I progetti di Selay Ghaffar
e di quante, coraggiosamente, con lei si battono per realizzarli, hanno
bisogno della vicinanza di istituzioni e associazioni del nostro Paese.
Non lasciamole sole.
Case rifugio per donne in Afghanistan
Un
progetto per una rete di solidarietà e sostegno di singole donne. Dare
loro la possibilità di reinserirsi nella chiusa società afghana. E'
questa la proposta che l’attivista afghana Selay Ghaffar sta presentando
in questi giorni in Italia.
8 ottobre 2012 - Andrea Misuri
È nuovo il progetto di creare una rete di solidarietà e
sostegno di singole donne. Dare loro la possibilità di reinserirsi nella
chiusa società afghana. Adottare un'amica sconosciuta, una donna che ha
sofferto ed ora è in fuga non solo dalla guerra, ma spesso dalla
violenza fisica nell’ambito familiare e dalla solitudine morale. Questa
la proposta che l’attivista afghana Selay Ghaffar sta
presentando in questi giorni in Italia. Sarà possibile seguire
l’integrazione sociale di una donna della quale conosceremo i
riferimenti anagrafici. L’adozione a distanza, come forma di
solidarietà, è in genere rivolta ai bambini del sud del mondo. Nei
centri aperti di recente a Herat, Kabul e Jalalabad,
l’adozione a distanza consente di dare a queste donne assistenza
medica, legale e psicologica. Per una che potrà, grazie alle donazioni,
uscire dalla struttura, un'altra accederà al programma di protezione e
accompagnamento.
Selay Ghaffar ha
ventotto anni. L’elegante abito nero è ingentilito da una colorata
passamaneria, tradizionale della sua terra. Il viso, incorniciato da
lunghi capelli nero corvino, ha zigomi alti e grandi occhi neri.
Profondi. Vi si leggono stati d’animo forti. Volontà, determinazione,
sofferenza, coraggio. E’ presidente dell’organismo non governativo Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan
(HAWCA), impegnato dal 1999 nella difesa dei diritti delle donne e dei
minori. Con il progetto in corso, tante donne, accolte e protette in
queste case rifugio, sono accompagnate in un percorso di reinserimento
sociale. Fortunate rispetto a tutte quelle che neppure sanno l’esistenza
di strutture in grado di sottrarle a un quotidiano di soprusi, sevizie,
stupri. Spesso spose bambine – di dieci, dodici anni – che le famiglie
consegnano a uomini anziani. Per motivi economici o d’onore, per pagare
debiti o per chiudere vicende legali. Una violenza che dietro le mura
familiari si estende alle figlie femmine. Perché le donne non hanno
diritti. Neppure di studiare. E’ diffuso il tentativo di impedire la
scolarizzazione femminile. Gruppi di fondamentalisti, padroni delle
strade, fermano le bambine nel percorso da casa a scuola. La presenza
delle piccole per strada va bene soltanto per elemosinare.
I primi incontri di Ghaffar sono in programma a Firenze. Sarà poi la volta di Pisa, Bologna, Milano e Roma. Nel capoluogo toscano è accompagnata da Silvia Ricchieri del COSPE. S’incontra con la Commissione Pace del Comune presieduta da Susanna Agostini, con Valentina Pagliai del Centro Robert Fitzgerald Kennedy di Firenze, unico ufficio europeo della Fondazione, con Teresa Zurzolo del Festival Costante Cambiamento, impegnato a indagare e comprendere i movimenti rivoluzionari dopo la “Primavera araba”, con la giornalista Cristiana Cella del quotidiano l’Unità.
Una rete di donne fiorentine delle istituzioni e dell’associazionismo, a
sostegno e a difesa di chi non ha diritti. Sull’Unità, la Cella è
impegnata sul progetto di adozione a distanza “Vite preziose”. Ora la
sua estensione, se possibile capillare, in tutta Italia. Da tempo, il
Comune di Firenze è vicino alle donne afghane. Nel 2007, la deputata Malalai Joya ha ricevuto in Palazzo Vecchio il Giglio d’Oro. L’alto riconoscimento non ha impedito che Malalai continui ad essere perseguitata.
Mentre parla, Ghaffar muove molto le mani, lunghe e affusolate. “In Afganistan, la lotta a difesa delle donne compie un salto di qualità a partire dal 2001 – mi dice -
Le buone leggi ci sono. I giudici, però, non le applicano. Prendiamo
quella che stabilisce come il trenta per cento dei seggi parlamentari
sia assegnato alle donne”. La quota rosa, un obiettivo. “Non tanto
nei numeri – 69 donne su 249 – quanto su come avviene la scelta.
Delegata – aggiunge Selay Ghaffar - alle fazioni controllate dai
signori della guerra. Soltanto una decina, le parlamentari davvero
impegnate nella difesa della parte più debole della popolazione. Lo
stesso avviene nei Consigli provinciali. Le elezioni del 2010 sono
state dichiarate dalle Nazioni Unite le più fraudolente del pianeta.
Soltanto la Governatrice della provincia di Bameyan, Habiba Surabi e il
sindaco donna della municipalità di Diakundi, territori tra i più
lontani e poveri dell’intero Paese, sono impegnate a difendere le donne
perseguitate. Anche il recente insediamento dell’Alto Consiglio di
Pacificazione ha visto la discriminazione della rappresentanza
femminile, limitata soltanto delle pressioni della comunità
internazionale.”
Ghaffar parla lentamente, a voce bassa. Inglese fluente, cerca le parole giuste. “Ogni
anno l’Italia destina intorno ai 160/170 milioni di euro
all’Afghanistan. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, come la
Conferenza di Tokio del luglio scorso, la loro destinazione è spesso
incerta. L’anno scorso, soltanto 4 milioni sono stati investiti in
attività di sviluppo gestite dalla società civile afghana. Quanti di
questi sono stati destinati ai diritti delle donne?”
Le chiedo come ha maturato questa scelta di vita. Coraggiosa e senza ritorno. La sua voce è quasi un filo: “Al
tempo dell’invasione sovietica, la mia famiglia si rifugiò in Pakistan.
Mio padre era un intellettuale che si batteva per la libertà del Paese.
Sono la seconda di cinque figli. La nostra condizione economica era ben
superiore a quella dei tanti bambini che vivevano nei campi profughi
tra Peshawar e Rawalpindi. Tre milioni di afghani senza casa, mal
vestiti nel rigido inverno, senza scarpe nella neve. Li vedevo, i
bambini, ogni giorno, nel percorso da casa a scuola. Mendicare qualcosa
da mangiare, uno straccio per coprirsi, una moneta da portare a casa.
Avevo 12/13 anni. Cominciai a raccogliere cibo e abiti. Prima in casa e
presso i parenti. Poi la ricerca si allargò. Si cominciò, un paio di
volte la settimana, a insegnare loro a leggere e a scrivere.”
Seguirono gli anni dell’Asian Management Foundation Iqra University a
Islamabad alla Facoltà di Economia. Il ritorno in Afghanistan e
l’impegno, dal 2007, nell’HAWCA.
Prima di ripartire, vedrà a Roma il sottosegretario agli Esteri Steffan de Mistura.
Chiederà risposte per le donne afghane. I progetti di Selay Ghaffar e
di quante, coraggiosamente, con lei si battono per realizzarli, hanno
bisogno della vicinanza di istituzioni e associazioni del nostro Paese.
Non lasciamole sole.
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