domenica 30 giugno 2013

Storia del movimento femminista italiano

Dall'emancipazione all'enfasi per la "diversità"
di Stefano De Luca
 
Il movimento delle donne nasce in Italia verso la metà degli anni Settanta, quasi in coincidenza con la battaglia per il divorzio. Già a partire dai primi anni Sessanta si formarono i primi gruppi femministi, che a differenza dalle organizzazioni femminili della sinistra storica, come l’UDI, si distaccavano dal classico emancipazionismo. Per la prima volta le donne rifiutavano l’egualitarismo come ‘emancipazione’, enfatizzando invece la diversità.
 
A differenza dei primi movimenti femministi, che avevano concentrato le proprie energie sull’apertura delle istituzioni al voto femminile, e creduto fermamente nella democrazia parlamentare, il movimento che si sviluppa all’inizio degli anni Settanta è permeato da una profonda avversione per lo Stato. Certo che le istituzioni parlamentari si erano rivelate incapaci di realizzare riforme reali, ed il movimento femminista si mostrò spesso diffidente nei riguardi delle leggi in generale. Lo dimostra ad esempio la campagna sulla violenza sessuale del 1978-79, che non si pose come obbiettivo primario la presentazione di una legge e la relativa approvazione.

Un altro elemento di differenziazione sta nella radicalità degli obiettivi perseguiti, e nei metodi di lotta utilizzati (azioni espressive, violazioni di regole, pratica dell’autocoscienza, lotte politiche a fini istituzionali).

All’inizio degli anni Settanta vi fu una grande crescita di raggruppamenti femministi, che pur nascendo dallo stesso clima culturale, erano molto spesso autonomi l’uno dall’altro, e ogni gruppo privilegiava uno degli aspetti della condizione della donna. Vi erano unioni come il Gruppo Demistificazione Autoritarismo (DEMAU), nato nel 1966, secondo cui la causa dell’oppressione  della donna non è determinata unicamente dalla condizione economica, ma dipende soprattutto dai valori interiorizzati, che hanno nella famiglia il principale punto di riferimento e di riproduzione. Vi è una forte critica della famiglia, e quindi dell’autoritarismo patriarcale, che diventa più in generale una critica ai fondamenti autoritari della società.

Anche nel movimento femminista, come negli altri nuovi movimenti sociali del periodo, centrale è la tematica dell’autoritarismo. Vengono messe in discussione le istituzioni sociali e i valori dominanti della società ‘patriarcale’; valori maschili, che avevano portato alla supremazia dell’uomo nelle società. Da questo ne è derivato un carattere di forte contrapposizione, spesso di antagonismo, che il movimento femminista assunse verso la società maschile.

Vengono criticati i modelli culturali legati al ‘maschilismo’, l’organizzazione della società che è vista come imposizione di una gerarchia tipica del mondo maschile, e criticano anche il modello femminile che viene proposto sia dalla cultura tradizionale che dai mass-media.

Secondo altri gruppi, come ad esempio Lotta Femminista e Rivolta Femminile, la causa dell’oppressione delle donna era costituita dal lavoro domestico. Infatti la conquista del salario per il lavoro domestico veniva considerata il primo passo verso la liberazione della donna. Questa rivendicazione venne aspramente contestata da altre componenti del movimento femminista, che vi videro la rinuncia all’obiettivo della socializzazione del lavoro domestico.

Altra tematica centrale nel movimento era la richiesta della depenalizzazione dell’aborto, che ha rappresentato la punta di massima mobilitazione ed aggregazione del movimento femminista italiano. Il Movimento della Liberazione della Donna (MLD), al suo primo congresso, aveva stabilito che la liberalizzazione della sessualità femminile dal maschio significava sia liberalizzare la contraccezione e l’aborto, sia riappropriarsi di sé e del proprio corpo.

Ebbero luogo grandi manifestazioni che arrivarono a contare centomila partecipanti, ed è anche grazie all’intervento delle femministe, che nel 1978 viene approvata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza.

I gruppi femministi di provenienza marxista, come il Movimento di Liberazione della Donna Autonomo (MLDA) che si era formato all’interno del movimento studentesco del ’68, insistevano sull’inscindibilità del rapporto fra lotta di liberalizzazione della donna e lotta di classe. L’ala moderata del movimento era rappresentata da quei gruppi come Fronte Italiano di Liberazione Femminile (FILF), che erano assolutamente contrari ad ogni forma di separatismo, si può dire che erano molto più vicini alle tematiche del tradizionale ‘movimento di emancipazione delle donne’, che non a quelle del neo-femminismo.

Il movimento femminista ha sperimentato forme organizzative alternative sia nella struttura che nei metodi di lavoro, da quelle utilizzate ad esempio dal movimento degli studenti (particolarmente importante per la nascita del femminismo), che è stato criticato per il suo verticismo, la burocratizzazione e il centralismo. Le donne sottolineavano la discrepanza fra l’ideologia egualitaria del movimento e l’oppressione che continuavano a subire al loro interno.

Il movimento femminista, ad eccezione dell’Unione delle Donne (UDI), vicina al Pci, e del Movimento di Liberazione delle Donne (MLD) vicino al partito radicale, si strutturò in piccoli gruppi decentrati e informali con un basso livello di coordinamento, delegittimando ogni tipo di potere formale e burocratico. Il piccolo gruppo rappresentava, nelle intenzioni delle attiviste, il rifiuto della burocrazia e dell’aspirazione al potere, visti come elementi tipicamente maschili.

Il coordinamento tra i vari gruppi avveniva all’interno di organizzazioni di movimento, costituite per svolgere questa funzione. A questo proposito furono create delle sedi cittadine, come ad esempio quella di via Col di Lana a Milano e di via del Governo Vecchio a Roma. A  partire dalla metà degli anni Settanta in numerose città furono aperte delle librerie delle donne, fondate case editrici (come Il vaso di Pandora e La Tartaruga), delle riviste come Noidonne, Campagna, Effe, Differenze, Quotidiano Donna, con lo scopo di creare una rete di coordinamento tra i vari gruppi. Anche i campeggi, organizzati annualmente, rappresentavano altrettante occasioni di incontro per i collettivi attivi in tutto il paese.

Nella sua fase d’incubazione, il movimento delle donne si presentò come un movimento soprattutto culturale, rivolto a trasformare il sistema dei valori e il modo di fare politica. Lo scopo delle donne era di superare il tradizionale discorso sull’emancipazione con quello più innovativo della liberazione, che verrà cercata attraverso due percorsi.
Il primo, più psicologico, sfocerà nella pratica dell’autocoscienza, cioè in una rivisitazione della vita quotidiana insieme ad altre donne, considerata fondamentale per analizzare le dimensioni culturali e sociali dell’oppressione della donna. Più che di politica i collettivi femministi discutevano di temi quali la riproduzione, la sessualità, i rapporti interpersonali e la vita quotidiana.

Il secondo, più economicista (che non riscuoterà tanto successo all’interno del movimento), verrà portato avanti da quei gruppi, come ad esempio Lotta Femminista, che chiedevano il salario per le casalinghe. Qui l’attenzione veniva focalizzata sullo sfruttamento materiale, economico delle donne in casa, che secondo questi gruppi stava alla base di ogni altro aspetto della condizione femminile.

I collettivi femministi affermarono il ruolo centrale della contraddizione uomo-donna, la prevalenza della differenza di sesso rispetto all’unità di classe. In generale il movimento si concentrò sui temi più legati alle trasformazioni della cultura, che alla riforma delle istituzioni. L’attenzione al potere era svanita e prevalse la voglia di trasformare se stesse, senza curarsi troppo della realtà esterna. L’autocoscienza, pratica inventata negli Stati Uniti e poi diffusa in Italia dai gruppi di Rivolta Femminile, divenne il modo alternativo di fare politica. Vi fu la rinuncia da parte di molte donne all’altra politica, alla politica al “maschile”, e di conseguenza l’uscita dalle organizzazioni della vecchia e nuova sinistra.

Secondo le donne c’era un solo modo per sottrarsi al simbolico maschilismo: partire da sé. Nel piccolo gruppo di autocoscienza le donne socializzavano esperienze di vita personale, mettevano insieme quello che verrà chiamato il ‘proprio vissuto’. Il movimento diverrà così il luogo di ricostruzione del percorso di oppressione subito dalle donne, e dove si sperimentavano nuovi rapporti non autoritari.

Il movimento delle donne introdusse nuovi modelli di protesta nel repertorio dell’azione collettiva, come ad esempio le auto-denunce  pubbliche sul tema dell’aborto. La ricerca di forme d’azione ‘non maschili’ portò i collettivi femminili a puntare sulla creatività, attraverso mostre grafiche, improvvisati sketch per strada, o la distribuzione di volantini fumetto. Alla violenza si sostituiva la provocazione con fantasia, come fu ad esempio il blocco per quattro ore delle linee telefoniche di un quotidiano.

Venivano utilizzate anche tattiche di protesta basate su azioni illegali ma non violente. Ad azioni perturbative, come l’occupazione di luoghi pubblici e asili, l’incatenarsi ai cancelli di edifici pubblici, si aggiunse la pratica del self-help per l’aborto, chiamata ”autogestione dell’aborto”.

Caratteristica del movimento femminista, ma di tutti quelli che si sviluppano negli anni Ottanta come quello pacifista ed ecologista, è la mobilitazione su single-issue.

All’inizio degli anni Ottanta anche il movimento femminista, come gli altri movimenti del periodo, entrò in una fase di crisi. Ma, a differenza di buona parte degli altri movimenti, esso non scomparve, si trasformò in un’aggregazione di centri culturali, riviste sempre meno impegnati su un terreno direttamente politico, ma caratterizzati da una ricchissima produzione culturale.

Riferimenti bibliografici:

Marica Tolomelli, movimenti collettivi nell’Europa di fine anni ’60. Guida allo studio dei movimenti in Italia, Germania e Francia
Robert Lumley, Dal ’68 agli anni di piombo. Studenti e operai nella crisi italiana
Nanni Balestrino, Primo Moroni, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale
Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia 1960-1995
Il Sessantotto. La stagione dei movimenti (1960-1979), a cura della redazione di “Materiali per una nuova sinistra”

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