domenica 30 giugno 2013

Mervat Tallawy in difesa dei diritti delle donne

Il 15 marzo la 57a “Commission on the Status of Women” delle Nazioni Unite ha approvato una carta storica, firmata da 193 paesi, contro la violenza sulle donne.

http://www.un.org/womenwatch/daw/csw/57sess.htm 
Un documento che, benché non vincolante, rilanciando e implementando concetti già presenti in altre raccomandazioni internazionali ed estendendo l'arco delle adesioni, è un importante passo avanti verso il riconoscimento di una piena cittadinanza alle donne e nel contrasto alle persecuzioni e alle violenze.
Condannando ogni violenza contro le donne e le bambine, il testo sollecita azioni di prevenzione e di risposta, a partire dalla creazione di reti di servizi a sostegno della parte femminile delle popolazioni.
Chiede di promuovere pari diritti fra i sessi, il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, e di impegnarsi contro l’impunità dei responsabili di violenze di genere.
Ma, soprattutto, questa carta sottolinea che la violenza contro le donne non può venire giustificata da “nessuna usanza, tradizione o opinione religiosa”.

Finalmente si mette il dito sulla piaga, mettendo in luce:

• il pretestuoso ricorso ai vergognosi argomenti della "cultura" e delle "tradizioni", per giustificare lo status quo di abusi di un sesso contro l'altro e la liceità di persecuzioni crudeli (dalle mutilazioni genitali allo stiramento del seno, l'elenco è infinito);

• le ingerenze indebite delle "ragioni della fede" nel voler orientare le leggi dello Stato (che nei fatti, se vanno a buon fine, costringono poi le donne agli aborti clandestini);

• e - soprattutto - il vergognoso utilizzo di presunte volontà divine per schiacciare la parte femminile delle popolazioni, a uso e consumo di sistemi dittatoriali. Un uso che delle religioni è sempre stato fatto; ma che oggi riesplode con particolare virulenza, come strumento per vanificare le ambizioni di democrazia che animano tante rivoluzioni in paesi tradizionalmente autoritari.

Risultato: levata di scudi delle correnti religiose fondamentaliste (e relativi partiti politici), che finalmente mettono nero su bianco cone la repressione delle donne sia il fondamento stesso della "conservazione dell'ordine" (che si sottintende voluto da Dio, e come tale va applicato dallo Stato).

L'Egitto si è infuriato e il partito ultraconservatore egiziano al-Gamaa al-Islamiya ha dichiarato addirittura che "la carta contro la violenza, violando la Sharia e la morale generale, viola l'Islam e porterà alla distruzione dei valori della famiglia. Promuove divisioni all'interno della famiglia e apre la strada a relazioni illecite''; inammissibile anche che la carta condanni i matrimoni in tenera età (che "l'Islam promuove per preservare i giovani dal vizio").
Il suddetto partito si è dunque rivolto alla massima istituzione dell'Islam sunnita (al-Azhar) perché condanni il documento e rifiuti tutte le iniziative analoghe che promuovono "valori e comportamenti contrari ai principi islamici".
La carta è ''anti-islamica" anche per i Fratelli Mussulmani: "porterebbe alla completa disgregazione della societa; le organizzazioni femminili rispettino la propria religione e la morale delle loro comunita anziché sostenere appelli per una modernizzazione decadente e immorale''.

Ma la coraggiosa rappresentante egiziana alla Commissione, Mervat Tallawy, non si è fatta piegare: ha rotto con il suo stesso paese, firmando la carta e replicando ai Fratelli Musulmani che “la solidarietà internazionale è necessaria per dare i poteri alle donne e prevenire quest’aria di repressione”.

Contro il diritto all’aborto, nel passaggio sulla salute riproduttiva delle donne, si sono schierati la Russia e l’Iran. E la contrarietà a questo diritto ha ovviamente ribadito il Vaticano, che come Stato non membro ha un seggio all’ONU, come osservatore permanente - uno Stato il cui monarca, almeno, dal 1871 non ha più pretese di rivendicare alcun potere temporale, al di fuori della piccola giurisdizione del suo ben circoscritto territorio.

Tornando invece agli Stati membri: forti resistenze da parte di Libia, Iran, Sudan, Arabia Saudita, Qatar, Honduras. Diversi paesi islamici hanno dichiarato apertamente che ritengono inammissibile la “piena uguaglianza nel matrimonio” che consentirebbe di denunciare il coniuge violento. Inammissibile anche la pretesa (!) di "abolire la necessità del consenso del marito per poter decidere riguardo ai viaggi e al lavoro o all'uso della contraccezione''; non parliamo poi dell'inammissibilità dell’accesso diretto ai contraccettivi, che darebbe il via alla catastrofica libertà sessuale di donne e ragazze.

E su tutto questo noi abbiamo una sola cosa da ricordare ai signori uomini, di qualunque paese siano e a qualunque religione appartengano: la libertà delle donne è anche la vostra.

Le scuse religiose per vessare le donne sono solo chiacchiere, specchietti per le allodole; chi le accetta non si fa servo di Dio, ma complice dei sistemi autoritari.

http://www.womanism.net/explanation/italy2.html

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