"Il capitale umano è equamente distribuito tra i due sessi. Solo, alle donne non era concesso di utilizzare il proprio". (Rita Levi Montalcini)
Introduzione
Tre
quinti del miliardo di persone che vivono al di sotto della soglia di
povertà sono donne. Dei 960 milioni di analfabeti, due terzi sono donne,
ragazze e bambine. Ogni giorno 1.600 donne e più di 10.000 neonati
perdono la vita per cause legate alla gravidanza e al parto. 1 donna su 5
nel mondo ha subito una qualche forma di violenza.
I dati del rapporto Lo stato della popolazione nel mondo 2008 del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), intitolato quest’anno Punti di convergenza: cultura, genere e diritti umani),
chiariscono a un primo sguardo che la più persistente disparità ancora
esistente è quella di genere. Ingiustizie e discriminazioni sono ancora
diffuse, talvolta aggrappate a salde radici culturali, talaltra
consolidate da strutture o sistemi sociali che marginalizzano le donne
nella vita culturale, economica, sociale e politica.
Sebbene la
mancanza di risorse sia spesso terreno fertile per queste situazioni di
ingiustizia, i diritti delle donne sono a rischio in molti paesi anche
sviluppati. In diversi incontri internazionali, in particolar modo dal
1975 a oggi, governi, società civile ed enti internazionali si sono
impegnati per le donne, con specifici obiettivi di uguaglianza e tutela
dei diritti. Eppure i progressi appaiono troppo lenti su ogni fronte:
diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale,
all'eguaglianza e a fondare una famiglia, accesso all'informazione e
all'istruzione, assistenza sanitaria e, ancora, riconoscimento
professionale e partecipazione alla vita politica.
Disparità nel mondo
Una importante prospettiva di osservazione è offerta dal Gender Gap Report 2008 (in .pdf),
lo studio del World Economic Forum sulle disparità di genere nel mondo
che analizza la situazione delle pari opportunità in 130 paesi, che
rappresentano il 90% della popolazione mondiale [1].
I risultati indicano una globale riduzione dei divari di genere nei
settori dell’economia, della politica e dell’istruzione, mentre un
aumento delle disparità si registra nell’ambito della salute. In questa
classifica mondiale sono i paesi del Nord Europa a mostrare il minore
divario di opportunità tra uomo e donna, con Norvegia al primo posto e
Finlandia, Svezia e Islanda a seguire. Chiude l’elenco, invece, lo
Yemen.
Istruzione
La dipendenza delle donne è
stata per lungo tempo culturale. Raggiunto e spesso superato il livello
di istruzione maschile nei paesi più sviluppati, le donne nei paesi più
poveri sono ancora oggi tenute in uno stato di ignoranza che preclude
loro una piena coscienza della propria dignità e dei propri diritti. Il terzo degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
pone l’attenzione sulla necessità di uguaglianza, chiedendo in
particolare di eliminare le differenze nelle possibilità di istruzione
primaria e secondaria entro il 2005, e a tutti i livelli di istruzione
entro il 2015.
Sebbene il numero di ragazze che accedono all’istruzione
primaria ogni 100 ragazzi nei paesi in via di sviluppo sia cresciuto da
87 a 94 fra il 1990 e il 2005, il Report Onu 2008 sugli Obiettivi del Millennio (in .pdf)
rivela che 113 paesi non hanno raggiunto la parità in questo campo.
Le
percentuali più basse si registrano in aree rurali sub-sahariane dove
bambine e ragazze, invece di dedicarsi alla scuola, sono costrette a
occuparsi della famiglia e delle mansioni della casa, come la raccolta
dell’acqua e della legna per il fuoco. Il rapporto inoltre valuta che
solo 18 paesi fra questi riusciranno probabilmente a superare la
disparità in tutti i livelli dell’istruzione entro il 2015.
Salute e sopravvivenza al femminile
Salute e sopravvivenza, sempre secondo il Global Gender Gap Report 2008 (in .pdf),
si distinguono fra i parametri più critici di disuguaglianza a scapito
delle donne. I maggiori divari si registrano in Asia: in particolare in
Cina, India, Azerbaijan e Armenia. Buona la situazione in America Latina
(dove molti paesi tra cui Argentina, Brasile, Cile e Messico sono a
pari merito con alcuni stati europei come Austria, Finlandia, Francia,
Lettonia e Slovacchia) e punteggi alti per alcuni paesi africani, come
Angola, Gambia, Lesoto, Madagascar, Mauritania, Mauritius e Yemen. In
molte parti dell’Africa e del Sud Asia, l’aspettativa di vita delle
giovani donne resta in ogni caso a livelli dell’Europa medievale.
L’edizione 2009 della pubblicazione
conferma che la maternità rimane uno dei più gravi rischi per le donne
nei paesi meno sviluppati, dove risulta 300 volte più probabile morire
durante il parto o per complicazioni legate alla gravidanza. Su questo
punto si concentra il quinto Obiettivo del Millennio,
che prefigge di ridurre del 75% la mortalità materna entro il 2015.
L’impegno per la salute riproduttiva delle donne si esplica in
un’assistenza sanitaria sicura e nel diritto alla pianificazione
familiare e l’interruzione di gravidanza.
Human Rights Watch stima che
20 milioni di aborti insicuri hanno luogo ogni anno a causa della
criminalizzazione della pratica in molte regioni del mondo. Le donne,
per ragioni biologiche, culturali, economiche e religiose, sono infine più esposte al contagio di Aids e Hiv e alle discriminazioni conseguenti.
Donne e lavoro
Sono
un miliardo e duecento milioni le donne che lavorano nel mondo.
Nonostante nell’ultimo decennio il numero di lavoratrici sia lievitato
quasi del 20% (dal 1997 a oggi 200 milioni unità in più), non sembrano
però essere migliorate le condizioni femminili nel mercato del lavoro
[LAVORO]. Come mette in evidenza dal rapporto "Le Tendenze Globali dell'Occupazione Femminile" (in .pdf),
presentato nel marzo 2008 dall'Organizzazione Internazionale del
Lavoro, le donne restano per lo più confinate nei settori meno
produttivi, sopportano maggiori rischi economici e sono private di
protezione sociale e diritti fondamentali.
"Le donne continuano a
entrare nella forza lavoro in gran numero. Questo progresso non deve
tuttavia far passare inosservate le grandi ingiustizie che continuano a
esistere nei posti di lavoro di tutto il mondo" - ha ammonito il
direttore generale dell’ILO, Juan Somavia.
Nell'ultimo decennio è
scesa in ogni caso (dal 56,1 al 51,7%) la quota di donne impiegate in
posizioni vulnerabili, ma il fenomeno rimane particolarmente acuto
soprattutto nelle regioni più povere del mondo - con percentuali che
superano l'80% in aree come l'Africa sub-sahariana e l'Asia del Sud. Qui
manca spesso qualsiasi forma di riconoscimento e retribuzione per le
donne nonostante rappresentino una forza determinante nei processi di
sviluppo e produzione della ricchezza.
Di contro, nei Paesi
industrializzati, essere a un livello culturale più elevato di quello
degli uomini il più delle volte corrisponde a un lavoro di livello più
basso e meno retribuito.
Disuguaglianza e tradizione
Spesso
sono tradizioni culturali, esplicite o celate in leggi discriminatorie,
innestate in un tessuto sociale estremamente povero, a creare il
maggior ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza. La convinzione che
le ragazze debbano lavorare piuttosto che studiare e che una donna non
possa acquisire alcun diritto alla proprietà, per esempio, sono
profondamente radicate in molte culture e legislazioni. Questioni legali
molto problematiche sono presenti anche nei paesi islamici dove sono in
vigore i dettami della legge della Sharia che governano la condizione
delle donne.
Pakistan, Afghanistan e Iran
mostrano diverse situazioni in cui il ruolo della donna nella società è
condizionato da difficili restrizioni, pur nella contraddizione che
vede nelle Università iraniane molte più donne. Un’ulteriore brutale
espressione della forza di antiche norme discriminatorie si trova
nell’aborto selettivo in funzione del sesso del nascituro e negli infanticidi delle bambine,
tuttora diffusi in India e Cina. O, ancora, pratiche coercitive di
violazione dei diritti più elementari della donne, come i matrimoni
precoci o le mutilazioni genitali femminili, compiute nel rispetto di
riti atavici per consacrare il passaggio alla vita adulta.
Ancora in uso
in alcuni paesi africani, nonostante le leggi che le vietano, vengono
condotte spesso in condizioni igieniche discutibili, da persone senza
adeguata conoscenza medica. Alla luce della grande influenza di questi
retaggi, The State of World Population 2008 l’ultimo report del Fondo della Popolazione delle Nazioni Unite, ha
focalizzato l’attenzione sull’importanza di strategie di sviluppo che
agiscano sui valori culturali per ridurre le violazioni contro le donne e promuoverne i diritti.
Violenze
Una
delle conseguenze più brutali della disuguaglianza economica, sociale,
politica e culturale, è la violenza contro le donne. “Una donna su tre è
maltrattata, violentata o subisce altre forme di abuso nella sua vita”,
ha denunciato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, lanciando
la campagna 2008 UNite to End Violence Against Women. Gli abusi - che vanno dalle violenze domestiche agli omicidi di onore
– sono da considerarsi elemento integrante del modello culturale di
molti paesi, più o meno avanzati, spesso in assenza di leggi e
provvedimenti soddisfacenti per la tutela delle donne. A questi si
sommano la pratica del traffico di donne per sesso o altre forme di
sfruttamento, nate dalla combinazione di criminalità e povertà.
Infine,
donne e bambine sono esposte a situazioni di pericolo e gravi violenze
durante i conflitti armati. Lo stupro come arma di guerra per demolire
le custodi della cultura e della stirpe.
Donne e sviluppo
Indicatori
sociali ed economici mostrano che sono le donne a sopportare il peso
maggiore dell’arretratezza culturale ed economica nelle comunità più
povere. Nel contempo sono anche le protagoniste dei programmi di
riduzione della povertà e rinascita economica di ogni paese. Come
rilevato dal precedente Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi
Annan, “non c’è alcuno strumento per lo sviluppo più efficace che
l’educazione delle ragazze”. Per abbattere ingiuste gerarchie sociali, è
necessario affiancare a questa, un identico accesso alle risorse come
la salute, la terra, credito e tecnologie. La convinzione che la
prospettiva di genere debba riflettersi in ogni strategia di sviluppo si
fonda su una chiara evidenza del ruolo chiave nel ridurre la povertà,
generare attività economica e migliorare la qualità della salute e della
produttiva del nucleo familiare.
La lotta per i diritti delle donne
Nel
XVIII e nel XIX secolo sono stati compiuti molti passi avanti verso
l'uguaglianza di genere. I movimenti femministi hanno abbattuto molte
barriere, contribuendo a vasti cambiamenti sociali e politici. Con
tempi, dimensioni e modalità differenti da paese a paese, questi
movimenti hanno lottato per migliorare la condizione femminile a partire
dal conseguimento di diritti pari a quelli degli uomini: istruzione,
cittadinanza, voto, eleggibilità e così via.
A livello internazionale
nel 1945 nel documento costitutivo delle Nazioni Unite è stata aggiunta
una dichiarazione d'impegno per l'uguaglianza tra uomini e donne,
ripresa poi nel 1948 nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
che sancisce
(art. 2): "a ogni individuo spettano tutti i diritti e le
libertà enunciate nella presente Dichiarazione senza distinzione alcuna
per ragioni di razze, di colore, di sesso, di lingua e di religione".
Questo si rivelò però poco utile in termini pratici e fu necessario lottare oltre 30 anni
per maturare a livello internazionale un impegno reale contro
l’ingiustizia di genere.
Nel 1967 a Città del Messico, la prima
Conferenza Mondiale sulle donne riconobbe il contributo al femminile nei
processi di sviluppo, dichiarando l'importanza di promuovere un
cambiamento sociale ed economico.
Un reale impegno prese però forma solo nella Convenzione per l'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW),
adottata nel 1979 ed entrata in vigore nel settembre del 1981. Definita
la “Carta dei diritti delle donne”, è il più importante strumento
internazionale, giuridicamente vincolante, in materia di diritti delle
donne: specifica le aree in cui le donne sperimentano la
discriminazione; indica misure per eliminare la discriminazione; impegna
i paesi a emendare le loro leggi, costruire politiche nazionali di
genere e creare istituzioni per perseguirle.
A venti anni dalla sua
entrata in vigore, l'Assemblea Generale dell'ONU ha poi varato il "Protocollo facoltativo della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne" (in .pdf)
(entrato in vigore nel dicembre del 2000) che definisce procedure di
indagine e intervento in casi di violazione delle norme stabilite dalla
Convenzione nei paesi che hanno sottoscritto il Protocollo facoltativo.
Le
conferenze internazionali su donne e sviluppo, promosse dall’Onu, hanno
contribuito ad accrescere la consapevolezza circa la rilevanza delle
disparità di genere. Parallelamente la crescente richiesta di organismi
nazionali e intergovernativi ha portato alla creazione di ministeri e
commissioni specifiche sulla questione femminile in numerosi paesi,
mentre nell’ambito dell’Onu hanno visto la luce il Fondo delle Nazioni
Unite per lo Sviluppo delle donne (UNIFEM) e l’istituto internazionale di ricerca per il progresso delle donne (INSTRAW).
L’impegno più concreto si è raggiunto nella Quarta Conferenza Mondiale
sulle Donne, tenuta a Pechino nel settembre del 1995. In questa
occasione i governi si sono impegnati nella Piattaforma di azione di Beijing,
un dettagliato piano per sradicare discriminazione e povertà. I membri
hanno ribadito e rafforzato questa piattaforma nel 2000 durante la revisione dei cinque anni, e successivamente quella dei dieci anni nel 2005.
Tuttavia,
una valutazione sulla realizzazione della Piattaforma d’azione di
Pechino, svela un notevole divario tra le politiche elaborate e la loro
applicazione. L’assenza di una volontà politica si riflette in
particolare nella scarsità di risorse disponibili.
Contro questa
mancanza di impegno concreto si è espresso lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione della giornata internazionale della donna del 2008.
Secondo i critici, il consolidamento della legislazione non è stato
aiutato dal grande numero di organizzazioni Onu che lavorano sui
differenti aspetti della disuguaglianza di genere. Come conseguenza del
processo di riforma Onu, sono state avanzate richieste per una più
fluida architettura delle agenzie e, quindi, coerenza nella lotta per i diritti delle donne.
Europa e Italia, in statistiche
All’interno
dell’Unione europea si lavora da tempo sul tema della parità fra
generi, comunitariamente e nei singoli stati membri, con risultati
apprezzabili su diversi fronti: salute, istruzione, legislazione,
tutela. Ciò nonostante rimangono grandi sfide da affrontare. Le donne
continuano a giocare un ruolo importante nella crescita dell’occupazione
in Europa ma restano sfavorite rispetto agli uomini nel mercato del
lavoro, come confermano sia la seconda edizione di "Life of women and men in Europe - a statistical portrait" pubblicato da Eurostat, sia l’edizione 2008 del rapporto adottato dalla Commissione europea sulla Parità fra donne e uomini.
Nonostante il livello più alto di istruzione (il 59% dei laureati è
costituito da donne), continuano a ricoprire ruoli meno significativi
rispetto agli uomini e a ottenere stipendi più bassi (in media il 15%
meno). Da una parte, più del 7,5% dei 12 milioni di nuovi posti di
lavoro in Europa creati dal 2000 è stato occupato da una donna.
Dall’altra, il livello di impiego femminile rimane più basso (14,4 punti
in meno).
Su questo tema si è pronunciato il Parlamento europeo con una risoluzione del 15 gennaio 2009
concernente la direttiva per l’attuazione del principio di parità di
trattamento tra uomini e donne in merito ad accesso al lavoro,
formazione e promozione professionali e condizione di lavoro.
Nelle
prime dieci posizioni del Report Gender Gap 2008 si distinguono come
virtuosi otto paesi europei: guidano i paesi scandinavi, capeggiati
dalla Norvegia. Germania e Gran Bretagna scivolano più in basso a causa
di una diminuzione delle donne ai livelli dirigenziali, mentre Svizzera e
Francia risalgono. Gli Stati Europei che registrano le maggiori
disparità sono Georgia (82), Malta (83), Albania (87) e Turchia (123).
In questo panorama l’Italia (scheda in .pdf):
non gode di una buona posizione (67), pur recuperando 18 posti rispetto
al 2007 grazie all’aumento della presenza femminile in parlamento, nei
ministeri e tra i manager. Non sono critiche le situazioni di istruzione
e partecipazione politica, rispettivamente alla posizione 43 e 46, ma
nelle pari opportunità a livello economico l’Italia si colloca solo alla
posizione 83, dopo paesi come il Botswana e il Burkina Faso. Poco
incoraggiante anche la classifica dei parametri legati alla salute.
ALCUNI DATI
Donne e occupazione: risultati di un decennio | ||
Indicatori del mercato globale del lavoro | ||
1997 | 2007 | |
DONNE | ||
Occupate (in milioni) | 1.001,60 | 1.186,10 |
Disoccupate (in milioni) | 70,2 | 81,6 |
Tasso occupazione | 49,5% | 49,1% |
Tasso disoccupazione | 6,5% | 6,4% |
|
||
UOMINI | ||
Occupati (in milioni) | 1.530,30 | 1.787,00 |
Disoccupati (in milioni) | 94,6 | 108,3 |
Tasso occupazione | 75,7% | 74,3% |
Tasso disoccupazione | 5,8% | 5,7% |
Fonte: ILO, “Global Employment Trends for Women”, marzo 2008 | ||
Donne e occupazione: salariate e vulnerabili | ||
Composizione occupazione per status dal 1997 al 2007 | ||
1997 | 2007 | |
DONNE | ||
Dipendenti salariate | 41,8% | 46,4% |
Imprenditrici | 2,1% | 1,8% |
Occupate in impieghi vulnerabili | 56,1% | 51,7% |
UOMINI | ||
Dipendenti salariati | 44,9% | 47,9% |
Imprenditori | 4,3% | 3,4% |
Occupati in impieghi vulnerabili | 50,7% | 48,7% |
Fonte: ILO, “Global Employment Trends for Women”, marzo 2008 |
Bibliografia minima
- Bartolini, S., A volto scoperto. Donne e diritti umani, Manifestolibri, Roma, 2002
- Hacker, H.M., Women as a minority group, Social Forces,1951
- Mae Kelly R., Gender, Globalization and Demcoratization, Rowman & Littlefield Publishing, 2001
- Amnesty International, Mai più! Fermiamo la violenza sulle donne, EGA, Torino 2004
Documenti utili
- Gender Gap Report 2008 (in .pdf)
- Punti di convergenza: cultura, genere e diritti umani, Report Lo stato della popolazione nel mondo 2008 del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA)
- Rapporto sull’uguaglianza fra uomini e donne 2008 – Commissione Europea (inglese) (in .pdf)
[1]
L’analisi si sviluppa sulla base di quattro indicatori: economico
(partecipazione nei diversi ambiti occupazionali, guadagno e possibilità
di carriera); istruzione (rapporto tra generi nell'educazione primaria,
secondaria e terziaria); coinvolgimento politico (percentuale di donne
tra le alte cariche); condizioni di salute (aspettative di vita,
maltrattamenti, malnutrizione e altri fattori sanitari).
(Scheda realizzata con il contributo di Francesca Naboni)
E'
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questa scheda su ogni mezzo (cartaceo o digitale) a fini commerciali e/o
connessi a attività di lucro. Il testo di questa scheda può essere
riprodotto - integralmente o parzialmente mantenendone inalterato il
senso - solo ad uso personale, didattico e scientifico e va sempre
citato nel modo seguente: Scheda "Donna" di Unimondo: www.unimondo.org/temi/sviluppo/donna
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