venerdì 24 gennaio 2014

Amina non è morta invano

Il Parlamento di Rabat ha annullato la legge che permetteva ai violentatori di sfuggire al carcere sposando le proprie vittime


Manifestazione di protesta dopo il suicidio di Amina Filali
  Manifestazione di protesta
dopo il suicidio di Amina Filali
Lo stupratore non potrà più evitare la galera sposando la propria vittima. Lo ha deciso il Parlamento marocchino, cancellando un articolo del codice penale che consentiva ai violentatori di minorenni di sottrarsi al carcere dopo averle prese in moglie.

L’emendamento è stato approvato all’unanimità, dopo un’intensa campagna degli attivisti, per garantire maggiore protezione alle ragazze abusate. L’articolo 475, approvato dal governo islamista di Rabat un anno fa, prescriveva la detenzione, da uno a cinque anni, per chiunque avesse “rapito o ingannato” un minore “senza violenza, minaccia o truffa”. Allo stesso tempo, il testo della legge specificava però che in caso di matrimonio tra la vittima e il suo assalitore, quest’ultimo non poteva più essere processato se non da coloro che hanno l’autorità per “annullare il matrimonio”. In questo modo, per le organizzazioni umanitarie, diventava impossibile per le autorità giudiziarie perseguire questi reati.

Gli attivisti hanno accolto positivamente l’abrogazione dell’articolo, sebbene sia solo un piccolo passo per il riconoscimento dell’uguaglianza di genere e di una soddisfacente protezione per le ragazze molestate sessualmente.

Il Parlamento ha così modificato una legge che in passato aveva destato preoccupazione, a causa delle conseguenze prodotte dalla sua applicazione. Proprio il caso della 16enne Amina Filali, suicidatasi dopo essere stata costretta a sposare il suo aggressore, scatenò un’ondata di proteste e di sdegno a livello nazionale.
La ragazza aveva accusato Salek Mustafa, di 25 anni, di aver abusato fisicamente di lei in un bosco, dopo averla minacciata con un coltello. Il giudice incaricato della vicenda convinse le famiglie dei due giovani a parlare con un mediatore. Quest’ultimo invitò i quattro genitori  a raggiungere un accordo: le nozze fra Amina e Salek avrebbero lavato il “disonore” della prima e permesso al secondo di evitare il carcere.

La perdita d’onore della sedicenne fu la ragione che spinse i familiari di Amina ad accettare l’agghiacciante patto. Una donna disonorata, per la tradizione contadina del Paese, non può più accedere al matrimonio e le “nozze riparatrici” sono ritenute spesso la soluzione più efficace per risolvere il problema.
Così è stato per Amina. Ma le violenza fisiche e verbali del marito sono continuate anche col matrimonio secondo quanto riferito dai genitori della ragazza. Non sopportando più la situazione,  Amina aveva deciso di farla finita, ingerendo del veleno per topi.

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