Il Parlamento di Rabat ha annullato la legge che permetteva ai violentatori di sfuggire al carcere sposando le proprie vittime
Lo stupratore non potrà più evitare la galera
sposando la propria vittima. Lo ha deciso il Parlamento marocchino,
cancellando un articolo del codice penale che consentiva ai violentatori
di minorenni di sottrarsi al carcere dopo averle prese in moglie.
L’emendamento è stato approvato all’unanimità, dopo un’intensa campagna degli attivisti, per garantire maggiore protezione alle ragazze abusate. L’articolo 475, approvato dal governo islamista di Rabat un anno fa, prescriveva la detenzione,
da uno a cinque anni, per chiunque avesse “rapito o ingannato” un
minore “senza violenza, minaccia o truffa”. Allo stesso tempo, il testo della legge specificava però che in caso di matrimonio tra la vittima e il suo assalitore,
quest’ultimo non poteva più essere processato se non da coloro che
hanno l’autorità per “annullare il matrimonio”. In questo modo, per le
organizzazioni umanitarie, diventava impossibile per le autorità
giudiziarie perseguire questi reati.
Gli attivisti hanno accolto
positivamente l’abrogazione dell’articolo, sebbene sia solo un piccolo
passo per il riconoscimento dell’uguaglianza di genere e di una
soddisfacente protezione per le ragazze molestate sessualmente.
Il Parlamento ha così modificato una
legge che in passato aveva destato preoccupazione, a causa delle
conseguenze prodotte dalla sua applicazione. Proprio il caso della
16enne Amina Filali, suicidatasi dopo essere stata costretta a
sposare il suo aggressore, scatenò un’ondata di proteste e di sdegno a
livello nazionale.
La ragazza aveva accusato Salek Mustafa,
di 25 anni, di aver abusato fisicamente di lei in un bosco, dopo averla
minacciata con un coltello. Il giudice incaricato della vicenda
convinse le famiglie dei due giovani a parlare con un mediatore.
Quest’ultimo invitò i quattro genitori a raggiungere un accordo: le
nozze fra Amina e Salek avrebbero lavato il “disonore” della prima e
permesso al secondo di evitare il carcere.
La perdita d’onore della sedicenne fu la
ragione che spinse i familiari di Amina ad accettare l’agghiacciante
patto. Una donna disonorata, per la tradizione contadina del Paese, non
può più accedere al matrimonio e le “nozze riparatrici” sono ritenute
spesso la soluzione più efficace per risolvere il problema.
Così è stato per Amina. Ma le violenza
fisiche e verbali del marito sono continuate anche col matrimonio
secondo quanto riferito dai genitori della ragazza. Non sopportando più
la situazione, Amina aveva deciso di farla finita, ingerendo del veleno
per topi.
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