali e privati.
Quelle due definizioni da
scuola elementare ci sorpresero, ci trovarono impreparati, a noi più che
ventenni. A noi, miseramente convinti di saperne già abbastanza di
cinema e ruoli sessuali (abbiamo superato l’adolescenza, su, altro che
corsi universitari) per concludere che tutto fosse riducibile alla donna
da cartellone e al gentiluomo un po’ padre un po’ porco.
La limpidezza e
la semplicità di quelle spiegazioni attivarono la nostra coscienza in
modo netto e disturbante, più di quanto avrebbero potuto fare articoli
specialistici o famosi saggi sul tema.
Femminismo e maschilismo, quei due termini così speculari fra loro e da noi impiegati sempre con il tono solenne e scandalizzato tipico di tutti gli ismi
passati alle cronache, si rivelarono ciò che di più distante poteva
esserci l’uno dall’altro, e dai significati che sempre avevamo
attribuito loro.
L’uno era storia, l’altro biologia.
L’uno era stato
costruito più di un secolo prima, l’altro esisteva da sempre, nato con
l’uomo stesso.
L’uno era volontà, l’altro predispozione innata.
L’uno
era cultura, l’altro natura.
Come tutto ciò avrebbe avuto a che fare
con la cultura audiovisiva ci fu chiaro fin da quel momento. Dopo che
quelle poche parole ci avevano liberato dalle conoscenze stereotipate
con cui eravamo cresciuti, ci chiedevamo, a quali conclusioni saremmo
giunti se fossimo riusciti ad analizzare un testo filmico svincolandoci
dal nostro odioso sguardo maschile? Quali verità sulla rappresentazione
dei generi ci avrebbero sconvolto almeno quanto lo scoprire che i
maschilisti non erano soltanto quelli che abusavano delle loro compagne,
né le femministe solo lesbiche incazzate con i capelli corti? Quanto
lavoro avremmo dovuto fare, ancora.
«Chi di voi è femminista?»
La professoressa ripetè la domanda a fine
lezione. Quindici mani si levarono decise. C’erano le due ragazze
alternative, studenti chini sugli appunti, amiche che scuotevano il capo
indignate, qualcuno che guardava fuori dalla finestra. Eravamo tutti,
lessicalmente, consapevolmente, femministi.
fonte: zeroeuno
fonte: zeroeuno
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